Passi di pace per cambiare. Giornata mondiale per la pace il 1° gennaio 2021: sette diocesi del Nordest propongono un itinerario condiviso

A gennaio sette diocesi del Nordest, tra cui anche Padova, propongono l'itinerario condiviso "Passi di pace" di sei appuntamenti di approfondimento, preghiera e contributi dalle comunità sul tema del disarmo.

Passi di pace per cambiare. Giornata mondiale per la pace il 1° gennaio 2021: sette diocesi del Nordest propongono un itinerario condiviso

Se il Coronavirus rischia di bloccare la tradizionale marcia per la pace di inizio anno, sette diocesi a Nordest hanno deciso di non fermarsi completamente, ma di rilanciare sotto una forma inedita l’appuntamento che ogni anno, dal primo gennaio e per tutto il mese, vede le comunità concentrate sul tema.

«Il rischio – spiega suor Francesca Fiorese, direttrice dell’ufficio diocesano per la Pastorale sociale di Padova – è che si riducesse tutto a un evento online o addirittura si rinunciasse a ogni tipo di iniziativa. Da qui l’idea di unirci per pensare e organizzare questo “Tempo della pace”. Abbiamo così coinvolto sette diocesi del Nordest: Belluno, Concordia Pordenone, Padova, Trento, Treviso, Vicenza, Vittorio Veneto e abbiamo costruito un calendario interdiocesano “Passi di pace”».

Il percorso, articolato in sei appuntamenti divisi tra approfondimento, preghiera e contributi dalle comunità, mira a mettere al centro il disarmo e l’impegno necessario per raggiungere l’obiettivo. «La nostra iniziativa vuole smascherare la falsa sicurezza della forza: non sono le armi a garantire la sicurezza delle persone e dei popoli. La corsa agli armamenti toglie solo risorse alla vita sana e sicura delle popolazioni. Già papa San Paolo VI auspicava che con parte dei soldi destinati agli armamenti si costituisse un fondo mondiale per provvedere alle necessità dei più poveri. E mentre i nostri parenti muoiono perché mancano respiratori nelle terapie intensive dei nostri ospedali non trovo fuori contesto che qualcuno ricordi che le spese pubbliche, comprese quelle della nostra Nazione, sono impegnate a finanziare armi belliche. Non è cristiano e ancor prima è disumano sostenere l’ipocrisia della sicurezza fondata sulle armi, tanto più su quelle atomiche. È viltà non esporsi per dire basta. Ed è carità concreta farci carico di questa fragilità strutturale; è nostro compito costruire la sicurezza del dialogo, della solidarietà, della giustizia».

Una sfida lanciata al mondo quella che si leverà anche quest’anno in occasione della Giornata mondiale della pace, una sfida che quest’anno acquisisce anche un nuovo slancio grazie all’entrata in vigore del Trattato internazionale che proibisce le armi atomiche.

Cultura della cura, il tema della 54a Giornata

«Duole constatare che, accanto a numerose testimonianze di carità e solidarietà, prendono purtroppo nuovo slancio diverse forme di nazionalismo, razzismo, xenofobia e anche guerre e conflitti che seminano morte e distruzione» scrive papa Francesco nel messaggio per la 54a Giornata per la pace "La cultura della cura come percorso di pace".

«Questi e altri eventi che hanno segnato il cammino dell’umanità nell’anno trascorso - continua il papa - ci insegnano l’importanza di prenderci cura gli uni degli altri e del creato, per costruire una società fondata su rapporti di fratellanza».

Con il nucleare, 75 anni di pace armata

Durò pochi anni il monopolio americano delle armi atomiche, ma fu sufficiente alla presidenza Truman per concepire e sfruttare la "deterrenza nucleare": fin dal blocco di Berlino del 1948, la paura della bomba è una costante.

Le armi atomiche nel mondo

Secondo l'Agi, nel 2016 le armi nucleari nel mondo erano 15383 di cui 7.300 negli arsenali russi e 6.970 in quelli americani. Pronte all'uso e schierate con forze operative circa 6 mila; 250 quelle schierate da India e Pakistan.

Il programma interdiocesano

I primi passi sulla via della pace hanno due parole chiave: unire e pregare. Un impegno quotidiano di tre minuti appena per riflettere e ricercare una propria consapevolezza sul tema del disarmo e della pace. In programma, poi, un appuntamento on line alle ore 16 di venerdì 1° gennaio; sabato 9, alle 20, veglia di preghiera dalla Diocesi di Vittorio Veneto dal titolo "Armati di pace".

Terzo passo domenica 17 gennaio alle ore 20 con un invito a conoscere. L’evento del giorno sarà una tavola rotonda dalla Diocesi di Padova dal titolo “Miriamo alla pace” a cui parteciperà Lisa Clark, co-presidente dell’International peace bureau; Francesco Vignarca, coordinatore delle campagne di Rete italiana pace e disarmo; Carlo Cefaloni, redattore di Città nuova; padre Mario Menin, direttore di Missione oggi, che narra esperienze dalle diocesi.

