Quella che chiamiamo follia. Mostre, libri, fotografie, canzoni, quadri riaprono la questione del rapporto tra genio e sofferenza psichica

L’evento dell’esposizione di 50 opere del Kröller Müller Museum di Otterlo a Palazzo Bonaparte a Roma (fino al 23 marzo) riapre la grande, abissale questione del rapporto tra disagio mentale, ciò che chiamiamo follia, e genio, artistico e no.

Quella che chiamiamo follia. Mostre, libri, fotografie, canzoni, quadri riaprono la questione del rapporto tra genio e sofferenza psichica

“Vorrei sempre che le mie opere mostrassero cosa c’è nel cuore di questo eccentrico, di questo nessuno”. Nella lettera al fratello Theo del 12 luglio 1882 emerge l’autoconsapevolezza di Vincent van Gogh, un uomo segnato a dito come strano, solitario, “infimo degli infimi”, come si definisce egli stesso, che riesce però a dire il fondamento, allora nascosto, del suo genio. La parola auto-profetica e l’arte del dipingere si incontrano nel segnare un futuro, che, se non consolatorio, è almeno lavoro pratico, reale, sulla materia della tela: una praticità che veleggia oltre il tempo e diviene genio in un futuro neanche troppo lontano.

L’evento dell’esposizione di 50 opere del Kröller Müller Museum di Otterlo a Palazzo Bonaparte a Roma (fino al 23 marzo) riapre la grande, abissale questione del rapporto tra disagio mentale, ciò che chiamiamo follia, e genio, artistico e no. Questione posta anche per altri grandi della letteratura, ad esempio il poeta Dino Campana, morto nel 1932 dopo tanti anni di ricovero in manicomio, che però ha segnato la storia della poesia del Novecento con i suoi Canti orfici.

Questione riproposta anche dall’uscita di Oltre quel cancello (Il Formichiere ed.), un impressionante documento artistico con opere dei degenti, testimonianze e foto sul grande manicomio di Rieti prima della soppressione nel 1980, realizzato da due psichiatri che vi hanno lavorato, Manlio Paolocci e Tommaso Losavio e da uno storico, già direttore dell’Archivio di Stato di Rieti, Roberto Lorenzetti, che aveva scattato dagli anni Settanta delle foto presenti nel libro. Proprio da queste foto emerge un mondo fatto di solitudine, disperazione, mute domande, speranza, forse.

Se vediamo le opere figurative realizzate dai pazienti, però, si rimane di stucco: alcuni di questi quadri entra di diritto nel nostro canone di bellezza: un volto di Gesù, incoronato di spine, con gli occhi imploranti che guardano verso l’alto, dai lunghi capelli e dalla folta barba, esce dalla matita di Pascal, uno che è stato anni nella Legione Straniera. Fernando ha realizzato una stupenda, creativa, coesa nel colore, natura morta con vaso di fiori e bottiglia; alcuni animali, dipinti da Giacinta emergono da uno sfondo bianco e guardano fissi, immobilizzati dal loro stesso atto di guardare l’osservatore: impressionante per le inquiete domande che pone al solo sguardo.

Anche van Gogh fu ospite di manicomi, dormì sulla paglia come, un secolo dopo anche alcuni ospiti di un luogo claustrofobico – ora narrato e raffigurato -, prendendosi così parassiti che segnavano la pelle, e venendo lavati con lo spruzzo della pompa. E, come san Francesco, preferì la compagnia dei vagabondi, dei poveri, dei senza nulla, condividendo con loro il poco che guadagnava con i suoi lavori. Teorizzando nelle sue lettere la creazione di una comunità quasi monastica di artisti, il che la dice lunga sul suo sogno religioso e comunitario di ricerca totale, non solo artistica.

Il genio e la follia sono stati spesso avvicinati: van Gogh, Dino Campana e molti altri sono portati come esempio di sensibilità straordinarie che non possono esprimersi nelle quotidiane angustie e limitazioni di una vita dettata da orari e consuetudini. Se ne rammentò il cantautore statunitense Don McLean che in una canzone di inizio settanta, diventata di culto per quella generazione, cantò proprio quella sensibilità incapace di stabilire un accordo con il mondo e nello stesso tempo in grado di volare oltre, fino a incontrare il per sempre, come nella vita Vincent incontrò, con amore profondo, gli ultimi:

Ma avrei voluto dirti, Vincent
che questo mondo non era fatto per uno
bello come te (…)

Come gli sconosciuti che hai incontrato
straccioni vestiti di stracci

La spina d’argento di una rosa insanguinata
giace spezzata in frantumi sulla neve immacolata.

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Fonte: Sir