Dai minori alla Diciotti, il Garante bacchetta il Governo sui migranti

Relazione al Parlamento del Garante dei detenuti e delle persone private della libertà. Sui minori, due gli elementi di criticità rilevati: l’accertamento dell’età e la annotazione della data di nascita al 1° gennaio dell’anno. "La privazione della libertà di una persona non può essere messaggio di volontà politica"

Dai minori alla Diciotti, il Garante bacchetta il Governo sui migranti

ROMA - Minori trattenuti negli hotspot, procedure non sempre accurate, che rischiano di ledere le tutele dei minori stranieri non accompagnati in Italia. E poi il caso Diciotti. E’ questo uno dei punti affrontati dal Garante nazionale delle persone private della libertà, Mauro Palma, nella sua relazione al Parlamento. Quello appena passato è stato un “anno difficile per affrontare i processi migratori verso l’Europa e il coinvolgimento diretto o indiretto che i minori hanno in tali contesti - sottolinea Palma -. Il numero di minori non accompagnati giunti in Italia nel 2018 si è drasticamente ridotto in linea con la riduzione del complessivo numero di migranti sbarcati nell’ultimo. Tuttavia si tratta di 3536 nuovi minori. Di essi, 2002 risultano passati per gli hotspot”.

Per quanto riguarda i minori, in particolare, sono due gli elementi di criticità rilevati: il primo riguarda l’accertamento dell’età che, in linea generale, è stato eseguito con il tradizionale metodo dell’indagine radiografica e non seguendo la più completa e articolata procedura prevista dalla legge 7 aprile 2017 n. 47. Il secondo riguarda la sistematica annotazione della data di nascita al 1° gennaio dell’anno, nei casi in cui non ne sia determinabile il mese e il giorno. Prassi, quest’ultima, che espone evidentemente al rischio di classificare come adulto un minore che compia i diciotto anni nel corso dell’anno, a meno di non contraddire le riflessioni sul calcolo delle probabilità. “Queste prassi frettolose rischiano di attenuare la garanzia assoluta di tutela dei minori che è vanto del nostro Paese - spiega il Garante -. Rischio ancora maggiore nel contesto del loro trattenimento a bordo di navi per periodi prolungati prima che venga concessa la possibilità di sbarco – situazione su cui, nel noto caso della “Ubaldo Diciotti” dell’agosto dello scorso anno è dovuta intervenire la magistratura minorile per imporre il loro sbarco, mentre sul problema complessivo riguardante gli adulti sono intervenuti la Procura e lo stesso Garante nazionale”.

Il caso Diciotti. Il Garante nazionale ha ribadito che è suo compito esercitare il controllo non solo sui luoghi in cui la privazione della libertà è formalmente e giuridicamente definita, quali per esempio i Centri per il rimpatrio, ma anche “sulle situazioni in cui essa si verifica de facto e nei casi in cui per prolungati periodi la possibilità di scendere a terra in situazione di sicurezza non sia consentita a persone soccorse in mare in acque italiane o quando, in acque internazionali, siano state tratte a bordo di navi italiane”. “L’esercizio di tale potere di analisi della situazione ed eventuale segnalazione alla Procura della Repubblica competente è svolto sul principio che nel territorio italiano – e la nave nelle due situazioni sopra descritte lo è – aggiunge Palma, riferendosi ancora al caso Diciotti -deve essere possibile a chiunque di godere effettivamente dei diritti che il nostro ordinamento prevede, sul piano delle dignitose condizioni materiali offerte e su quello dell’accesso agli istituti giuridici disponibili, in primis alla possibilità di richiedere asilo”. 
Il Garante rileva anche il rischio di esporre lo Stato al rischio di doversi successivamente difendere di fronte a fori internazionali rispetto agli obblighi convenzionali assunti. “Ancora recentemente la Corte di Strasburgo ha chiesto allo Stato italiano chiarimenti sull’effettività dell’accesso al reclamo da parte dei migranti trattenuti negli hotspot nel caso Khlaifia v. Italia per il quale il nostro Paese è stato già condannato - aggiunge -. L’azione del Garante in tale ambito ‘fluido’ ha quindi un profilo umanitario, un profilo di diritto e un profilo di profonda cooperazione con le Istituzioni, prevenendo possibili censure future, senza per questo intervenire sulle scelte politiche che ogni Governo della Repubblica ha diritto di definire”. Palma ricorda inoltre che la permanenza in luoghi di definita privazione della libertà è stata nel corso dell’anno prolungata fino a sei mesi. “Non si è data invece attuazione a quella previsione contenuta nel decreto legge del 2017 di realizzazione di Centri di dimensione contenuta, senza alcuna connotazione di somiglianza con il carcere e nelle prossimità degli aeroporti: i Centri attualmente funzionanti sono sostanzialmente gli stessi, con le stesse caratteristiche e carenze, mentre certamente non può essere considerato corrispondente a tali parametri il Centro aperto a Palazzo San Gervasio, in provincia di Potenza, nell’unica regione sprovvista di aeroporto - aggiunge -. Delle poco più di quattromila persone transitate nei Centri nel corso dell’anno, soltanto il 43 percento è stato effettivamente rimpatriato: un valore questo che è rimasto su scala analoga nel corso degli anni, mentre la durata massima del trattenimento oscillava tra i trenta giorni e i diciotto mesi. Prova questo della mancata correlazione tra durata della privazione della libertà ed effettività della sua finalità. Occorre chiedersi quale sia il fondamento etico-politico di tale restrizione e quanto l’estensione della durata non assuma l’incongrua configurazione del messaggio disincentivante da inviare a potenziali partenti - conclude -. Sarebbe grave tale configurazione perché la libertà di una persona non può mai divenire simbolo e messaggio di una volontà politica, neppure quando questa possa essere condivisa”. (ec)

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)