Don Fabio Spinello nuovo prete. "Ho imparato ad affidarmi a Lui"

Nato l’11 marzo 1988, è originario di Pontelongo. Prima di entrare in Seminario ha studiato al liceo scientifico, e poi si è laureato in ingegneria elettronica. È entrato a Casa Sant’Andrea a ottobre 2015; è passato al Maggiore a settembre 2016. Ha prestato servizio nell’up di Piove di Sacco, a Ponte di Brenta e nell’up di Piovene Rocchette (anno del diaconato).

Don Fabio Spinello nuovo prete. "Ho imparato ad affidarmi a Lui"

Don Fabio, mancano pochi giorni. È un momento che aspettavi da tanto e per il quale sei stato a lungo accompagnato. Come stai?
«Le varie attività di fine anno e i preparativi per l’ordinazione ci tengono impegnati. Non c’è ansia, ma l’emozione cresce, non solo perché arriva il termine di un percorso, ma anche perché se ne apre uno nuovo».

Cosa hai scoperto su di te in questi giorni che prima non sapevi?
«Sto coltivando l’atteggiamento dell’affidamento, cioè del dirmi che non è tutto in mano mia, che non devo essere io a decidere tutto fino al dettaglio, e che il Signore opera anche nelle piccole cose. È un sentimento che a volte devo sforzarmi di coltivare: la mia indole mi porterebbe a pianificare e a tenere tutto sotto controllo».

Qual è la tua relazione con il Signore e, in questi momenti soprattutto di affidamento, che aspetto di lui più ti avvicina?
«Mi vengono in mente due parole. La prima è amicizia, sento il Signore come una presenza, un amico che vuole il mio bene e con il quale posso stare in confidenza, nella sincerità. L’altra parola è riferimento: sento che il Signore è un riferimento stabile che c’è, anche se me ne dimentico, anche se cerco qualcos’altro lui è là. Questo mi dà molta serenità».

In questi anni di cammino hai incontrato tante persone...
«La mia comunità di origine, la comunità di Piove di Sacco, la comunità di Ponte di Brenta, le comunità di Piovene, Rocchette e Grumello dove sto adesso, ognuna mi ha aiutato a coltivare un aspetto. Le vicende più allegre e a volte magari più difficili hanno veramente contribuito alla formazione, sia umana che nella fede di cristiano. Coltivo sentimenti di gratitudine: queste comunità sono sempre state accoglienti e incoraggianti. Sono un “pezzetto di famiglia” sparso in giro per la Diocesi».

La fede nasce però in famiglia e in comunità...
«Mi fa sempre un effetto particolare per esempio tornare nella chiesa di Pontelongo che è dove sono cresciuto, ho ricevuto i sacramenti e ho incontrato tante figure di riferimento. Non mi sono “inventato io”, è stato tutto donato. Anche la mia famiglia ha creduto in me, anche nella scelta di entrare in Seminario dopo la laurea e dopo aver lavorato un po’. Mi hanno aiutato a restare nella verità di questa strada intrapresa».

Dopo il Sinodo, come sarà la Chiesa del futuro?
«Non lo so. Qualcuno ci ha detto che diventiamo preti in un momento in cui non sappiamo nemmeno cosa vorrà dire essere prete tra due o cinque anni. Io credo che sia il tempo di porci queste domande e di restare in ascolto. Abbiamo bisogno di fede, intesa come umiltà di provare a capire insieme la direzione, ma abbiamo bisogno anche di coraggio per tradurre la fede nella vita».

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