Tornare all’essenza, nonostante le ferite. Le proposte di lettura del mese

L’insegnamento della religione, la cura della psiche sono parte di un difficile cammino che ci porta di nuovo verso la verità del Cristo.

Tornare all’essenza, nonostante le ferite. Le proposte di lettura del mese

Chi volesse capire in profondità il mondo – e la storia – di quella che un tempo veniva chiamata l’ora di religione dovrebbe leggere “Perché insegnare ancora religione” di due esperti del campo: Sergio Cicatelli è stato dirigente scolastico e insegna a sua volta Pedagogia, Didattica e Legislazione Scolastica in alcune università pontificie, oltre ad essere coordinatore scientifico del Centro Studi per la Scuola Cattolica della Cei, mentre Luca Raspi, psicologo e filosofo, è docente di Irc in un liceo. Due esperti del settore, insomma, e, oltretutto grazie alle loro competenze in grado di avere un quadro -e un’esperienza- a carattere interdisciplinare, che è vitale per la comprensione della questione. L’atipicità della professione di Irc è in realtà una ricchezza: in un mondo in cui tutto sembra orientato verso il pragmatismo e la professionalità specifica -e spesso acritica- l’insegnamento religioso potrebbe -il condizionale è d’obbligo per i motivi affrontati nel volume- rappresentare anche la possibilità di iniziare un percorso di pensiero in quei settori in cui alcune materie essenziali, come la filosofia, non sono curricolari. Perché le grandi questioni del perché viviamo, del valore dell’esistenza, dell’inizio e della fine affascinano i ragazzi, anche quelli più piccoli. Gli autori mettono assai bene in evidenza come questa potenzialità per lo più ancora inespressa possa diventare realtà soprattutto grazie alla personalità del docente. Si guardi bene, non solo alla sua preparazione, ma anche alla sua capacità di interagire con i giovani e di motivarli: “Se l’insegnamento è debole allora deve essere forte l’insegnante, o almeno deve supplire alla debolezza istituzionali con le sue doti personali”. La dinamica interdisciplinare è qui vitale, perché i giovani sono sensibilissimi alla dimensione filmica, a quella musicale e allo spettacolo in generale, e attraverso i rapporti tra immagine, canzone, libro, fede: un esempio storico è l’impatto che il film Jesus Christ superstar ebbe sull’immaginario giovanile di cinquant’anni fa, nonostante le derive orientaleggianti o addirittura nichilistiche. Ovviamente sta al docente stabilire i confini tra le libere interpretazioni degli autori e la correttezza esegetica. Il sacrificio in termini di impegno, aggiornamento, messa in discussione ideologica del proprio ruolo, fa notare giustamente e realisticamente questo libro, non è solo del docente di Icr, ma della professione di insegnante: stretta da una parte nel labirinto-inghiottitoio di una burocrazia anche a livello di programmazione, con scansioni temporali che prendono tempo da usare diversamente e completamente inutili ai fini della costruzione della personalità dei giovani e dall’altra penalizzata da una scarsa considerazione sociale -ed economica- mentre essa dovrebbe essere posta tra le responsabilità vitali di un paese come il nostro che trae radici dall’arte, dalla cultura e dal loro incontro con il sacro.
Sergio Cicatelli, Luca Raspi, “Perché insegnare ancora religione”. Prefazione di Daniele Saottini, San Paolo, 126 pagine, 15 euro.

