Gmg, cosa rimane dopo Lisbona? Mettere a frutto il capitale di spiritualità e di relazioni

Un milione e mezzo di giovani da tutto il mondo tre settimane fa si ritrovava nella capitale Lusitana richiamati dalla Chiesa, in silenzio davanti all’Eucaristia. Un fatto per nulla scontato, dopo il periodo del Covid, a sette anni da Cracovia. La sfida per la Chiesa sinodale è oggi come mettere a frutto per la vita di chi ha partecipato tutto il capitale di spiritualità e di relazioni concentrate nell’evento. Un’opportunità per i 1.200 giovani padovani presenti, ma anche per gli adulti

Gmg, cosa rimane dopo Lisbona? Mettere a frutto il capitale di spiritualità e di relazioni

Se si volesse trovare una chiave di lettura per riassumere la Giornata Mondiale della Gioventù che si è svolta a Lisbona dal primo al 6 agosto, è il forte accento sull’ordinarietà. “Adoro il lunedì”, direbbero in Azione cattolica. Eppure, sia i discorsi e le omelie del papa, sia le riflessioni che il vescovo di Padova Claudio Cipolla ha innestato nelle sue catechesi per gli oltre 1.200 giovani aggregati alla spedizione “ufficiale” della Diocesi di Padova, traspare l’urgenza di accendere i riflettori sulla quotidianità. Di allenamento, di cammino, di cosa portare di queste “giornate di grazia” nella vita quotidiana ha parlato papa Francesco, tra la veglia del sabato sera e la messa di invio della domenica mattina a Campo da Graça. «La fede che resiste è quella di tutti giorni, che attraversa anche gli eventi belli e meno belli», ha ricordato il vescovo Claudio nella sua prima catechesi.

Una formula di successo
Temi a parte, la prima Gmg del post-pandemia, la prima Gmg per i giovani che hanno fatto la maturità e i primi anni di università tra lockdown, mascherine e Zoom, offre alcune indicazioni interessanti. Per cominciare sembra che la formula della Giornata Mondiale della Gioventù, “invenzione” di san Giovanni Paolo II come esperienza di pellegrinaggio dei tempi moderni, goda ancora di ottima salute. A sette anni di distanza dall’ultima Gmg europea (ed estiva, dato che Panama, nel 2019, si tenne addirittura a gennaio) è completamente rinnovata la platea di giovani che ha detto sì alla proposta di parrocchie, associazioni e ordini religiosi per questi giorni di preghiera, incontro, festa e riflessioni. Filippo Friso, seminarista di Padova, confida a margine di una catechesi: «In fondo tutta Lisbona sembra un grande camposcuola. E il capocampo è il papa». È la migliore delle definizioni per chi l’ha vissuta: disagi, fatica, ma anche compagnia, divertimento, approfondimento spirituale. Un’esperienza certo straordinaria, ma che ha senso solo se innestata nella quotidianità: del resto, in pochi vanno alla Gmg senza essere almeno nei radar di gruppi parrocchiali o associativi con una certa continuità.

La distorsione mediatica
Altro aspetto, con i suoi pro e i suoi contro, è il confronto di un evento “analogico” come la Gmg con la pervasività delle reti sociali. Certo, grazie ai media cattolici e ai profili social dei ragazzi le emozioni hanno potuto raggiungere platee più ampie. Allo stesso tempo, però, l’illusione di prossimità ha convinto molti commentatori, da lontano, a gettare giudizi ingenerosi verso la Gmg e verso i giovani che vi partecipavano. Post e articoli diventati virali, specie nei primi giorni. Da una parte le accuse alle passate edizioni di non aver fatto abbastanza contro lo svuotamento di chiese e seminari o contro la latitanza dei giovani cattolici impegnati in politica. Dall’altra le accuse alla Gmg di essere una prova muscolare di un cattolicesimo tradizionalista, chiuso all’esterno. Il funzionamento dei social media ha fatto sì che per certe giornate fosse proprio questo il centro dell’evento, con stupore e un po’ di disgusto per chi era Lisbona e che poteva, tra un trasferimento in metropolitana e una fila d’attesa per il pranzo, confrontarsi con questi giovani, comprendere quanto per loro – almeno loro – la fede sia elemento centrale nella vita e Gesù Cristo continui a essere una roccia sicura su cui fare affidamento. Ma soprattutto accorgersi di quanto poco queste voci giovanili risuonino nei nostri dibattiti e nelle nostre agorà. A margine di una catechesi con il vescovo Claudio una ragazza di Brugine lo ha ribadito: nelle parrocchie troppo spesso i ragazzi sono giovani forze sulle quali caricare compiti gravosi per sagre, feste di paese e appuntamenti vari senza mai permettere di esprimere la loro unicità.

