In Italia meno aziende agricole, ma più grandi. Straniero un lavoratore su tre

I dati del Censimento generale dell’agricoltura di Istat. Sensibile calo del numero delle aziende agricole: a ottobre 2020 risultano attive 1.133.023 aziende agricole. Nell’arco dei 38 anni intercorsi dal 1982 (anno di riferimento del 3° Censimento) scomparse quasi 2 aziende agricole su 3. Ma la dimensione media delle aziende agricole è più che raddoppiata. Dal 2010 sensibilmente diminuite le aziende che coltivano terreni esclusivamente di proprietà

In Italia meno aziende agricole, ma più grandi. Straniero un lavoratore su tre

L’Istat diffonde oggi i primi risultati del 7° Censimento generale dell’agricoltura, svolto tra gennaio e luglio 2021, con riferimento all’annata agraria 2019-2020, dopo il posticipo imposto dal perdurare della pandemia. Si tratta dell’ultimo censimento a cadenza decennale che chiude così la lunga storia dei censimenti generali, sostituiti dai censimenti permanenti e campionari.

I dati del censimento restituiscono una fotografia puntuale del settore agricolo e zootecnico e offrono una lettura approfondita che abbraccia una pluralità di temi - dalle caratteristiche del conduttore all’ utilizzo dei terreni e consistenza degli allevamenti, dai metodi di gestione aziendale alla multifunzionalità fino alla manodopera impiegata. Il questionario di rilevazione (indirizzato a quasi 1,7 milioni di unità in base a una lista che ha utilizzato le fonti amministrative disponibili) ha proposto quesiti armonizzati a livello Ue oltre a domande di approfondimento su aspetti come l’innovazione e gli effetti della pandemia, di cui si presentano le prime evidenze.

Sensibile calo del numero di aziende agricole, più stabili le superfici

A ottobre 2020 risultano attive in Italia 1.133.023 aziende agricole. Nell’arco dei 38 anni intercorsi dal 1982 – anno di riferimento del 3° Censimento dell’agricoltura, i cui dati sono comparabili con quelli del 2020 – sono scomparse quasi due aziende agricole su tre. Nel dettaglio, il numero indice del numero di aziende agricole (con base 1982=100), pari a 36,2, indica una flessione del 63,8%. La riduzione è stata più accentuata negli ultimi vent’anni: il numero di aziende agricole si è infatti più che dimezzato rispetto al 2000, quando era pari a quasi 2,4 milioni.

Sebbene il confronto con i precedenti censimenti risenta delle modifiche al campo di osservazione, resesi necessarie negli anni per tenere conto dell’evoluzione dell’agricoltura italiana ed europea, è evidente il notevole processo di concentrazione dell’imprenditoria agricola tuttora in atto. È infatti importante notare come, nel confronto con il 1982, le flessioni della Superficie Agricola Utilizzata (SAU) e della Superficie Agricola Totale (SAT 5 ) siano state molto più contenute rispetto al numero di aziende (rispettivamente -20,8% e -26,4%).
In 38 anni, come conseguenza della diminuzione più veloce del numero di aziende agricole rispetto alle superfici, la dimensione media delle aziende agricole è più che raddoppiata sia in termini di SAU (passata da 5,1 a 11,1 ettari medi per azienda) che di SAT (da 7,1 a 14,5 ettari medi per azienda).
Se si limita il confronto agli ultimi due Censimenti generali, riferiti al 2010 e al 2020, il numero di aziende è sceso poco oltre il 30% (-487 mila), a cui si è associato un calo meno drastico della SAU, (-2,5%) e della SAT (-3,6%).

Nel 2020, il 93,5% delle aziende agricole è gestito nella forma di azienda individuale o familiare. Tale quota è in leggera diminuzione rispetto al 2010 (96,1%) mentre nel decennio aumenta l’incidenza relativa delle società di persone (da 2,9% a 4,8%), delle società di capitali (da 0,5% a 1%) e in misura lieve anche delle “altre” forme giuridiche (da 0,1% a 0,2%). “Le aziende individuali o familiari, pur continuando a rappresentare il profilo giuridico ampiamente più diffuso nell’agricoltura italiana, sono le uniche in chiara flessione rispetto al 2010 mentre crescono tutte le altre forme giuridiche”. Sottolinea l’Istat.
Tendenze simili caratterizzano anche le SAU, sebbene, in base alle superfici, le diverse forme giuridiche incidano in modo diverso rispetto al numero di aziende agricole. Infatti, in termini di SAU è molto più contenuto il peso relativo delle aziende individuali o familiari (che scende da 76,1% del 2010 a 72,7% del 2020) mentre è più elevato sia quello delle società di persone (da 14% a 18,2%) che quello delle società di capitali (da 2,7% a 3,6%). La minore incidenza delle aziende individuali o familiari in termini di superfici deriva dalla loro dimensione media (8,6 ettari di SAU nel 2020), molto più bassa rispetto a quella delle società di persone (41,6 ettari) e di capitali (41,5).

