Praglia, uno dei centri all'avanguardia per il restauro dei libri. Tutto ciò che è su carta si restaura

Praglia Uno dei più importanti centri italiani all’avanguardia per il restauro del libro e di opere d’arte su carta ha sede da 70 anni ai piedi dei Colli Euganei: oggi vi lavorano sia monaci che laici

Praglia, uno dei centri all'avanguardia per il restauro dei libri. Tutto ciò che è su carta si restaura

È uno dei più celebri laboratori di restauro del libro quello che ha sede nelle sale millenarie dell’abbazia di Praglia, promosso dagli stessi monaci benedettini. Fondato nel 1951, in oltre 70 anni di storia ha visto passare importanti volumi e preziosi incunaboli, e soprattutto ha vissuto tutte le trasformazioni di un mestiere che inizialmente era una pratica artigianale ed è divenuto oggi una professione che necessita di un’alta formazione. «Qui operiamo su ogni genere di supporto cartaceo e membranaceo, siano essi manoscritti o a stampa, opere su pergamena e anche fotografie – racconta Alberto Benato, direttore tecnico del Laboratorio di restauro del libro e di opere d’arte su carta di Praglia – Non di rado ci capita di restaurare anche manufatti polimaterici come i mappamondi. La parte da leone la fanno però i libri e i manoscritti». Quella del laboratorio di restauro è una delle molte attività dell’abbazia, come la cantina, la cosmesi, l’agricoltura e il laboratorio erboristico: tutte concorrono a sostenere il complesso abbaziale. Sbaglierebbe chi avesse però l’idea che vi operino soltanto monaci: al contrario, il laboratorio consta oggi di tre dipendenti laici che si occupano di restauro, e del supporto prezioso, benché con tempo limitato, di due religiosi. «Tutto il personale – precisa Benato – è formato in materia e ha titolo per operare sui volumi, maneggiarli e farvi interventi di restauro e conservazione. D’altra parte, per poterlo fare serve il riconoscimento ministeriale – senza non si potrebbe lavorare – e una laurea magistrale o un titolo di alta formazione e specializzazione. Poi, è necessaria molta esperienza: il titolo non basta. Una delle cose che facciamo costantemente è partecipare a corsi di aggiornamento, perché il settore è in continua evoluzione, cambiano le tecniche e gli approcci». I restauri realizzati a Praglia sono tutti commissionati dall’esterno, perché gran parte dell’antica biblioteca, acquisita dallo Stato dopo la soppressione ottocentesca dell’abbazia, oggi si trova suddivisa tra l’Archivio di Stato di Padova e la Biblioteca universitaria. Le commissioni arrivano spesso da enti ecclesiastici ma anche da enti pubblici, musei e biblioteche, e da alcuni privati in possesso di edizioni antiche. Sempre più spesso l’approccio a un restauro prevede oggi analisi diagnostiche preliminari: le più semplici eseguite direttamente nel laboratorio conventuale, quelle più strutturali appoggiandosi a ditte esterne o al Campus scientifico dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, legato al corso di laurea in Scienze e tecnologie per i beni culturali. Tra le opere restaurate negli anni scorsi spiccano i manoscritti originali del sacro convento di Assisi, ma anche la partitura originale della Semiramide di Rossini, conservata al teatro La Fenice di Venezia, e partiture del Tartini oggi all’Archivio della basilica del Santo. Non solo libri: il laboratorio è intervenuto anche su disegni su carta di artisti contemporanei del calibro di Mirò, De Chirico, Fontana, Segantini e Guttuso. «Spesso capita di intervenire su libri già restaurati – continua Benato – per riportarli all’origine o riparare i “danni” di questi interventi: è tra i lavori più difficili, perché un tempo i restauri non erano fatti con gli attuali criteri di reversibilità. C’era ad esempio un utilizzo di adesivi sbagliati, materiali che danneggiano irrimediabilmente il supporto cartaceo come quelli a base di colle di sintesi, viniliche, che non sono facilmente reversibili: soprattutto su materiali come cuoio e carta possono avere effetti deleteri». Se il libro non è stato restaurato, può comunque presentare problematiche come l’umidità, causata dalla conservazione in ambienti come soffitte e cantine; oppure problemi intrinsechi alla materia stessa o dovuti all’ambiente o a interventi dell’uomo. «Purtroppo ancora di recente mi è capitato di trovare archivi riposti in luoghi di fortuna come scantinati o depositi sotto il livello stradale. Anche per questo hanno fatto molti danni gli eventi come le inondazioni in Emilia Romagna e l’acqua “granda” di Venezia».

Enorme patrimonio sparso tra enti religiosi e Università

Sono varie le biblioteche e gli archivi che conservano volumi e documenti storici nel territorio padovano. Tra queste, un posto importante lo occupa la Biblioteca antica del Seminario diocesano di Padova, ovvero di quell’istituzione voluta dal vescovo Gregorio Barbarigo che in passato fu centro di istruzione superiore di livello paragonabile a quello universitario. La biblioteca si accrebbe nel tempo tra lasciti, acquisti (come la collezione del conte Alfonso Alvarotti, nel 1720) e donazioni, tra cui spiccano quelle dei vescovi padovani Nicolò Antonio Giustiniani e Francesco Scipione Dondi dall’Orologio. Nella biblioteca sono confluiti anche volumi dagli archivi dei monasteri soppressi nel periodo napoleonico, e possiede anche un’importante raccolta di stampe antiche (Collezione Marchese Federico Manfredini) e una di monete romane (Collezione Giovan Battista Sartori-Canova) Le collezioni della Sezione Antica sono ospitate nelle tre sale settecentesche al secondo piano del lato ovest dell’edificio del Seminario. Il patrimonio librario antico della biblioteca è costituito da 1.167 manoscritti, tra cui 224 codici medievali latini e alcuni greci, ebraici e arabi. Vi sono poi 483 incunaboli, oltre 10.558 cinquecentine e 12.728 seicentine, e circa 60 mila volumi del 18° e 19° secolo. Ospita tra gli altri autografi del Petrarca e del Galileo, e l’esemplare della Bibbia in tedesco stampata a Wittenberg nel 1556 da Hans Lufft, tradotta da Lutero (foto a pagina 3). Nell’orbita dei frati minori conventuali di Padova si situano invece due realtà: la Pontificia biblioteca antoniana – che appartiene alla Santa Sede come la stessa basilica del Santo – e la Biblioteca provinciale dei frati conventuali, quella che per statuto è deputata a essere il luogo di riferimento per i libri per l’intera Provincia religiosa di Sant’Antonio, che abbraccia ormai gran parte dell’Italia settentrionale. Quest’ultima è la Biblioteca Sant’Antonio dottore di via San Massimo: offre anch’essa un servizio di conservazione, ma nel patrimonio di 170 mila volumi è minoritario. La biblioteca conserva tra i manoscritti il celebre “Codice del Tesoro” contenente i Sermoni di sant’Antonio, e i globi terrestre e celeste di padre Vincenzo Coronelli, cosmografo della Repubblica di Venezia. Da non dimenticare poi a Padova le biblioteche referenti al Ministero della Cultura, ovvero l’Universitaria di via San Biagio e quella di Santa Giustina. C’è poi la biblioteca civica di Padova, che come quella Universitaria ha la duplice funzione di consultazione e di conservazione. Infine possiamo citare l’importante biblioteca dell’Orto botanico, di proprietà dell’Università di Padova (Ministero della Ricerca scientifica).

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