Mobbing e discriminazioni: se avere un figlio diventa una colpa
Le più colpite? Le impiegate tra i 40 e i 50 anni, laureate e con contratti a tempo indeterminato. Tra i settori: commercio e servizi, ma anche scuola e sanità. Nei giorni scorsi le parole del Papa sulla necessità di tutelare le donne lavoratrici. Cecchini: “Dovrebbero dare una svegliata a tutti”.

“Le parole del Papa? Dovrebbero servire a dare una svegliata a tutti”
Fernando Cecchini, responsabile dello Sportello di ascolto sul disagio lavorativo della Cisl, commenta così le dichiarazioni di Papa Francesco che, il 31 ottobre, rivolgendosi all’Unione cristiana imprenditori dirigenti, ha detto “Troppe donne licenziate perché incinte. La donna va custodita nel suo doppio ruolo di lavoratrice e madre”, schierandosi quindi dalla parte delle donne e dei loro diritti sul lavoro.
Sono tante, troppe, quelle che perdono il lavoro all’annuncio di una gravidanza o che si ritrovano con mansioni diverse quando rientrano dopo il parto
Ogni anno un centinaio di lavoratori accedono allo Sportello di ascolto sul disagio lavorativo della Cisl, attivo dal 2000, a cui si aggiungono quelli che chiedono aiuto via e-mail o al telefono.
“Sette su 10 sono donne, la maggior parte ha avuto problemi legati a gravidanza o maternità – continua – Tramite il mio impegno cerco di aiutare al meglio le donne/mamme, vittime del terrore di perdere l’impiego in questo momento di crisi, senza dover cedere a molestie o vedere calpestate dignità e professionalità”.
Chi sono queste donne? Quante rispetto alla popolazione maschile? Che età hanno? Quale preparazione culturale? E cosa chiedono?
È quanto ha analizzato una indagine realizzata dallo sportelo su lavoratrici che si sono dichiarate ‘vittime di violenze morali’. Le donne sono la maggioranza dei lavoratori che chiedono aiuto (il 70%), di cui poco più del 5% sono di origine straniera. Le più colpite? Le lavoratrici tra 40 e 50 anni.
“Si tratta della fascia di età maggiormente produttiva, certamente ricca di competenza e maturità professionale – spiega Cecchini – La fascia di età nella quale si tende a lasciare l’azienda per sfuggire a una situazione di sofferenza è quella tra 20 e 30 anni, età in cui si ha ancora una speranza di ricollocarsi nel mercato del lavoro”.
Dal punto di vista del contratto, sono maggiormente colpite le titolari di un contratto a tempo indeterminato, “diventano indesiderate grazie a tipologie di contratti più favorevoli all’imprenditore, che può disporre di manodopera a buon prezzo pronta a tutto per avere un minimo di salario”, laureate e diplomate, “che spesso sono più consapevoli dei propri diritti”, le impiegate, “va tenuto presente che le donne quadro sono la minoranza, per cui sono più esposte”.
Tra i settori, il commercio e i servizi hanno il primato in quanto impiegano una percentuale di manodopera femminile molto elevata. A cui vanno aggiunti la sanità e la scuola.
“Si rivolgono a noi per chiedere aiuto – spiega Cecchini – E noi cerchiamo di trovare una soluzione per farle uscire da quella situazione. A volte si risolve bonariamente, altre volte i tempi sono lunghi”.
Uno dei problemi maggiori quando si parla di mobbing è l’assenza di una legge che chiarisca e definisca il fenomeno, tanto che oggi per identificare azioni riconducibile a questo termine si fa riferimento all’articolo 2087 del codice civile, che risale al 1942.
Secondo l’Agenzia europea per la salute e la sicurezza sul lavoro, con il termine ‘disagio lavorativo’ si identifica la sofferenza che ha origine da una serie di tematiche che vanno da stress dovuto a disorganizzazioni lavorative al mobbing causato da ripetute molestie morali, al burnout provocato dalla delusione professionale fino alle molestie sessuali, ai casi di umiliazione e prepotenza e alle violazioni contrattuali.
Come è accaduto a una responsabile amministrativa che, nel 2011, ha avuto una bambina. “Rientrata al lavoro, ho trovato cambiamenti e mi sono sentita un pesce fuor d’acqua”, ha raccontato allo sportello.
Poi è arrivata la seconda figlia, la maternità anticipata, il congedo. “Prima di rientrare in azienda – continua – sono stata contattata dall’avvocato della compagnia che, in vista di un prossimo licenziamento di massa, mi ha proposto di dare le dimissioni con 5 mila euro di buona uscita comprensiva di tutte le spettanze”.
La donna non ha accettato ed è tornata al lavoro, dove ad attenderla c’era un demansionamento (da responsabile amministrativa è stata messa a fare lavori di segreteria), freddezza anche da parte dei colleghi, contestazioni pretestuose da parte dell’azienda. “A seguito di questo ho iniziato a non stare bene fisicamente e psicologicamente e oggi sono in cura da uno psichiatra. Sono stanca e a volte penso di mollare tutto”.
Tra le conseguenze del disagio lavorativo ci sono sia danni sulla salute che psicologici, ma anche nel campo delle relazioni
Che a volte si ripercuotono anche sulle persone che vivono con la lavoratrice. È il caso di una delle donne che ha chiesto aiuto alla Cisl: “Il mio capo mi ha detto che non ero riuscita a creare un clima positivo intorno a me, che i colleghi mi vedevano male. Ero costretta a riferire il mio operato a un collega, ma i resoconti che preparavo non venivano letti e quando lo erano, si cercavano rilievi pretestuosi. I colleghi non mi parlavano e alcuni solo quando erano soli con me si scusavano del loro comportamento in presenza di altri. Mi sentivo isolata e sono stata male: tachicardia, tremore e mancanza di aria”.
Poi si è vista negare il permesso per portare la figlia a una visita specialistica prenotata da mesi. “Il pensiero di dover rinunciare alla visita per la mia bambina mi ha gettato in un tale stato di ansia da dovermi rivolgere al Pronto soccorso”.
Poi il malessere ha preso il sopravvento e R. ha dovuto chiedere giorni di malattia a cui l’azienda ha risposto con le visite fiscali, ripetute. “Mia figlia ha iniziato a risentire del mio stato, mangia meno, è nervosa e dorme male. Anche il rapporto con mio marito sta peggiorando. Ho bisogno di lavorare ma non credo che rientrerò in azienda”.