Reddito di cittadinanza, beneficiari Caritas più coinvolti dai Centri per l’impiego che dai servizi sociali
La Caritas Italiana ha dedicato un approfondimento sui beneficiari dei propri servizi che sono percettori di Rdc. Sono poco meno di un terzo (29%) i nuclei che dichiarano di aver avuto contatti con i Centri per l’impiego a seguito dell’accettazione della domanda, mentre il 26,4% risulta preso in carico dai servizi sociali. Il problema dei nuovi profili della povertà. Sospensione del Rdc dopo 18 mesi, un duro colpo
Una novità del rapporto della Caritas Italiana dedicato al Reddito di cittadinanza (Rdc) consiste nell’aver concentrato un intero filone di ricerca ai beneficiari dei servizi Caritas che sono percettori di RdC. Con l’indagine, la Caritas ha voluto comprendere a fondo alcuni aspetti: le caratteristiche socio-demografiche dei beneficiari dei servizi Caritas che percepiscono il RdC (confrontandoli con i non percettori); i benefici e gli effetti che il RdC produce nei nuclei familiari dei beneficiari Caritas e quali sono le interazioni tra i servizi Caritas e il RdC; l’evoluzione nel tempo dei bisogni delle famiglie dei beneficiari Caritas anche in relazione alla possibilità di percepire o meno il RdC; l’esperienza del RdC a partire dalla traiettoria di impoverimento delle famiglie e considerando anche gli interventi delle Caritas.
L’indagine longitudinale ha coinvolto in due rilevazioni distinte (2019 e 2020) 558 beneficiari e ha fatto emergere che il 55,2% dei beneficiari Caritas intervistati ha beneficiato della misura fra il 2019 e il 2020. Tra coloro che non hanno mai beneficiato del RdC, poco meno del 60% vive in un nucleo con un reddito complessivo inferiore a 800 euro. “Questo dato richiama un elemento centrale emerso nel monitoraggio del RdC, ossia la percezione erronea che i beneficiari Caritas hanno di non soddisfare i requisiti per l’accesso alla misura”.
Tra le famiglie fuoriuscite dal RdC nell’arco del 2020, l’8% risulta non più beneficiario della misura a causa di un aumento del reddito al di sopra delle soglie Isee fissate; nel 52% dei casi, la motivazione fornita rispetto alla fuoriuscita dalla misura riguarda il termine del primo ciclo di 18 mesi di beneficio della misura. Rispetto all’accesso, è la popolazione più giovane (under 44) a presentare le quote più alte di nuclei che non hanno mai avuto accesso al RdC (57,6%) seguita, appunto, dagli over 65 (53,7%), mentre sono i nuclei dei beneficiari adulti a presentare i tassi di accesso alla misura più elevati. Le coppie, ed in particolar modo le coppie con figli minori, nelle quali il 90% degli intervistati ha un’età inferiore ai 50 anni, sono la tipologia di nucleo che presenta il tasso di accesso inferiore al RdC; il tasso di accesso maggiore riguarda i nuclei monogenitoriali con figli minori e le coppie di soli adulti.
Tra i nuclei beneficiari di RdC a reddito basso (inferiore a 800 euro mensili) i percettori di lungo periodo risultano la componente maggioritaria ed è interessante notare che l’incidenza massima dei nuclei che hanno avuto accesso al RdC nel 2020 riguarda la classe di redditi compresi tra 1.000 e 1.299 euro. Questo dato può essere letto come un primo segnale dell’impatto della pandemia Covid 2019 sulle famiglie a reddito medio. L’incidenza più elevata di famiglie che hanno subito una riduzione di reddito familiare nel 2020 rispetto al 2019 riguarda la popolazione che non ha mai beneficiato del RdC. In particolare, sono le coppie con figli minori a pagare le conseguenze più elevate nell’anno di pandemia appena trascorso, ossia i nuclei con il più basso tasso di accesso al RdC. Se, in media, il 25% dei nuclei presenta una variazione negativa di reddito tra il 2019 e il 2020, questo valore è doppio (49%) nel caso di coppie con minori.