Nel corso del decennio sono sensibilmente diminuite le aziende agricole che coltivano terreni esclusivamente di proprietà. La flessione ha riguardato sia il numero assoluto di aziende (da 1.187.667 nel 2010 a 664.293 nel 2020), sia il peso relativo dei terreni di proprietà rispetto al totale (da 73,3% a 58,6%).

Di contro, risultano in crescita tutte le altre forme di titolo di possesso, come ad esempio i terreni in affitto (da 4,7% a 10,1% del totale); la combinazione tra proprietà e affitto, che si conferma la seconda forma più diffusa dopo la sola proprietà (da 9,8% del 2010 a 12,5% del 2020 6 ); l’uso gratuito, che passa da 3,8% a 6%; la combinazione tra proprietà e uso gratuito, da 5,6% a 8,7%.

In termini di superfici (SAU), nel 2020 solo un terzo dei terreni viene gestito sulla base della sola proprietà da parte del conduttore (45,3% nel 2010) mentre si registra una forte crescita soprattutto della quota relativa di terreni gestiti in affitto (da 10,6% a 18,6%). Le tendenze sin qui riscontrate rispetto al 2010 si accentuano aggiungendo il confronto con il 2000. Nel 2000 la gestione di terreni esclusivamente di proprietà del conduttore rappresentava la grande maggioranza dei casi (85,9%) mentre nei venti anni successivi si è molto ridotta (-27,3 punti percentuali nel 2020). Parallelamente, si sono fortemente diffusi i casi di affitto (l’incidenza è passata da 2,4% a 10,1%), di gestione a uso gratuito (da 1,3% a 6,0%) e delle altre forme di gestione (da 10,4% a 25,2%).

Evidenzia l’Istat: “Nel complesso, emerge un quadro evolutivo caratterizzato sia dall’inevitabile e progressivo processo di uscita dal mercato delle aziende non più in grado di sostenere la propria attività – prevalentemente di piccole dimensioni e a gestione familiare – sia dalla crescente divaricazione tra proprietà e gestione dei terreni a uso agricolo, con la forte espansione di forme di gestione alternative, derivanti dalle crescenti incertezze in merito alla sostenibilità futura dell’attività agricola”.
Il processo di concentrazione dei terreni agricoli in aziende mediamente più grandi è anche confermato dall’analisi per classi dimensionali in termini di SAU. Infatti, a fronte del -30,1% di aziende agricole riscontrato tra il 2010 e il 2020, la tendenza alla riduzione decresce al crescere dalla classe di SAU, passando dal -51,2% per le aziende agricole con meno di un ettaro al -3,4% per le aziende con superficie tra 20 e 29,99 ettari. Aumentano, invece, le aziende agricole con almeno 30 ettari di SAU, in particolare quelle più grandi (almeno 100 ettari, +17,7%). Per effetto di tali dinamiche, nel 2020 solo poco più di 2 aziende agricole su 10 hanno meno di un ettaro di SAU contro circa 3 su 10 del 2010 e più di 4 su 10 nel 2000. Al contempo, l’incidenza del numero di aziende agricole con almeno 10 ettari di SAU e meno di 100 è più che raddoppiata tra il 2000 e il 2020 (da 8,9% a 20,2%), mentre quella delle aziende agricole con almeno 100 ettari è rimasta sostanzialmente invariata (da 1,5% a 1,6%).

Aziende agricole in calo in tutte le regioni, soprattutto al Centro-sud

La segmentazione territoriale delle aziende agricole attualmente disponibile si basa sull’attribuzione di ogni azienda alla regione o alla provincia autonoma in cui è localizzata la sede legale o il centro aziendale dell’azienda stessa. Tale aspetto non influisce sull’attribuzione regionale dei terreni agricoli per le aziende unilocalizzate o plurilocalizzate se con terreni tutti localizzati nella stessa regione o provincia autonoma.

La flessione media registrata per il complesso delle aziende trova riscontro nell’intera Penisola. Infatti, tra il 2020 e il 2010 il numero di aziende agricole scende di almeno il 22,6% (il caso della Sardegna) in tutte le regioni, ad eccezione delle province autonome di Bolzano (-1,1%) e di Trento (-13,4%) e della Lombardia (-13,7%). Il calo più deciso si registra però in Campania (-42%). Nel decennio la riduzione del numero di aziende è maggiore nel Sud (-33%) e nelle Isole (-32,4%) mentre nelle altre ripartizioni geografiche si attesta sotto la media nazionale.

