Rifugiati ucraini, solo 13mila nel sistema di accoglienza italiano

Redattore Sociale è in grado di rendere noti i dati dettagliati di quante persone in fuga dall’Ucraina siano ospitate nei centri: 12.214 nei Cas, 1090 nel Sai. Miraglia (Arci) “Onere accoglienza scaricato sui privati”. Schiavone: “Fallimento dello Stato”. Maugeri (ActionAid): “Non c’è trasparenze nelle informazioni”

Rifugiati ucraini, solo 13mila nel sistema di accoglienza italiano

Sono 13.304 i rifugiati ucraini ospitati nei centri di accoglienza italiani: 12.214 sono nei centri di accoglienza straordinaria, 1090 nel Sai (Sistema di accoglienza e integrazione). Un numero bassissimo che sfiora appena il 10 per cento degli oltre 137 mila ingressi in Italia dei profughi (132mila dei quali hanno fatto richiesta di protezione temporanea come previsto dalla direttiva 55/2001). Questi dati, che Redattore Sociale per la prima volta può rendere noti, sono solo una parte dei numeri totali dell’accoglienza in Italia. In totale i migranti presenti nei centri di accoglienza di primo e di secondo livello al 27 giugno sono, infatti, 89.495, di cui  59.967 nei centri di accoglienza straordinari (Cas) e 29.528 nell'ambito dei progetti Sai.

“I dati sull'accoglienza degli ucraini nel sistema pubblico, dopo 4 mesi di guerra e 140 mila ingressi spiegano più di qualsiasi analisi che l'Italia ha scaricato in gran parte sui privati l'onere dell'assistenza ai profughi provenienti dall'Ucraina - sottolinea Filippo Miraglia di Arci e portavoce del Tavolo Asilo -. La proporzione poi tra Cas e Sai indica ancora una volta come prevalga la risposta emergenziale con soggetti e strutture non adeguate ad una accoglienza dignitosa”. Miraglia ricorda, inoltre, che l'accoglienza diffusa della Protezione Civile tarda a partire a causa di ostacoli burocratici “che potevano essere aggirati”.  “Ad oggi non è partito nessuno dei progetti approvati - aggiunge - Questa guerra non sembra destinata purtroppo a finire presto e sarebbe opportuno che lo Stato si occupasse di trasferire l'onere dell'accoglienza, che sta sperimentando anche processi positivi (la libertà di scegliere dove andare, la libertà di movimento) dal privato al pubblico prima possibile. Non si possono accettare in una crisi così grande e in una situazione di emergenza, risposte così tardive da amplificare i problemi dei profughi e un carico dell'accoglienza in capo ai privati per l'80%”. 

Nei giorni scorsi il Tavolo asilo ha presentato un documento con sei proposte dettagliate per riformare il sistema di accoglienza, a partire anche da quanto successo negli ultimi mesi con lo scoppio della guerra in Ucraina. “Tra i titolari di protezione temporanea, coloro che hanno avuto accesso al sistema di accoglienza pubblica sono circa il 10% ed è abbastanza sconcertante, anche considerando il fatto che i rifugiati ucraini percepiscono la loro presenza come temporanea - aggiunge Gianfranco Schiavone, presidente dell’Ics di Trieste e membro Asgi -. Lo considero un fallimento di dimensioni gigantesche del sistema pubblico. E’ un quadro che restituisce l’assenza dello Stato nell’assistenza a queste persone. Sono stati dati contributi ai singoli ed è anche probabile che le persone che vogliano vivere in condizioni normali, magari preferiscono stringersi a casa o da un parente anziché finire in un casermone. Però rimane un aspetto che deve farci riflettere: quell’accoglienza diffusa, promessa all’inizio non c’è stata, solo mille sono nel Sai, gli altri 12 mila nei centri di accoglienza straordinaria. Si riproduce in scala quello che denunciamo nel documento del Tavolo asilo, il sistema Sai, basato sui progetti con i Comuni si sviluppa sempre troppo poco in ogni situazione. Resta il malfunzionamento di fondo e la risposta deve essere nella programmazione futura, seria e adeguata, che ad oggi è sconosciuta a chi governa il sistema”.  

Cristiano Maugeri di ActionAid, che ogni anno realizza un monitoraggio sui centri di accoglienza in Italia, ricorda che si continua a parlare di “emergenza quando il sistema accoglienza non è in emergenza”. “Semmai c’è da anni un’emergenza nella gestione - spiega Maugeri -. Nel nostro lavoro cerchiamo di monitorare tutto il sistema ma è sempre più difficile perché non c’è trasparenza nella comunicazione dei dati. Nel 2020 abbiamo dovuto far ricorso al Tar per avere le informazioni sui bandi delle prefetture, abbiamo vinto e alla fine le abbiamo avute, ma non riusciamo ad avere un’interlocuzione diretta col ministero”.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)