Caritas. Sfruttamento lavorativo. Sono numerosi i lavoratori invisibili, ce ne accorgiamo?

Sfruttamento lavorativo. Fenomeno preoccupante anche in Veneto difficile da intercettare anche per i corpi sociali che hanno come obiettivo il suo contrasto. Attivo il progetto Navigare su tutto il territorio della Regione

Caritas. Sfruttamento lavorativo. Sono numerosi i lavoratori invisibili, ce ne accorgiamo?

Invisibili. Nascosti sotto un tappeto di indifferenza, a volte solo di ignoranza. Sono lì, che raccolgono i nostri ortaggi, operano nelle nostre fabbriche, preparano il nostro cibo. Sono qui, a pochi chilometri da casa nostra. Dormono in baracche, lavorano senza orari per una paga inferiore a qualsiasi contratto di lavoro. Ma un contratto il più delle volte non ce l’hanno. Lo sfruttamento lavorativo resta un fenomeno preoccupante anche in Veneto. Accanto alla tratta a scopo sessuale – che colpisce in modo preponderante le donne – lo sfruttamento è una piaga ben presente quanto “lontana dagli occhi e lontana dal cuore” dalla popolazione, difficile da intercettare anche per i corpi sociali che hanno come obiettivo primario il suo contrasto. Nel dicembre scorso è giunto a scadenza il progetto “FARm”, acronimo per Filiera dell’agricoltura responsabile, che ha operato in Veneto, Lombardia, Trento e Bolzano anche con la campagna “Io R-Esisto” contro il caporalato in agricoltura. Resta invece attivo il Progetto Navigare-Network anti-tratta per il Veneto, intersezioni, governance e azioni regionali, attivo in tutto il territorio regionale 24 ore su 24. «Quando si parla di sfruttamento lavorativo – racconta Roberta Amore, operatrice sociale di Equality, cooperativa attuatrice del Progetto Navigare – si fa riferimento a tutte le situazioni dove vengono totalmente alienati i diritti delle persone». Lo sfruttamento avviene nell’industria, nel settore manifatturiero, ma – dalle nostre parti – soprattutto in agricoltura. «Ci possono venire in mente situazioni come quelle del Sud Italia note alle cronache. Eppure ci sono molti casi nella nostra Bassa Padovana».

L’identikit dello sfruttato – per la totalità extracomunitario e per la stragrande maggioranza di sesso maschile – ha come tratto caratteristico la forte responsabilità percepita nei confronti della propria famiglia nel Paese d’origine: per il bene dei propri cari è possibile accettare, senza lamenti e obiezioni, di lavorare sette giorni su sette, anche più di dieci ore al giorno, per paghe ben al di sotto dei più comuni standard. In media incassa cinque euro l’ora, a volte anche meno. Una miseria che però i caporali riescono in parte a rimettersi in tasca: «Spesso lo sfruttatore offre anche l’alloggio. È un’offerta che può sembrare allettante, ma dietro una spesa anche di centinaia di euro si trovano in condizioni dove sono assenti i benché minimi standard sanitari». Per risolvere il problema occorre prima di tutto riconoscerlo: «Lo sfruttamento è accanto a noi e senza saperlo ci coinvolge come consumatori – conclude Roberta Amore – Tocca anche a noi non chiudere gli occhi». Il numero verde anti-tratta è sempre attivo all’800-290290 per segnalare criticità.

Fenomeni di schiavitù dietro a certi contratti

«Siamo in dieci in casa. Non c’è riscaldamento, non c’è acqua calda, solo un fornellino e dei materassi per terra». Roberta Amore, operatrice di Equality, soggetto attuatore del Progetto Navigare della Regione Veneto, racconta un caso di inizio 2021: «Questi giovani lavoravano dieci ore al giorno e avevano come unico rifugio un casolare diroccato, del quale avevano anche da pagare un affitto di 150 euro a testa ogni mese». Dietro l’apparente legalità di contratti part time di facciata si possono nascondere fenomeni di vera schiavitù: «Chi chiede di essere pagato di più, oppure inizia a rendersi conto dell’ingiustizia subita può subire ritorsioni o non essere pagato per mesi».

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