“In termini generali questi dati indicano, da un lato, una buona capacità di tutela economica del RdC specialmente per i nuclei caratterizzati da redditi molto bassi, dall’altro confermano la relativa capacità di tutela della misura rispetto ai profili emergenti della povertà, come coppie giovani con figli e in cui è presente una (minima) fonte di reddito”, afferma la Caritas.
Il 51,6% delle famiglie beneficiarie del RdC è multivulnerabile, ovvero presenta contemporaneamente tre o più vulnerabilità. In particolar modo, questo grado di fragilità è maggiore tra i beneficiari di lungo corso (52%) e tra coloro che hanno avuto accesso alla misura nel 2020 (56,4%). “Nonostante ciò, i dati indicano nel RdC una valida forma di supporto rispetto alle vulnerabilità – continua la Caritas -. Rispetto ai percorsi di inclusione, in termini generali si registra un maggior coinvolgimento della platea dei beneficiari Caritas da parte dei Centri per l’impiego rispetto ai servizi sociali comunali: sono poco meno di un terzo (29%) i nuclei che dichiarano di aver avuto contatti con i CPI a seguito dell’accettazione della domanda del RdC, mentre il 26,4% risulta preso in carico dai servizi sociali e questa differenza permane anche se si considera la sottoscrizione dei Patti”.
Nelle famiglie caratterizzate da alto livello di marginalizzazione (reddito nullo o inferiore a 300 euro) è più alta la quota di nuclei firmatari di Patti per il lavoro (25,2%) rispetto alla sottoscrizione di Patti per l’inclusione (20,8%). “Questo dato colpisce – sottolinea la Caritas - perché, date le condizioni di forte marginalità, questi nuclei dovrebbero essere principalmente seguiti dai servizi sociali e secondariamente dai CPI”. Nessun beneficiario del RdC preso in carico dai CPI ha dichiarato di aver partecipato ad un ciclo di corsi di formazione. Al contrario, il 70% dei beneficiari dichiara di non aver ricevuto alcun tipo di formazione e questa quota è addirittura più marcata nelle famiglie maggiormente esposte a marginalizzazione (80% tra i nuclei con reddito familiare inferiore ai 300 euro, 86,1% con tasso lavorativo nullo e 87,5% con multi-vulnerabilità). Inoltre i nuclei familiari firmatari dei Patti presentano, sia rispetto al totale de beneficiari del RdC, che rispetto all’insieme delle famiglie intervistate nel monitoraggio, un tasso di ricezione di servizi Caritas più elevato, soprattutto rispetto a “beni e servizi materiali” e sussidi economici.
Importi insufficienti per 1 beneficiario su 3
Con riferimento agli importi, un beneficiario di RdC su tre percepisce un importo insufficiente rispetto al costo della vita del Comune di residenza: questa quota è lievemente maggiore tra i nuclei con minori (72%). Un ulteriore elemento segnalato dai percettori riguarda l’obbligo di spesa totale dell’importo nel mese di ricezione. Quasi un beneficiario su due infatti afferma che, qualora fosse possibile, preferirebbe non spendere la totalità dell’importo ricevuto, indicando, nella maggioranza dei casi, di poter arrivare a risparmiare non più di 50 euro al mese.
Beneficiari Caritas e nuovi profili di povertà
I dati della indagine longitudinale mettono di fronte a un tema di grande rilevanza: l’aumento nei beneficiari Caritas dei nuovi profili della povertà, ossia di quei nuclei caratterizzati da un’età giovane, la presenza di figli minori, un tasso lavorativo non nullo e, conseguentemente, la presenza di un reddito, anche se limitato, di discreta entità rispetto alla popolazione dei beneficiari Caritas. Questo gruppo risulta essere poco intercettato dal RdC, al contrario della popolazione più marginalizzata, ossia le famiglie a tasso lavorativo e reddito familiare nulli, che sono maggiormente “coperte” dalla misura. “Quindi, se da un lato i gruppi più marginalizzati risultano essere in parte tutelati dal RdC – afferma la Caritas -, si apre una questione rispetto ai profili emergenti della povertà, che risultano essere tra i più esposti agli impatti imputabili alla pandemia Covid-19”. L’affondo qualitativo con interviste in profondità, permette di approfondire dal punto di vista delle persone che si rivolgono alle Caritas alcuni aspetti delle loro condizioni di disagio e anche di caduta in povertà. “Dalle interviste è emerso come le condizioni di impoverimento sembrano emergere al crocevia di dinamiche piuttosto complesse e articolate dove le condizioni individuali si intrecciano anche con alcune problematiche di fondo che attengono al (mal)funzionamento di istituzioni sociali cruciali per il benessere delle persone, come il mercato del lavoro e le politiche di welfare”.
