Quando non c’era vaccino. Vaccini sì o no? Gli Uffizi raccontano il volto della malattia

E' del 1626 il ritratto di Ferdinando II de’ Medici al nono giorno di vaiolo, come scrive lo stesso pittore nella “didascalia” che pone in cima alla tela.

Quando non c’era vaccino. Vaccini sì o no? Gli Uffizi raccontano il volto della malattia

Osservare con oggettività la realtà era una delle cose che più piaceva a Justus Sustermans. Ce l’aveva nel sangue. Era attirato soprattutto da quelle piccole cose, apparentemente insignificanti, che però erano capaci di fare la differenza. Passava ore ad allenare il suo occhio a cogliere i dettagli. Era diventato una sorta di esercizio quotidiano, che traduceva poi nei suoi lavori.

A molti, oggi, il nome di Sustermans non dice forse nulla, ma è grazie a lui che noi conosciamo il volto di Galileo Galilei. Fu Sustermans, infatti, nel 1635, a realizzare il celebre ritratto del “padre della scienza moderna”, conservato agli Uffizi di Firenze.

Originario di Anversa, dove era nato il 28 settembre 1597, dopo aver studiato presso i maggiori pittori fiamminghi del suo tempo Sustermans diventa pittore di corte dei Medici di Firenze.

Alcuni giorni fa la Galleria degli Uffizi sulla sua pagina Fb – dove da circa un anno accompagna quotidianamente il pubblico social alla scoperta di una delle opere (famose e non) che oggi non è possibile vedere “in presenza” a causa delle misure per il contenimento della pandemia – oltre al ritratto di Galilei (il 15 febbraio ricorreva il 457° anniversario della sua nascita) ha pubblicato anche una delle opere sicuramente meno conosciute di Sustermans. Come spiegano dal museo fiorentino, quello ritratto è il volto meno “botticelliano” delle collezioni degli Uffizi, un ritratto singolare che, a modo suo, è di straordinaria attualità.

Sustermans, nel 1626, ritrae Ferdinando II de’ Medici al nono giorno di vaiolo, come scrive lo stesso pittore nella “didascalia” che pone in cima alla tela. Il giovane, che all’epoca aveva 16 anni, è completamente ricoperto di pustole: non c’è parte del suo volto, labbra e orecchie comprese, che non sia segnata dalla malattia. Un “fermo immagine” decisamente atipico rispetto ai tradizionali ritratti di corte, quello che ci offre il pittore dei Medici, in cui ci vengono mostrati gli effetti devastanti di una malattia così contagiosa da produrre epidemie drammatiche e disastrose.

I segni clinici del vaiolo erano evidenti: vescicole purulente e dolorose comparivano sul volto e sul tronco, invadendo bocca e gola e impedendo così ai soggetti colpiti di nutrirsi. Il morbo era accompagnato da febbre alta e, spesso, aveva conseguenze fatali. Si è stimato che il vaiolo, nel XVIII secolo, abbia ucciso circa 400mila europeo ogni anno e che sia stato responsabile di un terzo di tutti i casi di cecità.

Come spiegano i curatori degli Uffizi, è probabile che Ferdinando II de’ Medici abbia contratto una forma di vaiolo di media intensità. “Dai documenti di corte – si legge nel post – risulta che si sia ammalato il 7 ottobre e il 22 novembre sia definitivamente guarito dalla malattia”.

Ma Ferdinando II non è stato l’unico Granduca di Toscana a legare il proprio nome al vaiolo. Sono sempre i curatori degli Uffizi a ricordarlo. Pietro Leopoldo I di Toscana, Granduca dal 1765 al 1790 (anno in cui divenne imperatore del Sacro Romano Impero e re d’Ungheria e Boemia con il nome di Leopoldo II d’Asburgo-Lorena) non ebbe alcun dubbio quando “nel 1769 a Palazzo Pitti sperimentò su di sé l’’innesto del vaiolo’, di fatto la prima pratica di ‘vaccinazione’ ante litteram contro questa terribile malattia”.

Pietro Leopoldo, il principe che abolì per primo la pena di morte nel mondo nel 1786, scese di sperimentare la pionieristica tecnica per immunizzarsi dal vaiolo, praticata da Jan Ingenhousz (1730-1799, botanico olandese che nel 1779 scoprì il processo chimico della fotosintesi clorofilliana), prima su di lui e poi sui suoi figli.

Ingenhousz, che era consigliere privato e medico personale dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria, aveva inciso la pelle del Granduca con una lancetta intinta nel contenuta da una vescicola vaiolosa prelevata da un paziente, così da provocare una forma blanda e controllabile del morbo.

La tecnica adottata da Ingenhousz venne successivamente rinnovata dal medico inglese Edward Jenner. Questi aveva notato che le persone che avevano contratto il vaiolo vaccino – variate di vaiolo animale, tipica delle mucche e trasmissibile all’uomo in forma molto più benigna – erano immuni dal vaiolo umano. Ed è proprio dalla parola “vacca” che deriva il termine “vacc-ino”, perché Jenner pensò di impiegare nelle pratiche di inoculazione il materiale prelevato dalle pustole di vaiolo vaccino, riducendo così drasticamente i rischi. Il successo fu enorme e la pratica prese il nome di “vaccinazione” e una massiccia campagna di immunizzazione venne portata avanti fin dal XIX secolo. Con il passare degli anni e il progredire delle conoscenze scientifiche le tecniche vennero raffinate. Nel 1979 l’Oms ha potuto dichiarare che il vaiolo è stato sradicato per sempre. Un traguardo eccezionale che è stato possibile raggiungere grazie alla partecipazione di milioni di persone che si sono vaccinate contro il virus del vaiolo. Quanti sono nati in Italia prima del 1981 – anno in cui la vaccinazione è stata abrogata perché la malattia era stata debellata – portano sul braccio sinistro il segno di questa straordinaria vittoria. Oggi attendiamo con ansia di poter festeggiare la vittoria contro un altro virus, che da un anno ha rivoluzionato le nostre vite e ha lasciato (e continua a farlo) cicatrici profonde nelle nostre esistenze.

Le tante immagini delle persone intubate e ventilate artificialmente nei letti dei reparti di rianimazione continuano ad essere un pugno nello stomaco. Come il volto del giovane Ferdinando II deturpato dal vaiolo.

Per vincere il virus, allora come oggi, occorre tendere il braccio. Per vaccinarsi e per aiutare chi è stato travolto dalla pandemia a rialzarsi e a riprendere le redini della propria vita.

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)
Fonte: Sir