La dinamica delle superfici agricole utilizzate è molto più variegata.  A fronte di una flessione del 2,5% in media nazionale, la SAU cresce in otto regioni (Valle d’Aosta, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Lazio, Puglia, Sardegna) mentre tra quelle dove si registra una riduzione, oltre alle due province autonome spiccano la Toscana (-15,2%) e la Basilicata (-11,1%). Nel complesso, le superfici si riducono meno nel Nord-est (-1,7%) e nel Nord-ovest (-2%) e risultano in lieve crescita nelle Isole (+1,4%).

Coltivazioni. Sostanzialmente invariato l’utilizzo dei terreni agricoli

Il tipo di utilizzo dei terreni agricoli non muta sostanzialmente in dieci anni. Oltre la metà della Superficie Agricola Utilizzata continua a essere coltivata a seminativi (57,4%). Seguono i prati permanenti e pascoli (25%), le legnose agrarie (17,4%) e gli orti familiari (0,1%). In termini di ettari di superficie solo i seminativi risultano leggermente in aumento rispetto al 2010 (+2,9%).

Come già ricordato, rispetto al 2010 aumenta la dimensione media delle aziende con SAU (+41,6%), in particolare di quelle che coltivano seminativi (+17,4%) e legnose agrarie (+36,5%), con l’eccezione delle aziende con prati e pascoli (-11,9%). Più nel dettaglio, i seminativi sono coltivati in oltre la metà delle aziende italiane, ossia più di 700 mila (-12,9% rispetto al 2010), per una superficie di oltre 7 milioni di ettari (+2,7%) e una dimensione media di 10 ettari. In Emilia-Romagna, Lombardia, Sicilia e Puglia è concentrato il 41,4% della superficie nazionale dedicata a queste colture.
Tra i seminativi, i più diffusi sono i cereali per la produzione di granella (44% della superficie a seminativi). In particolare, il frumento duro è coltivato in oltre 135 mila aziende per una superficie di oltre 1 milione di ettari.

L’olivo è ancora la coltivazione legnosa agraria più diffusa insieme alla vite

Le legnose agrarie sono coltivate da circa 800 mila aziende (-32,8% sul 2010) per una superficie pari a 2,1 milioni di ettari (-8,2%) e una dimensione media di 2,7 ettari. Pur essendo diffuse in tutto il territorio nazionale sono per lo più concentrate nel Mezzogiorno, soprattutto in Puglia, Sicilia e Calabria che complessivamente detengono il 46% delle aziende e il 47% della superficie investita. La Puglia è la regione con il maggior numero di aziende coltivatrici (170 mila) e di superficie investita (491 mila ettari), seguita dalla Sicilia (111 mila aziende e 328 mila ettari). Tra le coltivazioni legnose agrarie l’olivo è quella più diffusa e va a influire sulla distribuzione delle legnose agrarie nel Mezzogiorno: in Puglia rappresenta infatti il 71% della superficie coltivata a legnose agrarie (94% delle aziende dedicate), in Calabria il 76% (94% delle aziende dedicate).

Dopo l’olivo, la vite è la coltivazione legnosa più diffusa, riguarda circa 255 mila aziende, il 23% del totale, per una superficie pari a oltre 635 mila ettari. Tra le regioni il Veneto risulta in testa alla graduatoria, con circa 27 mila aziende e 100 mila ettari. I fruttiferi, che includono frutta fresca, a guscio o a bacche, sono coltivati in 154 mila aziende (-34,8%), per una superficie di oltre 392 mila ettari (-7,5%). La coltivazione più diffusa tra la frutta fresca è il melo, con una superficie di oltre 55 mila ettari e 38 mila aziende; per tale coltivazione le Province Autonome di Trento e Bolzano detengono complessivamente il 28% delle aziende e il 52,5% della superficie.
Il nocciolo è la frutta a guscio più diffusa, con il Piemonte in testa per il maggior numero di aziende (oltre 8 mila) e il Lazio per la superficie maggiore (oltre 27 mila ettari). Gli agrumi mostrano una netta concentrazione in Sicilia, dove la superficie dedicata rappresenta il 55% del totale nazionale (circa 61 mila su 112 mila ettari totali).

Prati permanenti e pascoli sostanzialmente invariati ma scende la dimensione media

I prati permanenti e i pascoli sono presenti in circa 285 mila aziende (+3,8% rispetto al 2010) e occupano una superficie di 3,1 milioni di ettari (-8,7%). Per questo tipo di coltivazione la Sicilia è la regione con il maggior numero di aziende (43 mila) e la Sardegna quella con la maggiore superficie dedicata (698 mila ettari). Poiché prati permanenti e pascoli sono colture estensive, generalmente le aziende coltivatrici sono di media o grande dimensione (media nazionale 11 ettari, con picchi in Sardegna - media 28,2 ettari, e Valle d’Aosta - media 32,1 ettari).

