Povertà minorile, “situazione in aggravamento. Urgente investire e fare rete”

A parlare è Maria Clede Garavini, Garante per l’infanzia dell’Emilia-Romagna: “La povertà coinvolge un numero sempre maggiore di famiglie, con effetti sul breve e sul lungo periodo. Con Anci mappatura delle attività in campo per il contrasto alle diseguaglianze e promozione delle buone prassi”. In regione la dispersione scolastica in era Covid è all’11 per cento

Povertà minorile, “situazione in aggravamento. Urgente investire e fare rete”

Il 5,4 per cento delle famiglie in Emilia-Romagna vive in una situazione di povertà relativa, il 15,8 per cento delle persone minorenni vive a rischio povertà, il 4,6 per cento dei minori nella regione vive in famiglie in condizioni di grave deprivazione materiale. Il 64 per cento delle famiglie non riesce a risparmiare e il 31,2 per cento non riesce a far fronte alle spese impreviste. Sono i dati Istat che emergono dal report sulla povertà minorile presentato dalla Garante per l’infanzia dell’Emilia-Romagna Clede Maria Garavini in commissione Parità in seduta congiunta con le commissioni Cultura e Politiche per la salute. Ma cosa si intende per minori in povertà? Sono considerati minori in povertà gli individui tra zero e diciassette anni che vivono in famiglie dove sono presenti, contemporaneamente, almeno quattro di queste condizioni previste: non riuscire a sostenere spese impreviste, avere arretrati nei pagamenti (mutuo, affitto, bollette, debiti diversi dal mutuo), non potersi permettere una settimana di ferie lontano da casa in un anno, un pasto adeguato (proteico) almeno ogni due giorni, di riscaldare adeguatamente l’abitazione, non potersi permettere l’acquisto di una lavatrice, un televisore a colori, un telefono o un’automobile.

Gli effetti della povertà sul lungo periodo

“La povertà coinvolge un numero sempre più ampio di famiglie, a partire da quelle con un alto numero di componenti e figli minori, quelle in cui solo un adulto o nessun adulto lavora, le famiglie monogenitoriali, quelle nelle quali c’è una povertà d’istruzione, spesso anche le famiglie giovani – spiega Garavini –. In questi nuclei familiari la condizione dei minori è andata peggiorando, sia in termini assoluti sia come rischio”. Questo significa che sempre più bambini e adolescenti non possono – in una fase cruciale per la loro evoluzione – beneficiare delle opportunità su cui la crescita si radica. E gli effetti del venir meno di queste risorse si faranno sentire anche sul lungo periodo: “I processi di socializzazione sono alterati, svolgono meno attività, hanno meno possibilità di confronto con coetanei e adulti. L’apprendimento viene impoverito, la crescita cognitiva non si svolge come dovrebbe. La povertà in giovane e giovanissima età incide anche nel percorso di realizzazione personale in età adulta, nell’inserimento lavorativo e sociale. Può addirittura arrivare a coinvolgere più generazioni”. La garante spiega che, spesso, gli effetti sono visibili anche prima della nascita, a partire dall’alimentazione della madre in gravidanza – sia da un punto di vista qualitativo sia quantitativo –, sia dal suo seguire percorsi di tutela sanitaria”.

Meglio l’offerta di attività dei contributi economici

Come ribadisce Garavini, la povertà ha una multidimensionalità e, come tale, deve essere affrontata: “Abbiamo visto che le politiche basate sul reddito familiare – meri contributi economici – non sono efficaci. Ciò che, invece, dà ottimi risultati è l’offerta di servizi – legati all’istruzione, all’educazione, attività ricreative, per il tempo libero – non monetari”. Un’offerta da far partire sin dai primi anni di vita, “il periodo d’oro in cui investire nel benessere dei bambini. Se il sostegno sociale è tempestivo ed efficiente, lo sviluppo avviene senza inciampi anche se si incontrano situazioni di disagio. Evita, infatti, che le difficoltà familiari e le vulnerabilità personali si intreccino tra loro. “Anche nella nostra regione, pur godendo di un buon livello sociale ed economico, le povertà si sono diffuse e ai vecchi bisogni se ne sono aggiunti altri. E le nostre comunità non sempre sono state in grado di contenere questi problemi e mettere in atto i contributi adeguati”.

