La fase 2 nelle occupazioni a Roma. "Non ci preoccupa più il virus ma l’aumento della povertà"

C’è chi ha perso il lavoro, chi è in cassa integrazione senza ancora vedere un euro, chi lavora ma saltuariamente. Nelle occupazioni romani cresce la preoccupazione per il futuro. Sul piano sanitario, grazie anche al supporto di Medici senza frontiere, il coronavirus non fa paura. De Mola (Msf): “Nostro aiuto sociale, abbiamo formato le persone per prevenire nuovi contagi”. Di Noto (Bpm): “Persone senza lavoro, situazione drammatica”

La fase 2 nelle occupazioni a Roma. "Non ci preoccupa più il virus ma l’aumento della povertà"

Qualche settimana fa la notizia che il Selam Palace, palazzo occupato nella zona Anagnina di Roma, diventava la “prima zona rossa” della Capitale ha fatto temere il peggio. C’è chi parlava di “bomba sanitaria pronta ad esplodere” anche negli altri edifici occupati, chi di situazione fuori controllo. Nella realtà però, fatti salvi i contagi al Selam (circa 60) non si sono riscontrati altri casi nelle occupazioni romane. Non un caso. Roma è la città italiana con il maggior numero di edifici occupati, ognuno con una sua storia: ci sono quelli afferenti ai movimenti per la casa, ci sono quelli autogestiti dalle comunità che ci vivono, ci sono poi i siti informali. In quasi tutti sono scattate subito le misure di prevenzione, nei siti informali a occuparsene sono state per lo più le organizzazioni che da sempre fanno assistenza a migranti e rifugiati (Medu, Intersos, Msf). Nelle occupazioni a mobilitarsi sono stati per primi i movimenti.

Da qualche settimana a coadiuvarli c’è anche Medici senza frontiere che, in collaborazione con l’azienda sanitaria locale Roma 2 e Médecins du Monde (Mdm) ha allargato il suo intervento, per proteggere dall'epidemia di coronavirus le fasce più fragili della popolazione, italiana e straniera, che vivono in condizioni di marginalità e vulnerabilità sociale nella periferia sud-est della capitale. Le nuove attività hanno portato alla chiusura del presidio medico presso il Selam Palace, aperto per individuare e isolare eventuali casi con sintomi da Covid-19 dopo il ricovero in strutture ospedaliere di alcuni abitanti: in quasi un mese di attività il presidio non ha identificato nessun nuovo caso sospetto. Il personale socio-sanitario della Asl Roma 2 continua a monitorare l’edificio, facilitando l’iscrizione degli abitanti al Servizio Sanitario Regionale e il loro accesso ai medici di medicina generale e ai servizi pubblici territoriali.

L’idea è di coprire con una sorveglianza light gli insediamenti informali e le occupazioni - spiega Giuseppe De Mola, responsabile dei progetti di Medici senza frontiere a Roma -. In molti casi gli occupanti si erano già organizzati con tutte le misure corrette: come i controlli in entrata, l’igiene degli spazi, l’uso delle mascherine. Quello che abbiamo fatto è stato identificare in ogni edificio un referente di comunità e fare un training sulle misure di prevenzione per evitare la diffusione del contagio”. Tra le attività messe in campo anche quella all’interno delle rsa Covid 19 e nelle strutture, tra cui alcuni alberghi, dove erano stati trasferiti alcuni degli occupanti del Selam Palace, risultati positivi al coronavirus. Qui vengono monitorati sia dalla protezione civile che dal personale della Asl. “Noi siamo intervenuti sulla parte sociale. Molti erano positivi asintomatici, sono stati isolati ma non sempre riuscivano a capire perché non potevano uscire - aggiunge De Mola -. Abbiamo avviato un intervento di supporto, attraverso la mediazione culturale, che ci ha permesso di dare a tutti le giuste informazioni. Abbiamo fatto anche un supporto di tipo emozionale e psicologico per quelle persone che risultavano positive di nuovo dopo 15 giorni di isolamento”.

