Il mondo avrà più fame di prima. Crescono gli indici delle materie prime di base. Il cibo costa sempre più caro

A livello macroeconomico, con la guerra, secondo i coltivatori diretti, rischia di venire a mancare dal mercato oltre un quarto del grano mondiale.

Il mondo avrà più fame di prima. Crescono gli indici delle materie prime di base. Il cibo costa sempre più caro

Nel mondo i prezzi degli alimenti di base sono sempre più alti. Quanto si temeva si sta avverando: cresce il numero di persone che rischiano la fame perché non ha i soldi per comprarsi il cibo. Da un certo punto di vista, poco importa la causa: effetti del clima sempre più pazzo, delle tensioni sui mercati internazionali dovute alle speculazioni oppure ancora al “effetto pandemia”, conseguenza della guerra Russia-Ucraina. E’ importante comprendere bene quanto sta accadendo.

Il dato di fondo è uno solo. L’indice Fao che misura i prezzi globali delle commodities agricole è arrivato a nuovi massimi livelli. La causa contingente è facile da individuare: il conflitto ucraino nell’area del Mar Nero che ha toccato pesantemente i mercati dei cereali di base e degli oli vegetali. A marzo l’indice si è attestato su una media di 159,3 punti, +12,6% rispetto a febbraio (mese in cui era già stato raggiunto il massimo livello dalla creazione dell’indice, nel 1990) e +33,6% su base annua. Guardando ai singoli prodotti, i prezzi dei cereali sono aumentati del 17,1% trainati da grano e cereali minori. Si tratta, dice sempre la Fao, delle materie prime che negli ultimi tre anni hanno rappresentato il 30% circa delle esportazioni mondiali di grano e il 20% di mais. Oltre a tutto questo, sempre in marzo, i prezzi del frumento sono cresciuti del 19,7% anche per le preoccupazioni sulle condizioni delle coltivazioni negli Usa, mentre quelle del mais hanno registrato un aumento del 19,1% su base mensile, raggiungendo un livello record, insieme a quelli dell’orzo e del sorgo. Per ora, si salva solo il mercato del riso che, ad oggi, registra addirittura prezzi inferiori del 10% rispetto ad un anno fa.

Molti numeri e dati statistici per dire una cosa sola: il cibo costa più di prima. Con tutte le conseguenze del caso. Confagricoltura a questo proposito ha sottolineato: “Stando alle previsioni della Fao e del Fondo monetario internazionale, a causa della guerra in Ucraina la penuria di cibo potrebbe colpire quest’anno 13 milioni di persone in più rispetto al 2021, con gravi ripercussioni di natura sociale”.

A fornire un’analisi lucida della situazione dal punto di vista della produzione e del consumo ci ha pensato Coldiretti, che in una nota ha spiegato come tutto questo provochi “nei Paesi più ricchi inflazione, mancanza di alcuni prodotti e aumenta l’area dell’indigenza alimentare, ma anche gravi carestie nei Paesi meno sviluppati come negli anni delle drammatiche rivolte del pane che hanno coinvolto molti Paesi a partire dal nord Africa come Tunisia, Algeria ed Egitto che peraltro è il maggior importatore mondiale di grano e dipende soprattutto da Russia e Ucraina. Ma in difficoltà anche Paesi come il Congo che importa da Mosca il 55% del suo grano e da Kiev un altro 15%”. A livello macroeconomico, con la guerra, secondo i coltivatori diretti, rischia di venire a mancare dal mercato oltre un quarto del grano mondiale. Una condizione che rischia di avere ripercussioni a medio-lungo termine. Non si tratta, infatti, solo delle condizioni dei mercati di oggi, ma anche di quelli di domani. Se la guerra non finirà presto (cosa difficile), saranno in forse le semine primaverili di cereali in Ucraina. Per Coldiretti è possibile pensare ad un dimezzamento della superficie seminata. Tutto senza parlare dei blocchi delle spedizioni dai porti del Mar Nero.

I fronti su cui lavorare sono molti. Per ora gli agricoltori ne mettono a fuoco due. Da un lato aiutare l’agricoltura dell’Ucraina a non perdere del tutto la sua potenzialità produttiva. Da questo punto di vista, Confagricoltura si è detta pronta a collaborare “per fornire agli agricoltori ucraini i mezzi tecnici necessari per le imminenti semine di mais e girasole”. Dall’altro, è necessario lavorare di più e meglio “per invertire la tendenza ed investire per rendere il Paese il più possibile autosufficiente per le risorse alimentari facendo tornare l’agricoltura centrale negli obiettivi nazionali ed europei”, ha detto Coldiretti. Investimenti, ricerca, solidarietà di filiera e di comparto, appaiono essere le uniche (complesse) soluzioni da adottare.

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Fonte: Sir