Quarto passo mercoledì 20 gennaio alle 20.30 quando si propone di partecipare a un webinar dalla Diocesi di Treviso con Nello Scavo, giornalista di Avvenire, dal titolo “Urla e silenzi di guerra”.

Il quinto appuntamento venerdì 22 gennaio alle ore 12 mette al centro la speranza. Il programma della giornata è affidato alla Diocesi di Concordia-Pordenone che ospita sul suo territorio la base Nato di Aviano. «L’obiettivo finale dell’eliminazione totale delle armi nucleari diventa sia una sfida sia un imperativo morale e umanitario» si legge al punto 262 della Fratelli tutti. Il messaggio diventa ancora più forte nel contesto della base Nato.

Sesto e ultimo passo mercoledì 27 gennaio alle ore 20.30 imperniato sul dialogo. «Quello che conta – si legge nella recente enciclica Fratelli tutti – è avviare processi di incontro, processi che possano costruire un popolo capace di raccogliere le differenze». Il tema sarà “Sentinelle di pace”, affrontato dalla Diocesi di Treviso attraverso alcune testimonianze dal Libano: padre Michel Abboud, presidente di Caritas Libano dalla Turchia, e mons. Paolo Bizzetti, vicario apostolico dell’Anatolia.

L'impegno di Padova in prima linea

Padova ospiterà la tavola rotonda del 17 gennaio "Miriamo alla pace", inserita nel contesto del terzo passo dell'iniziativa promossa quest'anno da sette Diocesi del Nordest "Passi di pace".

Volta a conoscere le problematiche implicite di quella che papa Francesco ha ribattezzato la «guerra a pezzi», la tavola rotonda vedrà la partecipazione di Francesco Vignarca, coordinatore delle campagne di Rete italiana pace e disarmo; Carlo Cefaloni, redattore di Città Nuova e di padre Mario Menin, direttore di Missione oggi.

La Diocesi di Padova si è resa promotrice negli anni di numerose e prese di posizione in favore della pace. «Ci indigna constatare – dichiarava solo pochi mesi fa in occasione della festa di San Benedetto il vescovo di Padova Claudio Cipolla – che in questo tempo, in cui i poveri, i malati, gli emarginati, i morti a causa della pandemia neppure si riescono a contare, i governi stiano destinando somme senza precedenti alle spese militari. La produzione e vendita di armi, gli investimenti nei programmi di modernizzazione nucleare non sono una promessa di pace, bensì una garanzia di guerra. La comunità internazionale non può negare l’evidenza che la pace non si riduce a una questione di sicurezza nazionale. La pace ha un’imprescindibile dimensione positiva che va coltivata nel dialogo rispettoso della dignità di ciascuno, nell’unità per il bene comune, nella giustizia senza sconti».

Papa Francesco. Un fondo contro la povertà

La più terribile arma che la mente umana abbia, fino a oggi, ideata. Così nel 1948 papa Pio XII definiva la bomba atomica, pur plaudendo ai grandi risultati scientifici che la ricerca sull'energia nucleare stava raggiungendo. La posizione della Chiesa in fondo è tutta qui: separare la ricerca di un bene possibile da quella di una falsa sicurezza basata sulla forza e il suo predominio sulla ragione.

«Che dire poi dei governi che contano sulle armi nucleari per garantire la sicurezza dei loro Paesi? – si interrogava papa Benedetto XVI nel gennaio del 2006 – Insieme a innumerevoli persone di buona volontà, si può affermare che tale prospettiva, oltre che essere funesta, è del tutto fallace. In una guerra nucleare non vi sarebbero, infatti, dei vincitori, ma solo delle vittime».

Negli anni anche papa Bergoglio si è più volte espresso in favore del disarmo e della pace fra le nazioni.

«La pace e la stabilità internazionale – scrive papa Francesco nella sua enciclica Fratelli tutti – non possono basarsi su un falso senso di sicurezza, sulla minaccia di distruzione reciproca o di annientamento totale, o semplicemente sul mantenimento di un equilibrio di potere. In questo contesto l’obiettivo finale della totale eliminazione delle armi nucleari diventa sia una sfida che un imperativo morale e umanitario». Un anelito umanitario che quest’anno, complice la pandemia che ha profondamente prostrato le economie del mondo, acquisisce nuova linfa e necessità.

«In molte parti del mondo – ha ribadito papa Francesco in occasione del messaggio per la Giornata per la pace del prossimo gennaio – occorrono percorsi di pace che conducano a rimarginare le ferite, c’è bisogno di artigiani di pace disposti ad avviare processi di guarigione e di rinnovato incontro con ingegno e audacia».

Percorsi di pace che, nelle parole del pontefice, non possono prescindere da un processo di consapevolezza e conoscenza reciproca, ma anche di ridefinizione delle priorità della nostra società. I fondi destinati all'acquisto e al mantenimento degli arsenali, ad esempio, stridono di fronte alle grandi necessità di un sistema sanitario messo a dura prova dal Coronavirus. E se quei fondi venissero spesi altrimenti? Si potrebbe «costituire – conclude papa Francesco – con i soldi che s’impiegano nelle armi e in altre spese militari un fondo mondiale per poter eliminare definitivamente la fame e contribuire allo sviluppo dei Paesi più poveri».

