Lorenzo Marcellan e la sua scelta di fronte alla malattia. Quella Luce dona libertà

Lorenzo Marcellan e la sua scelta di fronte alla malattia. La riscoperta di Dio non arriva mai in ritardo ed, entrando nella vita, la rigenera tutta intorno

Lorenzo Marcellan e la sua scelta di fronte alla malattia. Quella Luce dona libertà

Natale dona tempo finalmente. Tempo calmo, silenzioso e paziente che è tutto ciò di cui ha bisogno il lutto per lasciare spazio al dolore, per rinascere e ricominciare a vivere. È questo il primo Natale senza Loris, papà Lorenzo, nonno Bau, il nonno che ha il cane. È diverso questo frangente di festa senza di lui: il 9 novembre ha lasciato la terra dopo cinque anni di martirio progressivo provocato dalla Sclerosi laterale amiotrofica che gli fu diagnostica a 65 anni, subito dopo la pensione. Una vita, tutta nuova, da inventare si stava aprendo. La malattia ha deciso per tutti. Almeno fino a un certo punto. Eppure questo Natale sofferente parla di risurrezione, guarigione e rinascita ad Arianna Marcellan, figlia di Lorenzo, e a suo marito Luca De Spirito. «La storia di papà è stata per noi la conferma dell’umanità di Dio, un Dio vicino, in carne e ossa. Un Dio che non ha mancato di costellare di risposte anche le non domande. Abbiamo imparato, di nuovo, che quando cerchi, ti affidi e preghi, il Signore ti risponde». Con una certezza inscalfibile dentro al cuore ferito di una figlia orfana da poche settimane: «Cristo si è fatto uomo per attraversare la croce, per sentire e vivere come ognuno di noi. Solo lui avrebbe potuto stare accanto a papà dentro la sua malattia. E papà ha avuto la Grazia di accoglierlo». I medici avevano riscontrato una progressione lenta della malattia che avrebbe permesso a Lorenzo di vivere ancora qualche anno con discrete autonomia e qualità di vita prima di un inevitabile aggravamento. Ma la Sla non ha fatto sconti con peggioramenti nascosti dietro l’angolo mese dopo mese.

«Mio suocero – prosegue Luca – ha attraversato una sofferenza personale profondissima prima di arrivare a definire come voleva concludere la sua esistenza. È stato un percorso lunghissimo alla fine del quale ha scelto di assumersi la responsabilità di ogni cosa, con la decisione di non farsi intubare nel momento in cui non sarebbe più riuscito a respirare da solo». Prese la decisione, in completa autonomia, di frequentare l’Aism (Associazione italiana Sclerosi multipla), di farsi accompagnare da una psicologa. Gli venne offerta anche la possibilità di tentare una terapia sperimentale. «Decise che no, non era quello che voleva: l’impegno avrebbe alterato in maniera pesante la sua vita e arrivò alla conclusione che quello sforzo gigantesco non valeva la pena. Desiderava impiegare in maniera per lui fruttuosa il tempo che restava e lo ha realizzato vivendo più intensamente le relazioni più care, prima tra tutte quella con sua moglie Gianna». Loris ha avuto il coraggio di guardare in faccia la malattia con l’umiltà, la discrezione e la forza che lo hanno contraddistinto, rifiutando l’accanimento terapeutico ed esercitando quella libertà che lentamente si è fatta spazio dentro di lui. «Abbiamo accettato e accolto ogni sua decisione – continua Arianna – Si cela un mistero nel rapporto con la propria vita e la propria morte e noi abbiamo scelto di rispettarlo».

Lo scorso luglio, un pesante peggioramento delle condizioni rischiarono di concludere la vita di Loris senza possibilità di scelta. «Entrò in ospedale sulle sue gambe e fu trasferito a Camposampiero in coma farmacologico. Dopo averlo risvegliato e stabilizzato i medici ci dissero che la situazione era grave e che necessitava del supporto della ventilazione, non riuscendo a respirare autonomamente. Se si fosse presentata la necessità di intubarlo, per rispettare le volontà di mio padre avremmo dovuto invece iniziare le procedure di accompagnamento alla morte. Ma lì è accaduto l’inatteso. Papà riusciva a respirare attraverso una ventilazione meccanica non invasiva».

