La storia di Este Santa Tecla

Secondo la tradizione, fu san Prosdocimo a portare il cristianesimo a Este. L’intitolazione a santa Tecla, vergine e martire discepola di san Paolo, fa riferimento alla diffusione del suo culto avvenuto in alta Italia tra la fine del quarto secolo e l’inizio del sesto.

La storia di Este Santa Tecla

Il toponimo Este, probabilmente da Athesis, antico nome del fiume Adige che in epoca romana bagnava la fiorente cittadina euganea sorta prima della stessa Padova, compare per la prima volta nel 141 avanti Cristo. Secondo la tradizione, fu san Prosdocimo a portare il cristianesimo in questa località.
L’intitolazione a santa Tecla, vergine e martire discepola di san Paolo, fa riferimento alla diffusione del suo culto avvenuto in alta Italia tra la fine del quarto secolo e l’inizio del sesto.

Il paese subì nell’alto medioevo le invasioni barbariche e nel 589 la famosa “rotta della Cucca” che deviò il corso dell’Adige.
Sta di fatto che per ritrovarne traccia nei documenti pubblici bisognerà attendere il 955 (Ateste, Adeste, Est e quindi Este sono i nomi con cui viene citato negli atti tra 10° e 11° secolo).
La pieve di Este faceva parte di quei possedimenti che il vescovo Burcardo nel 1034 donò al monastero padovano delle Benedettine di Santo Stefano. Ne conosciamo la titolare, santa Tecla, dall’atto con cui l’antipapa Clemente III nel 1091 ne confermava la proprietà a quel monastero. Erano quelli gli anni di Alberto Azzo II, conte di Lunigiana e capostipite dei marchesi d’Este, durante i quali la cittadina stava riprendendo vigore.
E proprio presso uno degli Estensi, Folco, trovò rifugio tra 1110 e 1120 il vescovo di Padova Sinibaldo, fuggito dalla città a causa delle lotte con il vescovo scismatico Pietro e con il suo protettore Enrico V. Fu probabilmente in quel periodo che la chiesa di Santa Tecla, divenuta di fatto “cattedrale”, venne abbellita o forse ricostruita.

Il battistero era un edificio indipendente, antichissimo. Dopo la visita del vescovo Barozzi, che la giudicò poco organica, si cominciò a lavorare alla chiesa romanica completando le navate laterali e probabilmente la facciata.
Il duomo fu radicalmente rielaborato nel 1583-92 e completato con una facciata progettata da Vincenzo Scamozzi. Il 15 aprile 1688 un forte terremoto danneggiò talmente l’edificio che se ne decise la totale ricostruzione.

La prima pietra del nuovo duomo, progettato dal veneziano Antonio Gaspari, allievo di Baldassare Longhena e ammiratore del Palladio e del Bernini, fu benedetta dal vescovo Gregorio Barbarigo il 14 maggio 1690. Fu realizzata una chiesa a navata ellittica, con un profondo presbiterio e otto cappelle radiali: le quattro centrali sono poco profonde, mentre le due laterali alla facciata sono più profonde e quelle ai lati del presbiterio sono molto più elaborate con abside semiellittica e una cupola su tamburo ovale. Anche la nuova chiesa aveva l’altare rivolto ai fedeli, anticipando in ciò di 300 anni la riforma liturgica.

La struttura venne completata nel 1720, le rifiniture proseguirono fino alla sua consacrazione nel 1748 da parte del cardinale Carlo Rezzonico, il futuro papa Clemente XIII.
Tra 1703 e 1705 fu costruita la casa arcipretale; tra 1724 e 1730 fu allungato il campanile duecentesco su base dell’ottavo secolo; nel 1723 fu abbattuta l’antica chiesetta di San Giovanni battista per ricostruirvi il nuovo battistero.

Nel 1896 per decreto di papa Leone XIII l’arcipretale di Santa Tecla è stata elevata al titolo onorifico di chiesa abbaziale.
Nel duomo sono conservati ancor oggi i corpi di tre santi, testimoni della fede cristiana: quello di san Valentino è custodito nell’oratorio a lui intitolato, costruito sopra la sacrestia nel 1627; quello del martire romano san Lucio, attualmente sopra l’altare della Madonna del Carmine, vi venne trasportato nel 1652; quello della beata Beatrice d’Este è a Santa Tecla dal 1957, quando vi venne traslato dalla chiesa di Santa Sofia che lo custodiva fin dal 1578.

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