“Dalle interviste – continua - si delinea come le condizioni di povertà ruotino attorno all’impossibilità di avere risorse adeguate per affrontare il soddisfacimento di tre bisogni fondamentali: la spesa per il mangiare, la casa e le bollette. Sono questi i bisogni su cui nella gran parte dei casi si focalizza il racconto delle persone, descrivendo condizioni di vita particolarmente difficili e problematiche”.
Aspettative sul miglioramento di vita tradite dalla realtà
Se si considera l’accesso, gli intervistati raccontano di essersi attivati quasi immediatamente nella richiesta della misura, a fronte delle notizie diffuse in tv e sui social media, nonché del “sentito dire” circolato fra parenti, conoscenti e amici. Sono emerse, tuttavia, anche situazioni più specifiche in cui, invece, l’accesso alla misura è stato facilitato dal lavoro di sensibilizzazione e di indirizzamento svolto dagli attori impegnati in prima linea nel contrasto alla povertà, come i servizi sociali e/o le organizzazioni di privato sociale. Nonostante l’RdC, le difficoltà nell’arrivare a fine mese, però, spesso persistono e queste tendono ad acuirsi in particolare nei casi in cui l’importo riconosciuto è estremamente basso oppure non adeguato rispetto ai bisogni di vita. Il RdC è vissuto come un sostegno, ma le aspettative su un radicale miglioramento delle condizioni di vita per molti di loro sono state tradite dalla realtà dei fatti. In questo quadro, oltre a sensazioni di sconforto le persone raccontano anche situazioni di vero e proprio “malessere”. “Alcuni intervistati hanno affermato, infatti, di vivere con notevole disagio questa situazione e di provare una vera e propria ‘vergogna’ per il fatto di ricevere un sostegno economico, ma allo stesso tempo non essere in grado di acquisire una propria autonomia – afferma la Caritas - . L’assenza di lavoro e la situazione di dipendenza da ‘sussidio’, sembrano dunque determinare una serie di ripercussioni profonde nell’identità delle persone”.
Sospensione del Rdc dopo 18 mesi, un duro colpo
Una delle criticità maggiormente segnalate è stata quella della sospensione del contributo al 18° mese. In buona parte dei casi intervistati, infatti, un solo mese di sospensione comporta che si torni nuovamente a reddito zero: non ci sono risparmi su cui fare leva. E, dunque, si ricomincia daccapo: si ritorna alla Caritas e ad altre organizzazioni di privato sociale per la richiesta di pacchi viveri e per un aiuto nel pagamento delle bollette; oppure si ci rivolge alle reti informali di supporto, a conoscenti, amici, parenti. In casi estremi si ritorna, addirittura, a fare l’elemosina in strada. Oppure, consapevoli del fatto che con un mese di sospensione ci saranno sicuramente difficoltà, ci si muove in anticipo, facendo scorte alimentari prima che il RdC venga sospeso. “In una prospettiva attuale e futura, dai racconti emergono in alcuni casi, seppur circoscritti, condizioni di vera e propria disperazione in cui quello che si vede è solo ‘buio’ e l’assenza di speranza – conclude la Caritas -. A parte questi, nel complesso, emergono dai racconti in modo più sistematico e ricorrente due temi fondamentali: l’auspicio di trovare un lavoro, un’occupazione che renda autonomi e indipendenti e la possibilità di poter contare su una soluzione abitativa, che sia sostenibile e adeguata rispetto ai bisogni familiari e che permetta di vivere serenamente senza l’apprensione di non essere in grado di pagare l’affitto e di essere cacciati in strada. In questo quadro, il RdC viene inteso come un sostegno temporaneo, a partire dal quale si vuole tuttavia acquisire il prima possibile una propria autonomia e indipendenza”.