Un’occasione da cogliere per gli adulti
Il rischio più grande, oggi, non è che Lisbona passi senza portare effetti ai giovani che vi hanno partecipato, tutt’altro, quanto che il mondo degli adulti – e degli adulti cattolici – perda anche questa occasione per fermarsi ad ascoltare le voci di questi giovani, che da una parte mettono al centro nuove sfide, come la lotta al cambiamento climatico e alle disuguaglianze, dall’altra chiedono testimoni coerenti e adulti affidabili che sostengano il loro cammino. Non aiuta poi la copertura che i media generalisti – specie nella carta stampata e nei giornali online – hanno dato a questo evento. Una citazione delle parole del papa quando andava bene, il ricorso macchiettistico alla figurina del “papaboy” quando andava male, o il silenzio quando andava peggio. Un milione e mezzo di giovani in silenzio davanti all’Eucarestia, un silenzio che sarebbe potuto durare anche ore, del resto non fa notizia.

Il papa: «Chiamati perché amati»
Papa Francesco ha affrontato questa sua quarta Gmg – come ricorda Andrea Tornielli a pagina 2 – lasciandosi «“contagiare” dall’entusiasmo dei giovani, mettendo quasi sempre da parte i testi scritti per improvvisare dialoghi e interventi». Nella cerimonia di accoglienza al Parque Eduardo VII, giovedì 3 agosto, ha ricordato ai giovani che non sono una massa, ma individui «chiamati per nome». «Siamo stati chiamati, perché? Perché siamo amati. Siamo stati chiamati perché siamo amati. È bello! Agli occhi di Dio siamo figli preziosi, che Egli ogni giorno chiama per abbracciare e incoraggiare; per fare di ciascuno di noi un capolavoro unico e originale; ognuno di noi è unico, è originale, e la bellezza di tutto questo non la possiamo intravedere». Per suor Barbara Danesi delle francescane elisabettine, che viaggiava con la spedizione dei frati conventuali con le reliquie di sant’Antonio, il papa «ha parlato come di fronte a dei giovani che non abbiano mai sentito davvero parlare di Gesù. E forse, in mezzo a loro, qualcuno c’era davvero. Ma anche noi, che crediamo di averlo incontrato, spesso ce lo dimentichiamo, trascinati dalle cose del mondo». Questo legame personale tra Gesù e il credente è stato evidenziato da papa Francesco anche nella via Crucis di venerdì 4 agosto: «Tutti nella vita abbiamo pianto, e piangiamo ancora. E lì c’è Gesù con noi, Lui piange con noi, perché ci accompagna nell’oscurità che ci porta al pianto».

