L’autolesionismo giovanile. Per molti farsi del male è anche un modo per “essere certi di esistere”

Gli adolescenti raccontano che “tagliandosi” riescono a “controllare” e “interrompere” un dolore mentale insostenibile, un’angoscia troppo intensa.

L’autolesionismo giovanile. Per molti farsi del male è anche un modo per “essere certi di esistere”

Qualche giorno fa sul sito della Polizia postale è comparso un “alert” dedicato a ragazzi e genitori. La preoccupazione e le indicazioni contenute riguardano la virale diffusione di una nuova tendenza tra gli adolescenti, ovvero la sfida social della “cicatrice francese”. “Si tratta di una nuova challenge che si sta diffondendo in Italia e in Francia – viene spiegato nel comunicato – (…). La sfida consiste nel procurarsi uno o più ematomi sullo zigomo stringendo con forza la cute tra le dita, sino a lasciare un segno livido evidente. L’intento è quello di assumere un aspetto più rude e temerario, mostrando i segni di una fittizia colluttazione”. L’“alert” prosegue evidenziando che “quel che si ottiene è invece una temporanea deturpazione del viso, i cui esiti però, possono durare diverse settimane, producendo talvolta danni alla cute, anche gravi”.

Ancora una volta i giovani scelgono il corpo come strumento di “identificazione” e “comunicazione” verso il mondo esterno. Aderire alla sfida significa “mostrare coraggio”,  assumere l’identità di “lottatori inascoltati” all’interno di una società che “non vede”, o “non considera adeguatamente” i propri figli.

Di fatto le “cicatrici francesi” rientrano a pieno titolo nella galleria degli atti di autolesionismo, purtroppo sempre più diffusi tra le giovani generazioni. Sulla pelle, zona di “confine”, estremo involucro di un corpo sofferente, si traccia il proprio ricatto emotivo, nei confronti di sé stessi e di chi “al di là del confine” osserva. Il “gesto rituale” diviene contorta manifestazione di controllo e di una forma di potere torbida e perversa.

Sono molte le forme di autolesionismo praticate da giovani e giovanissimi (più o meno dagli undici anni in su). La più diffusa è il “cutting” e consiste nel tagliare, incidere, ferire gambe e braccia più frequentemente, ma anche altre zone del corpo, con lamette, coltelli affilati, punte di vetro, lattine, temperini. Anche i piccoli graffi e le ustioni (burning) rientrano in questa pratica che spesso diviene collettiva e si avvale di tutorial pubblicati sui social. Tagliarsi “assieme” è un modo di protestare, di disperarsi, di piangere senza le lacrime e, per certi versi, si trasforma in un “abbraccio” tra pari.

Gli adolescenti raccontano che “tagliandosi” riescono a “controllare” e “interrompere” un dolore mentale insostenibile, un’angoscia troppo intensa. Il dolore fisico sottrae spazio a quello mentale, più claustrofobico e irrazionale. A volte può essere anche una vera e propria forma di punizione, o autodisciplina.

Per molti farsi del male è anche un modo per “essere certi di esistere”. L’autolesionismo procura l’illusione di “essere qualcuno”: nel caso della “cicatrice francese”, un “combattente. Questi atti procurano una strana ed effimera euforia, una sorta di alterazione provvisoria del proprio stato emotivo che prende il posto della malinconia e della disperazione.

Al fondo di questi comportamenti c’è sempre un profondo senso di smarrimento e di solitudine. Di fatto i nostri giovani risentono della mancanza di dialogo e di occasioni di autentico contatto. I sentimenti “serpeggiano” a casa e a scuola, ma sembra che fatichino a trovare sfogo, avvolti nella bolla che l’eccessiva esposizione ai social gli crea attorno, quindi improvvisamente giungono al parossismo ed esplodono.

Si parla sempre più spesso di “abuso emotivo” e tra le diverse forme si rintracciano anche l’incuria e l’indifferenza. Le moderne forme di negligenza affettiva ed educativa sono meno evidenti rispetto al passato, perché l’abbandono oggi avviene nel comfort, tra le “cose” che ci circondano e che acquistiamo con l’illusione che possano consolarci e colmare quel nulla cosmico che tanto ci atterrisce.

Tendiamo poi a confondere l’obbedienza con l’educazione e le nozioni con gli insegnamenti. Le nostre indicazioni hanno la fisionomia della “norma” e le nostre spiegazioni sono stereotipate. Dimentichiamo troppo spesso che i nostri figli sono intelligenti e hanno bisogno di cure altrettanto intelligenti.

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)
Fonte: Sir