La fine di un mito. Cinquant’anni fa i Beatles, che avevano rivoluzionato la musica e il costume, decidevano di dividere le loro strade

John, Paul, Ringo, George avrebbero intrapreso la loro strada da solisti, ma il mondo non era più lo stesso.

La fine di un mito. Cinquant’anni fa i Beatles, che avevano rivoluzionato la musica e il costume, decidevano di dividere le loro strade

La notizia era nell’aria, ma quando il tg delle 20 e trenta dette la notizia, molti realizzarono che un mondo era inesorabilmente finito. E non era un modo di dire, una figura retorica, un’iperbole. No, era vero. Quel 10 aprile 1970 i Beatles non c’erano più. Sciolti, finiti, esplosi, anzi, implosi a causa dei continui dissapori. Il cammino di un’era nuova, fatta di chitarre elettriche amplificate fino a stordire, le frangette, gli stivaletti, i coretti in falsetto, le urla delle ragazzine sotto al palco o agli aeroporti, era giunto alla sua fine. Certo, John, Paul, Ringo, George avrebbero intrapreso la loro strada da solisti, ma il mondo non era più lo stesso. Perché Beatles significava, fin dal 1960, la riabilitazione del sorriso di contro il ghigno muscolare dei duri rockers, di una certa grazia saltellante, fans che cadevano in deliquio e venivano portate via a braccia o al pronto soccorso, un tocco geniale di follia di contro alla triste serietà del benpensante preso dal problema casa più bella, macchina più grande, più soldi in banca.

Ma non solo mossette e falsetti: ben presto entrarono nel loro repertorio canzoni che guardavano dentro la miseria, la solitudine, il non senso, come nel caso di Eleanor Rigby, in cui John e Paul chiedevano, narrando la solitudine di una anziana signora e di padre McKenzie: “tutta le persone sole, da dove vengono? Tutte le persone sole, a quale terra appartengono?”. Senza contare che tra il 1969 e il fatidico 1970 avrebbero fatto l’apparizione due loro lp, come si diceva allora: Abbey Road, con la famosa copertina in cui attraversavano le strisce pedonali, con quel “mistero” di Paul a piedi nudi, che contribuì ad alimentare la leggenda della sua presunta morte, e Let it be. Nel secondo, l’album del saluto definitivo, c’erano però due canzoni che hanno lasciato il segno: quella che dà il titolo al disco e The long and winding road.

Interpretata come una preghiera alla Vergine, Let it be è in realtà un sogno di Paul in cui la madre Mary, morta molti anni prima, quando lui aveva 14 anni e probabilmente ricordata anche nella loro più celebre hit, Yesterday, gli appare e lo invita a continuare, a lasciare che sia, ad accettare il momento di crisi in cui si trovava il gruppo. Soprattutto perché John aveva praticamente imposto la presenza di Yoko, che gli altri non accettavano di buon grado, e che assisteva a tutte le prove -e alle discussioni- dei quattro. Ma era solo la classica goccia che aveva fatto traboccare il vaso, perché dietro c’erano motivi economici, di scelte manageriali, crisi individuali, e banale, fisiologica stanchezza. E comunque i quattro di Liverpool avevano avuto momenti di avvicinamento alla religione, -soprattutto George-, il più celebre e controverso dei quali fu il viaggio in India: furono affascinati per una breve stagione dalla meditazione trascendentale del guru Maharishi Manesh all’epoca del grande sogno di una società costruita sull’amore, sulla pace, sulla comunità.

Rimaneva lo struggente ricordo, ancora una volta di Paul, l’anima melodica del gruppo, che in The long and winding road si chiedeva perché dovesse rimanere a piangere su un passato che non sarebbe più tornato. La lunga e tortuosa strada era ormai deserta. Non si poteva più guardare indietro, le cose senza le persone diventano trappole mortali, ed era inutile ripercorrere quella strada. Molto tempo sono stato solo, e per molto tempo gli occhi si sono velati di pianto, cantava Paul.
Era venuto il momento di lasciare, momento che però consegnava i quattro ragazzetti di Liverpool alla storia, non solo della musica.

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Fonte: Sir