Giovani, «non temete!»
Sabato sera, di fronte al milione e mezzo di Campo da Graça, Francesco ha parlato di evangelizzazione: «Voi che state qui, che siete venuti a trovare il messaggio di Cristo, a cercare un senso per la vita: lo cercate per voi o per annunciarlo agli altri? La gioia è missionaria, la dovete portare agli altri». Evangelizzazione che insomma è trasmissione di gioia. E così come noi abbiamo ricevuto la fede dalle nostre “radici di gioia”, così dobbiamo impegnarci per trasmetterla agli altri. Rialzando chi è caduto. E infine, l’invio nella messa di domenica 6 agosto, un incoraggiamento che riprende le parole evangeliche ripetute da san Giovanni Paolo II: «A voi, giovani, che coltivate sogni grandi ma spesso offuscati dal timore di non vederli realizzati; a voi, giovani, che a volte pensate di non farcela; a voi, giovani, tentati in questo tempo di scoraggiarvi, di giudicarvi inadeguati o di nascondere il dolore mascherandolo con un sorriso; a voi, giovani, che volete cambiare il mondo e lottate per la giustizia e per la pace; a voi, giovani, che ci mettete impegno e fantasia ma vi sembra che non bastino; a voi, giovani, di cui la Chiesa e il mondo hanno bisogno come la terra della pioggia; a voi, giovani, che siete il presente e il futuro; sì, proprio a voi, giovani, Gesù dice: “Non temete!”».

La festa degli italiani, il messaggio di don Ciotti

Aperti al mondo, ma anche attenti all’Italia. Nel pieno della Gmg, mercoledì 2 agosto, si è svolta al Passeio Marítimo de Algés la grande festa degli italiani. Tante testimonianze, in primis quella di don Ciotti. Per sorella Francesca Vinciarelli delle discepole del Vangelo è stato un intervento «molto forte e appassionato, capace di incalzare i giovani, specie quando ha detto che Dio ci dà appuntamento nei nostri dubbi». «Nel suo discorso – aggiunge Maria, 25 anni – don Ciotti ha ripreso tutti i temi che mi stanno a cuore. Mi ha colpito una frase che vorrei fosse il mio stile di vita: “Auguriamoci un mondo in cui l’amore sia inseparabile dal sentimento di giustizia”». «Mi è rimasto impresso il suo invito alla radicalità – conclude Davide di Sarmeola – il suo voler prendere posizione per dare forza e spinta ai nostri desideri e ai nostri sogni».

La suora influencer che ha studiato a Padova
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A margine della messa degli influencer abbiamo avuto modo di incontrare suor Leonida Cecilia Katunge King’ola. La religiosa, responsabile del Sinodo digitale per l’Africa, è una vecchia conoscenza per Padova. Qui, infatti, ha compiuto i suoi studi in Liturgia Pastorale di sei anni a Santa Giustina, risiedendo come ospite nel convento delle Dimesse. «Quando ricordo Padova mi viene sempre in mente l’energia e la forza intellettuale di quella città. Ringrazio sempre le suore Dimesse che mi hanno accolta per studiare ed essere la persona che sono oggi». «La Gmg è un’emozione così grande che non riesco ancora a capire – racconta – come influencer dobbiamo capire come poter essere missionari digitali per tutto il mondo. Dobbiamo invitare tutti, fedeli, vescovi, religiosi e laici a impegnarsi nel mondo digitale».

Missione web

Internet, non solo uno strumento, ma anche un luogo, un ambiente da evangelizzare. Non stupisce che il Dicastero della Comunicazione abbia voluto radunare, all’interno della Gmg, gli influencer cattolici per una messa giovedì 3 e una festa venerdì 4 agosto. Il card. José Tolentino de Mendoza nell’omelia della messa del giovedì ha affermato che «il cristianesimo contemporaneo ha bisogno di testimoni, di una credibilità esistenziale da parte dei cristiani. Ma ha bisogno anche di una credibilità culturale. La cosa peggiore che ci può capitare è di parlare a noi stessi, di ridurre l’esperienza di fede a una conversazione clandestina o alla cerchia di chi è già convinto, aggrappandoci a un linguaggio che gli uomini e le donne di oggi non capiscono». Il card. Luis Antonio Tagle, rispetto alla definizione di “influenza” contenuto nel dizionario, ha auspicato: «Spero che tutti voi troviate un modo per comprendere e praticare l’influenza basata sul Vangelo, o meglio ancora, imparare da Gesù come influenzare gli altri». Nel corso della messa vi è stata la consegna della croce da parte dei cardinali, simbolo di invio missionario.

Andrea Canton

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