Le organizzazioni hanno attivato anche una linea telefonica dedicata ai bisogni di salute delle comunità, con un’attenzione particolare rivolta all’individuazione e alla gestione dei casi Covid-19. In prima battuta, gli operatori coinvolgeranno gli eventuali medici di famiglia degli utenti del servizio. In caso di necessità, un team medico delle due ong, (Medici senza frontiere e Médecin du Monde) in collaborazione con il servizio di assistenza domiciliare della asl Roma 2, effettuerà visite a domicilio, con la possibilità di somministrazione del tampone. “Con l’inizio della Fase 2, è ancora più importante concentrare l’attenzione sul territorio, a cominciare dai centri collettivi, formali e informali, dove le persone vivono in situazioni di precarietà e hanno maggiori difficoltà di accesso alle cure. Per farlo, è cruciale unire le risorse delle associazioni con quelle già esistenti nel sistema sanitario pubblico” aggiunge ancora De Mola. La linea telefonica, già attivata da Mdm all’inizio della crisi, è stata rafforzata per rispondere al meglio in questa seconda fase di gestione dell’epidemia. “Sarà necessario ottenere la fiducia dei nostri pazienti e a questo proposito sarà centrale il ruolo dei mediatori interculturali che affiancheranno il medico” dichiara Chiara Lizzi, coordinatrice in Italia di Mdm.

Nelle occupazioni che fanno riferimento ai movimenti per la casa non risulta ad oggi nessun contagio. “Abbiamo rispettato tutti i meccanismi preventivi, molti sono rimasti chiusi nella loro stanze, evitando di ospitare persone per non mettere a repentaglio gli altri - afferma Irene Di Noto di Bpm (Blocchi precari metropolitani). Dal punto di vista sanitario non abbiamo avuto problemi, la collaborazione con Msf ci ha aiutato a capire alcuni aspetti di questo virus sconosciuto. Ci tranquillizza sapere che se si verifica un problema sappiamo come intervenire, la formazione ci ha permesso di capire meglio le norme igieniche ma anche di acquisire la capacità per individuare spazi dove isolare le persone. Ora siamo autonomi anche nella gestione di un’ipotetica crisi. Ma, al di là della parte sanitaria, oggi ci preoccupa la questione economica”. Di noto spiega che una parte consistente delle persone all’interno delle occupazioni già prima dell’emergenza coronavirus faceva lavori precari.“Alcuni hanno continuato a lavorare, altri no come chi faceva le pulizie, il cameriere, il cuoco negli alberghi, oppure chi faceva la badante o lavorava in nero. Molti hanno perso il lavoro. Altri sono in cassa integrazione ma non vedono ancora i soldi”. Nelle prime settimane di lockdown il sostegno alimentare e sociale è arrivato con una redistribuzione interna delle risorse. “Con il passare delle settimane la situazione è peggiorata -aggiunge Di Noto - ora la crisi si sente. Alla dinamica di sostegno di comunità si è aggiunto un meccanismo di sostegno da pezzi del territorio: i genitori dei figli con cui i bambini vanno a scuola, le associazioni come Nonna Roma, hanno portato pacchi alimentari, oppure le donazioni dei mercati ortofrutticoli. Però ora la situazione si fa sempre più drammatica, da ieri qualcuno ha ricevuto i buoni spesa, ma il 98 per cento ancora non li ha visti. Abbiamo  protestato davanti all’assessorato per le politiche sociali di Roma. In questo momento non c’è nessuna prospettiva di sostegno economico, anche il reddito di emergenza ci sembra una misura  insufficiente, arriverà tra mesi e molti verranno esclusi per il problema della residenza”. A questo si aggiunge la questione dei minori, che hanno difficoltà a portare avanti la didattica a distanza. “Molte occupazioni romane sono formate da famiglie, i bambini sono tanti - conclude Di Noto -. Per seguire le lezioni usano i cellulari dei genitori, a Metropolitz abbiamo avviato un sistema di wi fi collettivo. Ma in molti sperano di poter tornare a scuola, perché così studiare è difficile”.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)