Inflazione agroalimentare. La crescita dei prezzi al dettaglio e dei costi di produzione sta mettendo in crisi l’intera filiera del cibo

Già da qualche settimana si sono registrati aumenti da capogiro dei prezzi dell’energia, del gasolio, di altre materie prime come i concimi.

Inflazione agroalimentare. La crescita dei prezzi al dettaglio e dei costi di produzione sta mettendo in crisi l’intera filiera del cibo

Inflazione. Che per l’agroalimentare colpisce duro: al dettaglio e alla produzione. Paradosso solo apparente di una filiera che soffre – al di là delle difficoltà determinate dalla pandemia -, di storture storiche che, adesso, fanno sentire tutti i loro effetti negativi.

A fare il punto sulla situazione, tra gli altri, ci hanno pensato i coltivatori diretti e, prima ancora, l’Istat. Per capire, bastano pochi numeri. Secondo l’istituto di statistica, il prezzo al dettaglio della pasta è cresciuto del 10,8%: è il segnale più chiaro delle difficoltà di un mercato che interessa tutti. Dall’altro capo della filiera, quello della produzione, già da qualche settimana si sono registrati aumenti da capogiro dei prezzi dell’energia, del gasolio, di altre materie prime come i concimi. Costi in salita che gli agricoltori ben difficilmente possono riversare sul resto della catena alimentare e che, invece, industria e distribuzione almeno in parte possono “girare” sui consumatori finali. Coldiretti parla di una “classifica che è il risultato dal mix esplosivo del rincaro dei costi energetici e dei cambiamenti climatici che impattano sull’ offerta di un bene essenziale come il cibo sul quale con la pandemia da Covid si è aperto uno scenario di accaparramenti, speculazioni e incertezza che deve spingere il Paese a difendere la propria sovranità alimentare”. Uno scenario non apocalittico, ma certamente preoccupante. E da prendere con grande attenzione. Anche per altri motivi. Proprio sull’agricoltura e sull’agroalimentare, infatti, la crescita dei costi pare colpire con forza. Sottolineano infatti ancora i coltivatori diretti che “la produzione agricola e quella alimentare in Italia assorbono oltre il 11% dei consumi energetici industriali totali per circa 13,3 milioni di tonnellate di petrolio equivalenti (Mtep) all’anno”.

E non basta ancora, perché accanto a tutto questo continuano ad esserci gli effetti delle condizioni strutturali della produzione agricola fatta, nella gran parte dei casi, in “fabbriche a cielo aperto” quali sono le imprese agricole. È un tema noto, che, tuttavia, non passa mai di attualità. I tecnici parlano di “vulnerabilità” del comparto. E hanno ragione. Gli andamenti climatici anomali hanno tagliato i raccolti con crolli che vanno dal 25% per il riso al 10 % per il grano, dal 15% per la frutta al 9% per il vino provocando peraltro, secondo i coltivatori, danni per oltre 2 miliardi di euro nel 2021 tra perdite della produzione agricola nazionale e danni alle strutture e alle infrastrutture nelle campagne.

Ed è appunto su una situazione di questo genere che si sono riversati i maggiori costi di produzione. Per le semine di grano per pasta e pane gli agricoltori – spiega la Coldiretti – sono stati costretti ad affrontare aumenti dei prezzi fino al 50% per il gasolio necessario per le lavorazioni dei terreni, senza dimenticare che l’impennata del costo del gas, utilizzato nel processo di produzione dei fertilizzanti, ha fatto schizzare verso l’alto i prezzi dei concimi, con l’urea passata da 350 euro a 850 euro a tonnellata (+143%). Ragionamenti e numeri simili caratterizzano anche altre coltivazioni.

Ma a questo punto che fare? Anche in questi casi viene invocato il Pnrr con le risorse finanziarie che potrà generare, utili per il rinnovamento delle tecnologie di produzione, la maggiore attenzione alle ricadute ambientali e al risparmio energetico. La questione, tuttavia, è che inflazione e alti costi di produzione sono oggi e non domani. Interventi diretti dello Stato per calmierare i prezzi e sostenere i bilanci delle aziende agricole, appaiono essere quasi irrinunciabili. Ma si tratta di manovre difficili, che devono fare i conti con il bilancio dello Stato e con le regole dell’Ue. C’è da sperare, a questo punto, che almeno le quotazioni delle materie prime e dell’energia presto possano diminuire. E che il comparto agroalimentare continui a svolgere la sua preziosa funzione.

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Fonte: Sir