Rete italiana pace e disarmo. Da gennaio 50 Paesi mettono al bando le armi nucleari. Il trattato internazionale è una presa di coscienza che punta all’azione

C'è di che festeggiare al principio del 2021 per quanti in questi anni si sono spesi per la messa al bando delle armi nucleari. Con la ratifica del 50° paese, da gennaio del prossimo anno entra in vigore il trattato che dichiara fuorilegge le armi nucleari per i Paesi che l'hanno sottoscritto, un gesto importante che vede come prima firmataria la Santa sede.

«Per una volta – ricorda Francesco Vignarca, coordinatore nazionale della Rete italiana pace e disarmo – l’iniziativa è stata presa da un punto di vista umanitario e non politico, cominciando da organizzazioni come la Croce Rossa. Al mondo ci sono 14 mila testate che potrebbero distruggere varie volte la nostra società». Di fronte a numeri ancora così elevati si rischia di perdere di vista la prospettiva generale del problema: come ricorda lo stesso Vignarca, al termine della guerra fredda si contavano oltre 70 mila ordigni ed è proprio grazie ai trattati di non proliferazione e disarmo che si è riusciti a ridurne il numero.

È però importante sottolineare come tra i firmatari del documento non vi siano Paesi attualmente in possesso dell’arma atomica. Si tratta di un paradosso che vede da una parte i paesi armati e quelli sotto il loro ombrello e dall’altra schierati i Paesi più piccoli, non di rado vittime in passato di test nucleari sul loro territorio compiuti proprio dalle nazioni ancora oggi in possesso delle armi nucleari. «Alla critica di chi dice che il trattato non conti – chiarisce subito Vignarca – noi rispondiamo che nemmeno i trattati che hanno funzionato sul disarmo recente avevano tra i firmatari chi ha a disposizione quelle armi. È il caso delle mine anti-persona: anche Nazioni come gli Stati Uniti che non hanno firmato il trattato, da quando il trattato c’è non hanno più usato le mine. La richiesta di una limitazione parte da quei paesi che si sentono minacciati dal fatto che altri abbiano armi nucleari ma anche da quei paesi che ne hanno subito le conseguenze. I test nucleari hanno creato problemi in Kazakistan, in Algeria, nelle isole Marshall e in moltissime atolli della Polinesia e oggi resiste un pesante inquinamento del suolo». Il passo successivo riguarderebbe il coinvolgimento di quei Paesi posti sotto l’ombrello nucleare di una potenza alleata, come nel caso degli Stati della Nato fra cui l'Italia. Se limitassero l'installazione e il mantenimento di ordigni sul loro territorio, la moratoria avrebbe un effetto maggiore.

«Stiamo parlando di 25 paesi su 193 – spiega ancora Francesco Vignarca – che hanno uno status diverso ed è chiaro il problema dell’universalizzazione del principio seguirà iter diversi. Secondo noi bisognerà fare tre cose: impegno a livello nazionale convincendo ogni singolo Governo; a livello regionale quanto come all’interno della stessa Nato e poi la mobilitazione dell’opinione pubblica mondiale. Secondo tutti i sondaggi, l’80 per cento della popolazione è per la messa al bando delle armi nucleari e noi dobbiamo basare la nostra azione su questo, sul fatto che la politica debba tenerne conto». Proprio la risposta, che la politica saprà dare alla sfida lanciata dalla Rete per il disarmo, sarà la vera cartina di tornasole dell’efficacia dell'iniziativa intrapresa la cui bontà è stata certificata da un premio Nobel per la pace nel 2017.

«Stiamo già vedendo degli impatti positivi del trattato – conclude Vignarca – prima ancora che diventi una norma internazionale, ad esempio proprio perché molte delle opinioni pubbliche mondiali sono contrarie alla proliferazione delle armi nucleari, alcuni fondi d’investimento hanno deciso di disinvestire da realtà che sono coinvolte con la diffusione delle armi nucleari».

La speranza è che la duplice spinta, civile e finanziaria, possa portare i paesi armati a riconsiderare la loro posizione. Da questo punto di vista il pensiero e l'azione di papa Francesco si sono fatti negli anni sempre più incisivi, a cominciare dal memorabile discorso tenuto a Hiroshima nel corso del viaggio apostolico in Giappone dello scorso anno. «Con convinzione – esordì papa Bergoglio – desidero ribadire che l’uso dell’energia atomica per fini di guerra è, oggi più che mai, un crimine, non solo contro l’uomo e la sua dignità, ma contro ogni possibilità di futuro nella nostra casa comune. L’uso dell’energia atomica per fini di guerra è immorale, come allo stesso modo è immorale il possesso delle armi atomiche, come ho già detto due anni fa. Saremo giudicati per questo».

Parole chiare e nette pronunciate in una città simbolo della devastante brutalità della bomba atomica e monito perenne a quelle nazioni che a essa si appellano nella speranza di ottenere protezione, rinunciando troppo spesso alla pace delle coscienze.

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