Chiesa, grande famiglia. La Chiesa può acquisire i connotati di una famiglia se è capace di non scordarsi di nessuno

Sarebbe bello che pastori e laici, insieme, senza delegarsi reciprocamente le responsabilità, sappiano “vedere” le persone sole, renderle protagoniste, metterle al centro virtuoso della vita comunitaria.

A coloro che non hanno una famiglia naturale bisogna aprire ancor più le porte della grande famiglia che è la Chiesa, la quale si concretizza a sua volta nella famiglia diocesana e parrocchiale, nelle comunità ecclesiali di base o nei movimenti apostolici. Nessuno è privo della famiglia in questo mondo: la Chiesa è casa e famiglia per tutti, specialmente per quanti sono «affaticati e oppressi» (cfr. Mt 11,28).

Giovanni Paolo II, Familiaris Consortio, n.85, 22 novembre 1981

Chiesa, grande famiglia. La Chiesa può acquisire i connotati di una famiglia se è capace di non scordarsi di nessuno

Quasi al termine del suo corposo documento, nel penultimo paragrafo di Familiaris Consortio, Giovanni Paolo II denota una sensibilità tutta particolare nel volersi rivolgere a quelli che chiama “i senza famiglia”. Il suo sguardo, come sempre, spazia sull’umanità intera e comprende tutti coloro che, spesso non per loro deliberata volontà, si trovano di fatto a vivere senza il sostegno e il calore di una vera famiglia. Possono essere motivi di grande povertà, di promiscuità, di mancanza di cultura ma è certo che nel mondo sono davvero tantissime le persone sole, che non hanno legami diretti con i loro familiari, perché li hanno persi o non sanno come riallacciarli.
A loro il Papa volge il suo pensiero considerandole persone “particolarmente vicine al Cuore di Cristo” e per questo degne dell’affetto e della sollecitudine della Chiesa. Si apre quindi un discorso che cambia la prospettiva rispetto a quelli fatti in precedenza. Non esiste solo la famiglia quale chiesa domestica, focolare animato dallo Spirito, a cui la comunità ecclesiale guarda come cellula primordiale e vitale dell’esistenza; c’è anche una Chiesa, come popolo di Dio, che è chiamata a fare proprio sempre più uno spirito di famiglia per poter accogliere tutti, ma proprio tutti nel suo grande abbraccio, che – come il colonnato del Bernini in Piazza San Pietro – vuole davvero comprendere il mondo nella sua vastità e diversità. C’è allora un grande esercizio di conversione che tutte le realtà ecclesiali possono voler fare, dalla Curia, alle realtà diocesane, fino ovviamente a quelle parrocchiali e ai movimenti.

La Chiesa può acquisire i connotati di una famiglia se è capace di non scordarsi di nessuno, se come una madre accudisce tutti i suoi piccoli in egual misura e anzi dedicando le cure più premurose a chi è più bisognoso. Ci sono tante persone, anche in Italia, che sono “sole al mondo”, come si suol dire. A loro la comunità deve aprire le porte della Chiesa, per loro le panche dove si siede l’assemblea durante l’Eucarestia, o i saloni parrocchiali dove si svolgono le attività caritative e pastorali, per loro in modo particolare questi luoghi devono avere il profumo di casa. Spesso succede che molte di queste persone siano attivamente impegnate in parrocchia e a loro si debba una grande dedizione e spirito di servizio. A loro sarebbe bello andasse la gratitudine esplicita di molti, non solo dei sacerdoti, ma anche dei bambini e dei giovani. In tante altre occasioni si tratta di persone poco visibili, che tendono a stare ai margini, che non si fanno sentire e che pure, magari, nutrono una profonda vita di preghiera.

Sarebbe bello che pastori e laici, insieme, senza delegarsi reciprocamente le responsabilità, sappiano “vedere” queste persone, renderle protagoniste, metterle al centro virtuoso della vita comunitaria. Penso a quelle persone anziane che con la loro stessa fedeltà al Rosario o all’Eucarestia quotidiana tengono accesa per tutti la lampada della fede. Magari spesso tante di loro tornano a casa e non c’è nessuno che le accoglie. Quanto è prezioso che si sentano accolte in parrocchia e valorizzate per quello che sono e per quello che sanno fare. Vi sono poi anche tanti single, come si chiamano oggi: persone che per scelta, ma molto spesso per necessità non voluta, non hanno trovato con chi fare famiglia. Alla parrocchia l’invito è a non giudicare le scelte e le responsabilità di queste persone prima di aver aperto loro la porta e averle accolte in quanto tali. Molte di loro potrebbero proprio essere “affaticate e oppresse” come dice il Vangelo ed è urgente per chi si dice cristiano andare loro incontro e farsi prossimo. Ancora una volta il sogno che tante volte già diventa realtà è quello di una comunità viva in ogni sua parte, in cui tutti si sentano a proprio agio, spronati ad essere loro stessi, a sapersi incoraggiare reciprocamente, a correggersi vicendevolmente. Bello è ricevere vita dal Corpo di Cristo spezzato per tutti e a saperla donare perché nessuno si senta solo mai, ma tutti amati nell’unico amore di Dio che non si scorda proprio di nessuno.

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Fonte: Sir