Imprigionati nella morsa del debito pubblico

Il peso insopportabile dei conti italiani e la visione miope del futuro a bordo del Titanic. Carlo Cottarelli, cremonese, 62 anni, già nel dipartimento ricerca di Bankitalia negli anni Ottanta, era stato scelto dal governo Letta per la Spending review, un incarico che ha lasciato nell’ottobre 2014. È uno dei direttori esecutivi del Fondo monetario internazionale. Ha pubblicato Il macigno. Perché il debito pubblico ci schiaccia e come si fa a liberarsene (Feltrinelli, pagine 175, euro 15).

Imprigionati nella morsa del debito pubblico

Il peso insopportabile dei conti italiani e la visione miope del futuro a bordo del Titanic.
Carlo Cottarelli, cremonese, 62 anni, già nel dipartimento ricerca di Bankitalia negli anni Ottanta, era stato scelto dal governo Letta per la Spending review, un incarico che ha lasciato nell’ottobre 2014. È uno dei direttori esecutivi del Fondo monetario internazionale. Ha pubblicato Il macigno. Perché il debito pubblico ci schiaccia e come si fa a liberarsene (Feltrinelli, pagine 175, euro 15). Ne ha parlato con gli studenti universitari dieconomia e, in sala Anziani di palazzo Moroni, al convegno promosso dall’associazione Elementi Liberali.

«Bisogna sapere che l’iniziativa della Banca centrale europea, che compra titoli di stato, non durerà per sempre. Il nostro debito pubblico è sopra il 133 per cento del Pil, una soglia che nella storia d’Italia è stata superata all’epoca della battaglia di Adua e della prima guerra mondiale…» esordisce. E ricorda la nonna che aveva venduto i terreni al fratello, investendo i soldi in titoli di stato: pensava di essere al sicuro e si è ritrovata povera.

La lezione arriva anche dalla storia economica recente dell’Italia.
«Negli anni Settanta i governi cominciano a spendere, soprattutto per sanità e pensioni. Il deficit dello Stato verrà compensato da Bankitalia che stampava moneta, ma l’inflazione arriverà al 20-25per cento. Così si va sul mercato e negli anni Ottanta il debito s’impenna fino al 120per cento del Pil. La crisi del 1992 impone di fare i conti con l’Europa, ma poi pensiamo di avercela fatta e ricominciamo a spendere mentre il Belgio dimezzava il suo macigno contabile» sintetizza Cottarelli.

Le cifre sono davvero impressionanti, perché con il governo Ciampi il debito tocca 1.069.415 milioni di euro. Nel 2007 con Prodi la soglia rientra sotto quota 100 rispetto al Pil. Ma con Letta e Renzi il macigno pesa più di 2 miliardi di euro fino al 132,8 per centodel Pil nel 2016.

Così oggi l’Italia con Grecia e Giappone “vanta” la zavorra più alta dei paesi sviluppati, che mina il bilancio dello stato e insieme frena l’economia con il rischio che si possa ripetere lo scenario del 2011.

La soluzione più naturale e ortodossa? «Tagliare la spesa pubblica e aumentare le tasse. Ma fa perdere le elezioni e, in alcuni casi, il lavoro a chi si preoccupava di Spending Review….» risponde con una punta di autoironia Cottarelli.

Sulla carta, ci sono quattro alternative. La prima è la bancarotta
«Negli ultimi 200 anni si contano 320 casi. Però equivale a smettere di fumare in un solo giorno. E significa azzerare anche la reputazione di uno stato. In Italia significherebbe anche tassare brutalmente i cittadini, perché il 60 per cento del nostro debito è nelle mani delle famiglie e delle imprese. E se il parametro è la Grecia del 2012, va ricordato che l’Italia ha un debito 6 volte e mezzo più grande».

Seconda strada, il ritorno alla lira.
Cottarelli discute seriamente l’ipotesi, caldeggiata dalla numerosi partiti (da Grillo alla Lega, da Fratelli d’Italia all’ultimo Berlusconi): «È vero che dal 2000 il reddito pro capite diminuisce rispetto all’area Ue. Tuttavia, la nuova lira farebbe immediatamente lievitare un’inflazione alta. E nessuno dice che la competitività recuperata sarebbe sotto l’ipotesi del drastico taglio ai salari reali a beneficio dei profitti dell’export».

Ancora, mutualizzare il debito europeo.
Cottarelli scuote la testa: «In teoria, sarebbe bello condividere nell’Ue il nostro macigno. Peccato che i tedeschi non siano scemi. E comunque negli Usa il debito di stato resta in capo a California, New York, eccetera e non diventa mai debito federale».

Infine, la privatizzazione formato turbo.
«Ammesso che ci si riesca, vendere i gioielli di famiglia con uno sforzo intenso anche in termini di velocità esecutiva porterebbe a ridurre il debito del 15 per cento in un decennio» replica l’economista.

Dunque, che fare?

«La strada maestra si persegue cercando di aumentare la crescita economica e applicando un moderato grado di austerità. Oggi c’è già un po’ di crescita intorno all’un per cento all’anno. Se non si aumenta la spesa, il pareggio di bilancio innesca una lenta ma continua riduzione del debito. Purtroppo, il governo con il Def 2017 ha previsto più uscite e il taglio delle tasse. Così l’inversione di tendenza, calcoli alla mano, slitta al 2021. Senza dimenticare che le regole europee imporrebbero il 60 per cento di debito su Pil, percentuale raggiungibile nel 2044…».

Per Cottarelli l’austerità vale comunque la pena: «I rischi si attenuano in un paese con un debito, sia pur alto, che si va riducendo. So bene che il pareggio di bilancio non appartiene al Dna dell’Italia unita, capace di raggiungerlo solo nel 1875 e 1876. Tuttavia l’attuale deficit del 2,1per cento si può gradualmente aggiustare come fanno le famiglie responsabili. Altrimenti, si può ripresentare la stessa situazione del 2011 in modo anche più forte imponendo un violento aggiustamento dei conti pubblici».

La conclusione dell’esperto del Fmi echeggia la canzone di De Gregori: il dialogo fra il mozzo e il capitano del Titanic come metafora della nostra Repubblica.
Il lavoratore di terza classe vede, eccome, l’incubo dell’iceberg che affonderà il transatlantico. Ma l’uomo al timone non è scalfito dal dubbio: vede solo un po’ di nebbia che annuncia il sole e continua a navigare tranquillamente…

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