Un accordo con Anci contro le diseguaglianze

Per far fronte a queste problematiche, la Garante ha siglato un accordo con Anci, un percorso con gli enti locali per contrastare la povertà minorile. “Il punto comune di partenza è che la povertà sta crescendo e coinvolge anche persone che, precedentemente, da questo stato di fragilità erano uscite. Vogliamo lavorare su una serie di aspetti per uscire da questa condizione”. L’impegno è quello di investire nelle competenze dei genitori e nel miglioramento dei loro stili di vita: “Le difficoltà nell’organizzazione familiare spesso non consentono di investire nell’istruzione, nella maturazione culturale. Per alcune famiglie, poi, né la cultura né l’istruzione vengono considerate valori da salvaguardare: dobbiamo invertire questa tendenza”. L’accordo con Anci partirà dalla raccolta, sui territori, delle misure di intervento precoci e continuative messe in campo per contenere le diseguaglianze: “A partire da questi dati vorremmo offrire alle comunità gli strumenti per realizzare azioni di contrasto e rispondere alle esigenze di minori poveri o a rischio. L’obiettivo è arricchire i territori di attività e servizi e fare in modo che vengano utilizzati e sfruttati. Questo significa anche far comprendere ai genitori il valore dell’offerta”.

Il 2020 e la dispersione scolastica

E se i dati del report fanno riferimento al 2019, è facile prevedere che nel 2020 le cose non siano andate meglio: “La pandemia ha accentuato tutti i processi in atto rispetto alla povertà, ha evidenziato le diseguaglianze e le ha ampliate. Abbiamo già segnali di quanto questa situazioni incida – e abbia inciso – sulla vita psichica individuale, anche nell’approccio alla vita – faccio riferimento ai casi di bambini ‘abbattuti’, chiusi, senza spinta evolutiva”. Segnali in questo senso arrivano anche dal mondo della scuola: in assemblea regionale, nei giorni scorsi, la consigliera Stefania Bondavalli ha riportato i dati di una ricerca realizzata dall’Università di Bologna in collaborazione con gli altri atenei della regione che stima in circa 140 mila il numero degli studenti emiliano-romagnoli non inclusi, in tutto o in parte, nella didattica a distanza. In particolare, quasi 39 mila studenti non hanno mai partecipato a lezioni e incontri online e circa 100 mila alunni sono stati presenti solo saltuariamente alle lezioni su web. “Sono indagini senza base scientifica ma piuttosto statistica – commenta l’assessora alla Scuola Paola Salomoni –. Con l’Ufficio scolastico stiamo cercando di avere una nitida fotografia. Contrasto alla dispersione scolastica, offerta diversificata di opportunità educative, formative e orientative, percorsi personalizzati per fare emergere propensioni e attitudini di ragazzi e ragazze, sviluppare i loro talenti e contrastare le povertà educative che con la pandemia si sono acuite; ma anche risorse certe per sostenere gli studenti nel diritto allo studio, con contributi per l’acquisto dei libri di testo, strumentazioni informatiche e connettività. Sono queste le linee d’azione su cui si è mossa la Giunta regionale. Queste politiche e un sistema educativo capace e inclusivo hanno consentito di avere, in Emilia-Romagna, una dispersione scolastica di poco superiore all’11 per cento, 2,5 punti percentuali sotto la media nazionale”.

La valorizzazione dell’attivismo dal basso

“Sicuramente dobbiamo aspettarci un aggravamento – ammonisce Garavini –. C’è urgenza di una riflessione condivisa per il ripensamento delle politiche dedicate a infanzia e adolescenza”. Il riferimento è alla riattivazione delle reti già esistenti e all’attivazione di nuove, sempre supervisionate da una regia molto attenta e attiva a livello territoriale. L’idea è quella di ripartire dal coinvolgimento di tutti i soggetti, dalle parrocchie alle associazioni sportive, ricreative e culturali. “Da questa pandemia dobbiamo imparare la necessità di mettere insieme risorse e possibilità, di integrarle tra loro. I piani sociale, sanitario, educativo, relazionale, vanno tutti rivisti alla luce di queste osservazioni. Questa esperienza non può non lasciare traccia, dobbiamo capirne il senso e rimetterci in gioco, anche responsabilizzando i privati cittadini: in quest’ultimo anno sono nate tante nuove associazioni, c’è un grande attivismo. Tutto va valorizzato”.

Ambra Notari

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)