Povertà educativa. I nostri giovani leggono sempre meno, sono disinformati, approssimativi, hanno una inadeguata coscienza civica

La pandemia, privando di fatto i nostri giovani della presenza continua e costante della scuola, approfondisce il vulnus della povertà educativa.

Povertà educativa. I nostri giovani leggono sempre meno, sono disinformati, approssimativi, hanno una inadeguata coscienza civica

Si torna a parlare di povertà educativa. Il ministero dell’Istruzione se ne sta occupando con bandi e fondi destinati alle scuole italiane e indicazioni che investono ambiti precisi del percorso di istruzione dei nostri ragazzi. Il tema, evidenziato a livello internazionale nel 2014 dall’organizzazione Save the children, emergeva già alla fine degli anni Novanta del secolo scorso.

Con l’espressione “povertà educativa” si intende la carenza di risorse culturali e opportunità di arricchimento necessarie alla realizzazione personale e alla piena cittadinanza degli individui. In un certo senso la povertà educativa è una delle conseguenze della pesante crisi economica e sociale che negli ultimi anni ha investito l’Occidente, ma non solo. Di fatto, col trascorrere del tempo, abbiamo assistito a un progressivo svuotamento dei contenuti etici e culturali, oltre che delle tasche delle famiglie.

L’impoverimento, quindi, non è purtroppo soltanto un fenomeno legato al reddito, ma si diffonde capillarmente nella qualità degli insegnamenti che, sebbene siano infarciti di alti tecnicismi, di fatto risultano privi di aderenza a un progetto di completa realizzazione della persona umana.

Grande responsabilità in questo senso è attribuibile ai media e alla parcellizzazione e falsa massificazione dei saperi. La rete e la televisione veicolano nozioni, senza dare a esse sistematicità e spessore. Dotano i fruitori di competenze superficiali e inefficaci e li privano della necessaria visione d’insieme, che poi è proprio l’essenza del processo educativo stesso.
La scuola avrebbe dovuto compensare questa tendenza, ma di fatto la sua voce risulta sempre più sbiadita nel panorama sociale. Su di essa sono stati fatti scarsi investimenti, il modello della trasmissione dei saperi non ha tenuto il passo dei cambiamenti della società e le pesanti critiche, che l’hanno colpita negli ultimi anni, l’hanno indebolita e resa sempre meno autorevole.

E ora? Mala tempora currunt. La pandemia, privando di fatto i nostri giovani della presenza continua e costante della scuola, approfondisce il vulnus della povertà educativa.
Lo spauracchio di un nuovo lockdown incombe e le famiglie ora invocano le scuole aperte, o in alternativa la certezza di una efficace didattica a distanza. La ministra Lucia Azzolina, dalle pagine di Facebook, scrive “La scuola è futuro. Senza scuola il Paese diventa più debole”. Il Paese, l’economia… Certo! Ma soprattutto a indebolirsi sono le coscienze e il pensiero critico. La collettività arretra e perde punti in termini di autentico progresso. Torna l’antica questione leopardiana: il poeta-filosofo riteneva che le scoperte scientifiche e l’avanzamento tecnologico nella storia non garantissero affatto una vera evoluzione della specie umana.

Nonostante i mezzi a disposizione i nostri giovani leggono sempre meno, sono disinformati, approssimativi, hanno una inadeguata coscienza civica.
La povertà educativa, intanto, produce gravi danni: mina fortemente il processo di apprendimento e limita anche le opportunità di crescita dal punto di vista emotivo, le relazioni con gli altri, la scoperta di sé stessi e del mondo esterno.
E mentre la scuola tenta di mantenere la propria postazione, la famiglia anche perde terreno e non ce la fa a compensare.

Le case sono vuote per la maggior parte delle ore diurne e, alla sera, vengono illuminate dalla luce bluastra degli schermi di tv, smartphone, tablet… L’“agorà” domestica non esiste più. Manca il dialogo, aspetto fondamentale nelle relazioni e anche nella pratica educativa. Esso reca con sé l’identità della famiglia: attraverso il dialogo si esprimono la personalità e i valori dei suoi membri e si impara a confrontarsi in maniera costruttiva. E’ veicolo della memoria individuale e collettiva.

La situazione, quindi, ci chiama all’ennesima riflessione e presa di coscienza. Il danno in atto chiede di essere arginato in sinergia comune da tutti: istituzioni, educatori e famiglie. L’intervento è urgente e non più procrastinabile.

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Fonte: Sir