Arianna custodisce in sé la risposta a quanto accaduto e la svela con la potenza di una rivelazione: «Sono stati mesi donati dal Cielo per poterlo salutare come desiderava, per far pace con la vita e permettere a ognuno di noi di trovare il significato della sua relazione con lui. Abbiamo attraversato fatiche fisiche e umane enormi, pur nella fortuna di poterlo ospedalizzare in casa, imparando a fare di tutto e senza mai essere abbandonati dal suo medico di famiglia, il dottor Antonio Vellar, dalla palliativista, la dottoressa Maria Letizia Giuliacci, e dal personale del servizio infermieristico di assistenza domiciliare dell’Ulss 6». Sono stati mesi di siringhe dentro al picc (catetere venoso centrale a inserzione periferica), di procedure di assistenza, ma anche di richieste sussurrate, tenerezze, sguardi che intercettavano parole ed emozioni, dove la fedeltà di Gianna ha permesso a Loris di vivere in modo pieno e dignitoso la sua casa e le relazioni che continuavano intorno a lui. «Ho fede, ma a volte vacilla – ammette Luca – Mi sono domandato più volte se stessimo facendo la cosa giusta. Se fossi un buon cristiano, mentre accompagnavo mio suocero verso la morte, rispettando la sua volontà che in realtà era un atto d’amore estremo verso chi più amava, sua moglie e tutti noi. Sono giunto alla conclusione che sì ho camminato nella giusta direzione, perché morire con dignità significa celebrare la propria vita, renderle onore oltre la malattia che debilita e stravolge il corpo e la mente». Cresciuto in parrocchia, dove ha trascorso la sua giovinezza in patronato a Spirito Santo, Lorenzo ha poi coltivato una relazione schiva, “a distanza” con Dio. Dopo il matrimonio, la sua famiglia ha fatto parte della Madonna Incoronata dove i figli sono sempre stati liberi di frequentare e di scegliere. «Sono ministra straordinaria della comunione – spiega Arianna – Una domenica dopo la messa ricevetti una telefonata improvvisa: papà stava male. Mi precipitai da lui e mi chiese di fare la comunione. “Papà, non posso darti Gesù perché non riusciresti a deglutire. Vuoi che diciamo una preghiera insieme?”. Mi disse di “sì”. Non avevo mai osato chiederglielo prima». Dopo poche settimane, il desiderio di Dio era tornato a illuminare il suo cuore: «Mi domandò di chiamare don Marco Galante, il nostro parroco qui a Mandria, perché voleva confessarsi. Alla fine don Marco è giunto proprio nell’istante in cui stava attraversando la porta della vita verso la morte: papà era pronto. Dopo l’indulgenza e l’unzione degli infermi, abbiamo recitato insieme la preghiera del passaggio verso la Luce». La stessa Luce che viene a rischiarare le tenebre e in cui ora, dopo il suo martirio, Lorenzo è immerso.

L’angelo custode di quattro amatissimi nipoti

Se la vita ti fa incontrare una persona, la morte la riporta in superficie nella sua essenza più vera. «Ora si stanno ricomponendo altri equilibri – sussurra Arianna – Adesso, qui a Natale, non è solo l’assenza di papà l’elemento dirompente, ma tutto ciò che è stato mosso in relazione con lui sta cambiando». Sentimenti, legami, sguardi, spazi, personali e condivisi, assumono una dimensione mai sfiorata prima. Per la moglie Gianna quanto per i figli Arianna e Daniele e per i quattro bambini «miei amatissimi nipoti, sarò il vostro angelo custode» a cui non è stata negata la verità della sofferenza e della morte del nonno, con l’attenzione di accompagnarli con delicatezza fino a dove potevano arrivare con gli strumenti interiori di cui dispongono e la tenerezza della loro età.

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)