Il dolore spaventa, certo, e fa male, e che male. Alcune sofferenze sembrano davvero senza riparo. Ma, fatti i necessari distinguo, talvolta la sofferenza ci aiuta a capire meglio noi stessi, in profondità, a crescere, ad affrontare le nostre idiosincrasie e i nostri limiti nei rapporti con gli altri e con noi. Il nuovo libro dello psicoterapeuta Massimo Scialpi, già autore di importanti libri sulle dinamiche dei gruppi e sul processo formativo e dinamiche relazionali, affronta dunque il continente rimosso dalla contemporaneità, che tende a eludere le resistenze del mondo e a tentare di spianare la strada alla comodità e alla dimenticanza di qualsiasi cosa che possa somigliare al dolore, al disturbo, alla fatica psichica. Come mette bene in evidenza l’autore in “La crepa”, cadere non è fallire, ma rafforzarsi, rimettersi in cammino nonostante le cadute, “scoprire le risorse più recondite della persona, soprattutto in un momento della vita in cui tutto è buio e senza risposte”. Ed è davvero affascinante e costruttivo l’esempio narrato in questo, una volta tanto, utile lavoro di cammino comune. L’amore stesso è un possibile rischio di sofferenza, ma noi accettiamo questo rischio e talvolta sappiamo farne tesoro, in qualche modo “ripariamo”, come fanno i giapponesi, servendosi di materiali preziosi, con gli oggetti che si frantumano, le nostre ferite, per ricominciare ad amare e ad essere amati. Lontano dalle facili soluzioni mediatiche a buon mercato -“non c’è un consiglio che valga per tutti” la parola d’ordine di questo volume- Scialpi aggredisce il concetto di normalità e di difesa rigida contro ogni fallimento, perché una difesa troppo organizzata distrugge la nostra fantasia e il nostro coraggio. La sofferenza non è la dimensione dei deboli, ma anzi, la capacità di reagire e trovare nuove forze dentro e fuori di noi, di aprirci all’esperienza, con le sue inevitabili sconfitte, e all’altro. Quella che chiamiamo nevrosi, scrive Scialpi, potrebbe essere un momento positivo di reazione e riorganizzazione psichica, in grado anzi, di salvare l’organismo e quello che qui viene chiamato “il biologico”. Un libro scritto da un esperto di cura della psiche, ma aperto alla cultura umana, consapevole della possibilità che lettura, ascolto, dialogo -molte le citazioni di filosofi, cantautori, poeti – partecipino alla costruzione del nostro cammino insieme.
Massimo Scialpi, “La crepa”, Fuorilinea editore, 120 pagine, 16 euro.

“Qualcuno sta passando lungo il mare di Galilea, ci sta aspettando in piedi sulla riva. È l’alba di un nuovo giorno”. Sorretta dai riferimenti, dichiarati nel testo, a Marco e Giovanni, la pagina finale di “ E’ il Signore!” di Vincenzo Battaglia apre una nuova prospettiva di lettura e esperienza di incontro con il Cristo, messa in evidenza anche dal sottotitolo: “invito ad un’esperienza cristologica”. L’autore, frate minore e presbitero, docente alla facoltà di Teologia nella Pontificia Università Antonianum di Roma, punta infatti sulle umane possibilità di avvicinamento all’insegnamento e alla persona di Gesù, la Ricerca, la Veglia, il Tatto, lo Sguardo. Battaglia insomma pone la prospettiva dalla parte dell’uomo, scavando nelle modalità in cui noi possiamo tornare all’incontro con il sacro e con il Redentore. Scorrendo le pagine di questo libro, ancorate filologicamente ai testi, attraverso comparazioni e richiami all’uso linguistico proprio del tempo, si ha una sensazione simile a quella di quando si ammirano i quadri di James Tissot, che abbandonando le raffigurazioni mondane, guarda al Cristo come il Cristo guarderebbe noi dalla Croce, ad esempio nella sua Crocifissione di New York. Rovesciando però l’angolo visuale. Nel caso di “E’ il Signore!” il punto di vista è infatti quello umano, perché Battaglia ci invita a guardare con occhi nuovi il messaggio di duemila anni fa, e, attraverso questo, a riscoprire l’essenza di parole più antiche celate nelle Scritture. Non è un caso che il libro termini con i richiami alla Sapienza –“La Sapienza è compagna di vita; ci viene incontro ‘come una madre’ e ci accoglie ‘come una vergine sposa’”- e al Cantico dei cantici, perché, scrive l’autore, “non si smetterà mai -non si deve smettere!- di cercare l’Amato, di seguirlo, desiderarlo, chiamarlo e contemplarlo”. Il ritorno alla prospettiva umana, tenendo conto però delle limitazioni di quella medesima prospettiva, che è anche una distorsione del soggetto, è la dimensione più affascinante di un libro che ha al suo centro il Divino, e i modi umani per tornare a quell’essenza che da una parte la paura della malattia e della guerra, dall’altra l’ipertrofia del benessere vuoto di significato hanno allontanato dal nostro orizzonte. Un volume da leggere per tornare non tanto ad una lettura più attenta soprattutto dei Vangeli, ma soprattutto ad una disposizione d’animo aperta e capace di cogliere l’eco di parole di salvezza ed amore.
Vincenzo Battaglia, “E’ il Signore!”, Antonianum, 243 pagine, 20 euro.

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Fonte: Sir