Recovery fund, Network Non Autosufficienza: è il momento di avviare la riforma

Il team di esperti lancia una proposta per includere nel Piano nazionale di ripresa e resilienza un investimento straordinario sulla non autosufficienza. “Sarebbe paradossale che un Piano nato per rispondere alla pandemia dimenticasse le principali vittime”. Franco Pesaresi: “Sul Piano è mancata una riflessione strategica”

Recovery fund, Network Non Autosufficienza: è il momento di avviare la riforma

Quale progetto potrebbe essere utile per gli anziani non autosufficienti e le loro famiglie?” In un Paese con oltre 13,8 milioni di over65 (nel 2050 saranno oltre 19 milioni) e dove sono stati proprio gli anziani a pagare il prezzo più alto della pandemia da Covid-19, questa sarebbe stata una delle domande cruciali da cui partire per stilare il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Ma così non è stato, almeno per quanto riguarda il lavoro fatto finora. Per questo motivo, il Network Non Autosufficienza (nato nel 2009 e composto da studiosi, dirigenti di servizi pubblici e privati e consulenti) nei giorni scorsi ha lanciato una proposta che parte proprio da questa domanda e che intende dare una risposta alle necessità degli anziani non autosufficienti e alle loro famiglie. “Costruire il futuro dell’assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia. Una Proposta Aperta per il Piano nazionale di ripresa e resilienza”, questo il titolo del documento scritto da Cristiano Gori (coordinatore), Antonio Guaita, Maurizio Motta, Franco Pesaresi, Marco Trabucchi, con la collaborazione di Rosemarie Tidoli. 

“Sarebbe paradossale che un Piano nato per rispondere alla tragedia della pandemia dimenticasse proprio coloro i quali ne sono stati le principali vittime, cioè gli anziani non autosufficienti”, spiegano i promotori. Ma così è stato, almeno fino ad ora. Una lacuna “sorprendente”, spiega Franco Pesaresi, del Network Non Autosufficienza che a Redattore Sociale racconta i dettagli della loro proposta. Per Pesaresi, sull’elaborazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza ha pesato la mancanza di una “riflessione strategica su quello che è davvero efficace ed importante per l’Italia in questo momento. Penso che sia accaduto perché il piano è frutto di una sommatoria di idee”. Ora, però, il quadro istituzionale è più complesso e l’incarico affidato a Mario Draghi dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, di costituire un governo di alto profilo potrebbe rappresentare un’occasione unica per intervenire in modo strutturale sul tema della non autosufficienza.

Il Network Non Autosufficienza, infatti, propone l’introduzione di una sezione dedicata all’assistenza agli anziani non autosufficienti nel Piano nazionale di ripresa e resilienza. Secondo i promotori - che in questi giorni hanno presentato anche il rapporto "L'assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia" - la proposta “permetterebbe di cogliere l’occasione offerta dal Pnrr per avviare quel percorso di riforma del settore atteso dalla fine degli anni 90, che la pericolosa combinazione tra le criticità esistenti e l’invecchiamento della popolazione suggerisce di non rimandare oltre”. Per Pesaresi, quella della non autosufficienza, è “la riforma mancante”, insieme a quella per le politiche per la famiglia il cui iter invece è in corso. “È l’unica riforma mancante nel settore del welfare e nel Pnrr abbiamo visto la possibilità di avviare un processo di riforma”.

Tre i pilastri della proposta. Si parte da un investimento straordinario nei servizi domiciliari per accompagnarne la riforma complessiva. Prioritario puntare sulla domiciliarità e l’ampliamento dell’offerta, di pari passo con il miglioramento degli interventi, lungo tre direttici, si legge nella proposta. “Primo, semplificazione: unificazione dei passaggi da svolgere per accedere alle misure pubbliche, superando l’attuale frammentazione, e collocazione in un sistema unico delle prestazioni oggi fornite separatamente da Asl, Comuni e Inps. Secondo, articolazione delle risposte: erogazione non solo degli interventi di natura medico-infermieristica, ma anche di quelli di sostegno nelle attività fondamentali della vita quotidiana. Terzo, sostegno alle famiglie: presenza di operatori che rappresentino per loro un punto di riferimento certo nel tempo, e interventi di affiancamento e sostegno dedicati a caregiver familiari e badanti”. Si tratta quindi di “pensare ad una assistenza domiciliare che venga offerta nella parte sanitaria e sociale in modo unitario - chiarisce Pesaresi - e che sia un’assistenza domiciliare con presa in carico di lungo termine, che quindi fornisca senza limiti di tempo sia assistenza sanitaria, ma anche assistenza nelle azioni della vita quotidiana”.

