Il sociale va “rammendato”: il Pnrr è l'occasione da non perdere

La riflessione di Marco Rossi-Doria, tra gli autori del libro “Rammendare”, appena uscito in libreria. “Chi lavora nel sociale, in situazioni di prossimità, fatica a piegare le politiche e gli investimenti ai bisogni reali delle persone. Queste due dimensioni vanno 'rammendate' e i beneficiari devono trasformarsi in attori sociali”

Il sociale va “rammendato”: il Pnrr è l'occasione da non perdere

Ricucire politiche sociali e territorio, welfare e bisogni, terzo settore e istituzioni: è questo il “cambio di paradigma” indispensabile per rendere l'intervento sociale efficace. Per questo, occorre eseguire una serie di “rammendi”. E a questi “rammendi” è dedicato il volume “Rammendare. Il lavoro sociale ed educativo come leva per lo sviluppo”, di Patrizia Luongo, Andrea Morniroli e Marco Rossi-Doria, edito da Donzelli e appena uscito in libreria. Abbiamo chiesto a Marco-Rossi Doria di raccontarci meglio in cosa consistano questi necessari rammendi.

“Il sociale in Italia è fatta da un lato da grandi progettazioni e, finalmente, grandi investimenti, dall'altro dal rapporto diretto di grande prossimità con le persone. Questi due elementi spesso non si parlano e il primo vive come in un emisfero separato. queste due cose non si parlano molto spesso e la prima vive in emisfero separato. Due dei tre autori di questo libro hanno vissuto decenni della loro vita in una situazione di prossimità, cercando di piegare politiche e investimenti ai bisogni delle persone. Ma questi investimenti e strumenti non si adattano facilmente ai territori e per farlo hanno bisogno di un'operazione ulteriore. Ci sono buchi, insomma, che vanno rammendati, come nei calzini. Ma arrivai il momento in cui bisogna comprare altri calzini. Allo stesso modo, se le politiche pubbliche fanno così tanta fatica a piegarsi ai bisogni da richiedere sempre ore e anni di 'rammendo', allora vuol dire che sono pensate male, che c'è una struttura burocratica organizzativa diffusa, che non riesce a legarsi al compito per il quale queste politiche sono sorte”.

C'è però anche un altro “rammendo” da fare ed è quello che riguarda il superamento del concetto di beneficiario da un lato, di servizio dall'altro. “Quando si è in povertà – spiega Rossi-Doria - ci si percepisce e si viene trattati come impossibilitati a speranza e diritti, mentre si è invece cittadini con diritti che non riguardano solo la propria condizione, ma anche la possibilità di partecipare alla cosa pubblica e determinarne gli indirizzi, facendo in modo che scuola, Asl, quartiere siano abitati anche dalle proprie idee. Per poter motivare le persone a questo, gli operatori del terzo settore che lavorano in prossimità ogni giorno devono fare un cambiamento di prospettiva: bisogna superare l'idea che stiamo aiutando persone, pensando con convinzione che stiamo insieme alle persone, costruendo un tessuto condiviso di iniziative e proposte, per cui quelle persone aiutano se stesse, ridiventando pienamente cittadini, rientrando a pieno titolo nella scena della cittadinanza. Questo è un altro rammendo da fare, teso da un lato a favorire protagonismo e cittadinanza attiva, dall'altro lato a trasformare le organizzazioni, immettendole in una nuova prospettiva: non più erogatrici di servizi, ma promotrici di cittadinanza nel territorio. Questo non significa che i servizi non debbano esserci – precisa - ma che i due compiti stanno a braccetto: la persona deve smettere di essere beneficiaria per essere partecipe”.

La lunga esperienza di Rossi-Doria nel sociale e soprattutto quella, più recente, come presidente della fondazione Con i bambini, dimostra l'efficacia di questo approccio: “Ogni volta che questo cambio di paradigma avviene, seppur in modo imperfetto, c'è uno scatto di qualità: quel territorio si arma di speranza, quelle persone cambiano nella loro prospettiva verso il prossimo e verso se stesse, si disarmano il vittimismo e l'aggressività e si immette speranza, accompagnando le persone a occuparsi del proprio territorio. Quando questo invece non avviene e continuiamo a pensare ai servizi solo in quanto tali, la qualità ne risente in modo significativo”.

La terza autrice del libro, Patrizia Luongo ha una formazione e un'età anagrafica differente dagli altri due: “E' una giovane economista – spiega Ross-Doria- che aiuta gli autori a esporre un'altra prospettiva. Perché tutto questo di cui parliamo ha strettamente a che fare con l'economia. Se cresce la partecipazione civica nei troppi territori fragili del Paese, se si attivano le persone e questi territori, da zavorra, diventano promotori di sviluppo sostenibile, se si intreccia la formazione con la produzione di beni e servizi e nei quartieri impoveriti le persone si sentono protagoniste, questa non è la premessa di quello sviluppo sociale ed economico di cui tutti parlano? Va invertito il paradigma: è l'attivazione delle persone e la coesione sociale che promuovono lo sviluppo economico, non solo rispetto al Mezzogiorno ma in tutte le aree periferiche, urbane, interne. Ci troviamo davanti a una grande sfida: dopo anni di 'vacche magre', sono arrivati i fondi del Pnrr e si è aperta una nuova prospettiva in campo economico, per cui nessuno pensa più che il modello neoliberista che lascia indietro le persone sia l'unico possibile: tutti hanno capito che non funziona, che non reggono neanche i mercati. La sfida è usare bene questa grande occasione. C'è bisogno di superare distanza tra politiche e territorio in cui le persone vivono la loro vita”.

Si può essere ottimisti? C'è speranza che questa sfida si vinca, nei diversi contesti? Nella scuola, per esempio, in cui questo “rammendo” si è auspicato con forza durante la pandemia, sta avvenendo questa trasformazione? “Da un lato, lentamente, una trasformazione sta avvenendo: vediamo, tramite i progetti presentati a Con i bambini, comunità educanti che con fatica raggiungono i territori e creano prospettive. Vedo come sono accolti i ragazzi afghani e ora anche ucraini. Vedo scuole che creano autentiche alleanze tra educatori del terzo settore e insegnanti. Vedo segnali di messa in discussione dei vecchi paradigmi e tentatici di esplorazione delle novità... Al contempo, però, continuano a esserci rigidità, dirigenti che non ne vogliono sapere, obbrobriosità burocratiche, palestre che non si aggiustano da anni, anche se le associazioni sportive saprebbero ben gestirle. Ma sulla scena c'è una presenza di speranza, pur in un mondo che sembra tornato al secolo scorso, con una guerra d'invasione fatta con i carri armati e, prima, una grande pandemia. La speranza consiste nel fatto che oggi le culture diverse presenti nel terzo settore (cattolica, laica, conservatrice, progressista) su un punto convergono un po' di più: il mero dispositivo tecnico o monetario non produce effetti, se non vi è un accompagnamento determinato dalla relazione tra le persone”.

Chiara Ludovisi

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)