Ho incontrato Gesù. La testimonianza di don Marco Galante tra i malati di Covid-19

La testimonianza. Don Marco Galante condivide l'esperienza di Dio – affaticato, sofferente, abbandonato, col volto luminoso, disperato e pieno di speranza – che ha fatto in corsia, tra i malati di Coronavirus a Pasqua e nella Domenca delle Palme.

Ho incontrato Gesù. La testimonianza di don Marco Galante tra i malati di Covid-19

La voce è cauta, prudente. Ma ferma. Sotto le arcate d’acciaio del “suo” ospedale, don Marco Galante, il cappellano degli Ospedali riuniti Padova sud di Schiavonia, in questa Pasqua «strana e misteriosa» ha vissuto l’incontro con Cristo.

La storia inizia con un pranzo, quello preparato ma non consumato, nella domenica delle Palme. Dall’ospedale – interamente dedicato ai malati di Coronavirus di tutta l’Ulss 6 Euganea – arriva una chiamata: chiedono l’unzione dei malati per una persona anziana allo stremo delle forze, che il virus sta portando via. Don Marco non ha il permesso di entrare in corsia. Ma a sistemare tutto e sciogliere il nodo burocratico pensa la dottoressa di turno. Dopo poco è direttamente la direzione sanitaria del nosocomio a dare il via libera. «Lascio quello che sto facendo, questa è una di quelle chiamate a cui non si può tardare – racconta don Marco – Arrivo in reparto e inizia il lungo rito della vestizione, poi mentre entro, al bancone centrale trovo molti operatori sanitari, è l’ora del cambio turno, che mi chiedono a gran voce una benedizione. Mi è rimasto impresso un medico che ha detto: “Finalmente, con questo Padre nostro e una benedizione, abbiamo fatto le Palme anche noi”».

Una preghiera, la vicinanza, una battuta stemperano il clima. Certi sguardi che il prete aveva colto stanchi e tirati per lo stress e il carico di lavoro, dietro a occhiali e mascherine, tendono a distendersi. L’umanità – e non solo quella sofferente, minata nella salute dal nemico invisibile e ancora in gran parte sconosciuto – fa irruzione nel reparto.

Ed è allora che arriva il momento più forte. Don Marco viene accompagnato dalle persone più gravi. Alla fine le unzioni dei malati saranno tre. E nel frattempo si ferma alle porte di tutte le stanze e benedice i degenti. «Nella prima stanza in cui entro incontro due anziani che subito mi mettono un forte senso di tenerezza. Uno di loro si agita e si dimena. Mi dice: “Padre, mi dia un po’ d’aria”. Ecco, in tempi normali quando passiamo per le corsie al massimo ci viene chiesto un bicchiere d’acqua. Ma davanti a questa richiesta ho sperimentato tutta la mia impotenza...».

La preghiera comune porta un po’ di calma. Il pellegrinaggio nel reparto continua: «Ho visto volti illuminarsi al solo sentire che ero un prete ed ero venuto per una preghiera e una benedizione. Chi aveva ne aveva la forza ha pregato volentieri, per altri ho pregato io prima di benedirli. A quel punto mi raggiunge un’infermiera e mi indica la stanza dove c’è un'altra persona grave. Entro. È una signora con gli occhi chiusi. Cerco di salutarla ma non fa nessun cenno. Io inizio a celebrare il sacramento dell’unzione. Al termine mentre sto dando la benedizione alza il braccio e si fa un bel segno di croce. Aveva seguito tutto ma non aveva la forza di rispondere alle preghiere».

Alla mente di don Marco arriva la Passione. Qui ci sono persone, malate, che la fame d’aria induce a strapparsi tutto di dosso. Nei Vangeli, un Cristo a cui vengono tolte vesti e dignità a colpi di frusta e sputi. L’elemento comune è la nudità: sei solo tu con il tuo corpo e la vita interiore che hai coltivato, di fronte alla malattia non ci sono vestiti, orpelli, titoli onorifici o posizioni sociali.

«Ho visto Dio e l’umanità insieme. Erano un tutt’uno. Ho capito che per fare esperienza di Dio c’è bisogno di due cose: il silenzio e il volto di un fratello. Il silenzio serve per ricaricare le batterie, ma la nostra vita è fatta di relazione e relazioni. Dio si comunica, si mostra, entra in relazione attraverso la vita dei fratelli e sorelle soprattutto se sono nella sofferenza, ammalati, soli, disprezzati, reietti, meschini. Lì c’è Dio che vuole parlarti! Oggi noi siamo come i cellulari del nostro tempo: la batteria dura sempre meno. C’è bisogno di ricaricarla più spesso altrimenti si spegne tutto. Per incontrare Dio c’è bisogno di una carica continua ma non senza il volto di un fratello o sorella. La domenica delle Palme Dio mi si è mostrato, l’ho visto affaticato, sofferente, abbandonato, col volto luminoso, disperato e pieno di speranza. Non avevo in quel momento in mano ramoscelli di ulivo da sventolare, ma un cuore pieno di gioia e di desiderio di vederlo lì presente».

E mentre il mondo fuori dall’ospedale parla di riprendere le produzioni, riaprire i negozi e preparare le spiagge per l’estate imminente, qui dentro la “fase due” suggerisce prudenza. L’emergenza sta facendo comprendere tutta la meraviglia presente nella vita fragile. È un tempo di gestazione, da cui nascerà la nuova normalità.

Una Chiesa che si fa vicina a chi soffre

«Nella disponibilità della direzione sanitaria dell'Ulss 6 – commenta don Marco – c'è la possibilità che viene data alla Chiesa di rimanere accanto alle persone malate e di svolgere il suo servizio più importante, di vicinanza e prossimità a chi soffre».

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