Marco Trabucchi: "Nulla è e sarà come prima dopo l'epidemia"

«Nulla è e sarà come prima dell’epidemia. Intanto dobbiamo superare la crisi, ma poi avremo molto da dire sul piano clinico e su quello dell’organizzazione dei servizi».

Marco Trabucchi: "Nulla è e sarà come prima dopo l'epidemia"

Comincia così la riflessione di Marco Trabucchi nella newsletter ai colleghi dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria, di cui è presidente.

Trabucchi, 73 anni, si è laureato con lode al Bo’, specialista in Psichiatria, già ordinario di Neuropsicofarmacologia a Tor Vergata, direttore scientifico del Gruppo di Ricerca Geriatrica di Brescia, è fra gli “inventori” dell’AlzheimerFest.

La premessa è precisa: «Le persone anziane sono state troppo offese da colleghi improvvidi, superficiali e talvolta ignoranti per sentirsi di nuovo accettati dalla collettività. In pochi giorni, con il gioco dei “con” e dei “per”, abbiamo disfatto decenni di pensiero geriatrico, ma soprattutto abbiamo distrutto un rapporto di fiducia.

Non vorrei sembrare melodrammatico, ma come ci avvicineremo ai pazienti se questi hanno capito che chiediamo loro gli anni per prendere oggi alcune decisioni (l’intubazione), ma un domani anche quelle che potrebbero riguardare la somministrazione o meno di farmaci costosi? Sempre più si nota una discrepanza tra il dono di una vita lunga e la sua accettazione, espressa in modo chiaro dall’ormai famoso deprecato documento sui “danni indotti dalla longevità” di cui parlava qualche anno fa Christine Lagarde».

Trabucchi radiografa la situazione nell’emergenza Covid-19. Gli anziani a casa: «Anche alla comparsa dei primi sintomi sono affidate nella maggior parte dei casi a loro stesse e all’amore dei loro cari. I medici di famiglia sono impauriti, tendono a bloccare le visite, e le famiglie non chiamano il 118 perché temono di veder salire il famigliare sull’ambulanza e di non poterlo più salutare, fino alla fine. Così tengono i malati, soprattutto se anziani, nelle loro abitazioni. Molte morti sono la conseguenza del virus. E i nostri concittadini rischiano di finire la vita senza nemmeno la dignità della diagnosi».

E nelle residenze per anziani? «Sono vittime di una totale dimenticanza da parte dei poteri politici e dei loro vassalli che avrebbero l’incarico di gestire le aziende sanitarie» afferma Trabucchi, «Nessun indirizzo è stato dato a chi gestisce le residenze, nessun supporto in termini di mezzi di protezione, di possibilità di fare i tamponi, di valutazione economica di fronte ai danni indotti dalla liberazione di posti letto causata dalla morte degli ospiti. Il personale è allo stremo, con un impegno eroico. Di contro, molti medici e operatori si ammalano in rapida progressione, con la conseguente riduzione delle cure agli ospiti».

Trabucchi ricorda gli ospedali nell’occhio del ciclone, con il sistema organizzativo stravolto dall’emergenza. E chiosa: «Resta irrisolto il problema degli anziani che, raggiunta la guarigione clinica, presentano un grado di disabilità tale da non poter rientrare al domicilio. In questo caso è difficile il ricorso a strutture riabilitative o di lunga assistenza. Ogni critica deve essere rimandata; però questo atteggiamento responsabile non ci impedisce di esprimere dissensi molto pesanti, per esempio rispetto alla volontà dimostrata da alcune regioni di trasferire nelle case di riposo le persone dimesse dagli ospedali. Non possiamo nemmeno essere sordi agli appelli che vengono da molte famiglie abbandonate nell’amorevole accompagnamento dei loro cari, prive di indicazioni di comportamento e terapeutiche».

Infine, il presidente dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria manifesta una grande preoccupazione: «Per il Sud del nostro paese, perché nessuno è ancora in grado di prevedere l’eventuale evoluzione. In queste regioni si esprimerebbe, in modo ancora più grave di quanto sia avvenuto al Nord, la mancanza di attrezzature tecnologiche per gli ospedali, delle protezioni indispensabili per gli operatori e di modalità per realizzare i tamponi».

Trabucchi conclude con una citazione di Vaclav Havel: «La speranza non è ottimismo. La speranza non è la convinzione che ciò che stiamo facendo avrà successo. La speranza è la certezza che ciò che stiamo facendo ha un significato. Che abbia successo o meno».

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Fonte: Comunicato stampa