Il secondo pilastro della proposta è costituito da un piano nazionale di riqualificazione delle strutture residenziali, per assicurarne l’ammodernamento. “È un’esigenza nota da tempo e confermata, con tutta evidenza, dalle vicende della pandemia - si legge nel documento -  Tale azione consentirebbe di migliorare la qualità della vita degli anziani residenti”. Su questo tema, la proposta del Network prevede un investimento di 1,75 miliardi di euro. “Si tratta di finanziare un progetto di riqualificazione delle strutture non per la messa a norma, che deve esserci a priori - spiega Pesaresi -, ma per migliorare la qualità della vita degli anziani che vivono in queste strutture”. Terzo e ultimo punto riguarda le “azioni trasversali per favorire la progettazione e la realizzazione d’interventi adeguati”, come “l’introduzione di un’attività di monitoraggio dedicata al settore, oggi inesistente, e la riforma della governance, per superare l’attuale frammentazione delle filiere istituzionali interessate e collocarle in un sistema unitario”.

Una riforma, quindi, che chiede un vero e proprio cambio di paradigma. “Dobbiamo partire dall’affermazione che i caregiver familiari sono parte della rete assistenziale - spiega Pesaresi -. Se noi riusciamo ad affermare questo principio, anche i servizi sanitari e sociali si dovranno occupare della famiglia. E questo significa che per far stare bene l’anziano non autosufficiente noi dobbiamo assistere la famiglia. Un cambio di punto di vista: significa lavorare per considerare come parte della rete assistenziale i caregiver familiari, che sono i più numerosi, poi gli assistenti familiari, anche loro considerati in questo modo”.
Le ragioni della proposta sono diverse. In primo luogo c’è “l’assenza degli anziani non autosufficienti dalle grandi agende politiche”, sottolinea Pesaresi. “Si ritiene che non sia una priorità perché se ne occupano le famiglie con oneri molto pesanti - spiega Pesaresi -. Questo è il primo grande nodo che occorre sciogliere. Il secondo è quello che porta a non riconoscere che sia necessario un approccio totalmente nuovo su questo settore. Per affrontare un problema che ha dimensioni enormi occorre rivedere completamente l’approccio a questo tipo di assistenza e vuol dire lavorare con le famiglie, con gli assistenti familiari, trasformare l’assistenza domiciliare. Occorre cambiare modo di affrontare questo problema e su questo purtroppo ancora non si sono soggetti che hanno in mente di farlo”. Per Pesaresi, quindi, occorre far diventare la non autosufficienza “un tema degno di grande attenzione anche perché i numeri sono davvero straordinari. Qualunque paese guardando i numeri dei prossimi decenni ha collocato questo tema, insieme a quello della natalità, tra quelli più importanti per i prossimi anni”.
I tempi di attuazione della riforma dipendono proprio da quelli del Pnrr. Se il Piano dovesse essere presentato in sede europea entro i termini, “pensiamo che si possa cominciare a lavorare per la sua attuazione solo dalla fine del 2021 - spiega Pesaresi -. I primi sei mesi del 2022 saranno utilizzati soprattutto per mettere a punto tutti gli aspetti burocratici, mentre dalla seconda metà del 2022 potrà essere resa operativa l’attuazione. Abbiamo pensato ad un quinquennio con attività in crescita per arrivare a regime nel 2026”.
Last but not least il tema delle risorse. Complessivamente, la proposta richiede circa 7 miliardi di euro da spalmare nel quinquennio a venire. La parte più consistente dei finanziamenti è quella richiesta proprio dalla riforma dei servizi domiciliari (5 miliardi), seguita dalla riqualificazione delle strutture residenziali che costerebbe 1,75 miliardi di euro. Le risorse destinate alla riforma, tuttavia, sono pensate per essere incrementate nel tempo: da 0,5 miliardi di euro del 2022 si passerebbe a 1,5 miliardi nel 2026. Un incremento graduale, spiegano gli esperti del Network, “per consentire ai servizi nel territorio di adattarsi progressivamente all’incremento dell’offerta”. In questo modo, insieme agli attuali 1,7 miliardi di euro destinati alla domiciliarità si raggiungerebbe, a regime, quota 3,2 miliardi nel 2026 con un aumento dell’utenza che passerebbe dal 3,7% degli over65 al 6%.“La maggior parte dei beneficiari avrebbe una presa in carico per tutta la durata del periodo necessario, quindi ben più lunga di oggi. L’intensità, a sua volta, aumenterebbe sostanzialmente, diventando in media il triplo di quella attuale”.
L'inclusione dell'auspicata riforma nel Piano finanziato dal Recovery fund, tuttavia, non è priva di rischi.
Al contrario, bisogna stare molto attenti a come vengono programmate le risorse, mette in guardia Pesaresi.
I fondi ci sono per un certo periodo e poi non ci saranno più - chiarisce - e c’è il rischio di una caduta radicale negli interventi che si sono realizzati. Come si combatte questo rischio? Interpretando l’intervento come la creazione di presupposti e di inizio di un percorso che poi possa proseguire anche in assenza di questo contributo. Bisogna considerare il fondo come uno strumento che servirà a preparare un passaggio successivo”. (ga)

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)