Allevamenti. Meno aziende zootecniche ma il comparto cresce più di quello agricolo

Al 1° dicembre 2020 in Italia si contano 213.984 aziende agricole con capi di bestiame (18,9% delle aziende attive). Se si considerano, invece, le aziende agricole che hanno dichiarato di possedere alcune tipologie di capi (bovini, suini, avicoli) durante l’intera annata agraria 2019-2020, il numero di aziende con capi di bestiame sale a 246.161, corrispondenti al 22% delle aziende complessive. Tale ammontare esprime il numero di aziende agricole “zootecniche” nel 2020, sebbene il dato più confrontabile con il censimento 2010 sia quello riferito al 1° dicembre. Le estensioni complessive in termini di SAU e SAT delle aziende zootecniche sono rispettivamente di 5 milioni e 6,5 milioni di ettari, ovvero il 40,4% e il 51,9% dei rispettivi totali nazionali.

La ripartizione Sud detiene il primato di aziende con capi (compresi alveari e altri allevamenti): sono in tutto 49.152 se misurate al 1° dicembre 2020 e 60.836 se misurate come aziende “zootecniche”. Rispetto al totale delle aziende agricole con sede legale nella ripartizione geografica, le aziende con capi di bestiame incidono di più nel Nord-ovest (il 36,2% se si considerano le aziende con capi al 1° dicembre, il 38,8% se si considerano tutte le aziende zootecniche), mentre l’incidenza più contenuta caratterizza il Sud (10,6%).
Su scala regionale, la Sardegna primeggia con circa 24 mila aziende (10% del totale), seguita da Lombardia e Veneto, con circa 20 mila aziende, e dal Piemonte con 18 mila aziende.

Il contributo minore è dato invece dalle regioni dove predomina la catena alpina o la costa rocciosa, ossia la Valle d’Aosta (circa 1.400 aziende, lo 0,7% del totale), la Liguria e la Provincia autonoma di Trento, entrambe con circa 4 mila aziende (il 2% del totale).

La forza lavoro nelle aziende agricole. Cresce l’importanza della manodopera non familiare

“Il Censimento 2020, pur confermando la predominanza della manodopera familiare rispetto a quella non familiare, evidenzia più marcatamente rispetto al passato l’evoluzione dell’agricoltura italiana verso forme gestionali maggiormente strutturate, che si avvalgono anche di manodopera salariata. Questo fenomeno è una conseguenza di quanto già osservato riguardo l’evoluzione delle forme giuridiche delle aziende agricole”, afferma l’Istat.

Sebbene, infatti, anche nel 2020 la manodopera familiare sia presente nel 98,3% delle aziende agricole (dal 98,9% nel 2010) e la forza lavoro complessiva sia diminuita rispetto a dieci anni prima (-28,8% in termini di persone e -14,4% in termini di giornate standard lavorate), l’incidenza del lavoro prestato dalla manodopera non familiare aumenta significativamente. Infatti, nel 2020 rappresenta il 47% delle persone complessivamente impegnate nelle attività agricole (quasi 2,8 milioni), a fronte del 24,2% del 2010 (con una crescita, quindi, di 22,8 punti percentuali), e con un’incidenza del 32% sul totale di circa 214 milioni di giornate standard lavorate. Coerentemente con tale tendenza, nel decennio cresce la percentuale di aziende nelle quali è presente manodopera non familiare (da 13,7% a 16,5%).

Anche nel 2020 si conferma la tradizionale forte prevalenza di aziende agricole con manodopera familiare. La maggior parte sono localizzate al Sud, dove si trova il 41,1% delle aziende con manodopera familiare, in linea con il valore del 2010. Tuttavia, rispetto al 2010 il numero di queste aziende scende sensibilmente in tutte le ripartizioni geografiche (in particolare, nel Nord-est, -55,0%), ad eccezione del Nord- ovest, in cui sale del 28,5%.

Per quanto riguarda la manodopera familiare, nel 2020 il numero di persone risulta dimezzato rispetto a dieci anni prima, a fronte di una diminuzione di aziende di circa il 30%. Per contro, aumenta significativamente il tempo di lavoro dedicato: il numero di giornate di lavoro standard pro-capite è passato da 69 nel 2010 a 100 nel 2020.
Il tempo medio dedicato al lavoro agricolo è molto differenziato tra le ripartizioni geografiche. Il valore più alto, 181 giornate, si registra nel Nord-est, dove si osserva anche il maggior decremento in termini di numero di persone. Il valore più basso (66 giornate), sebbene in deciso aumento rispetto al 2010, è invece nel Sud, probabilmente in relazione alle minori dimensioni medie in termini di SAU delle aziende agricole in questa ripartizione rispetto alle altre.

La tipologia più diffusa di manodopera non familiare è quella saltuaria (presente in 127.820 aziende agricole), che concorre per il 66,4% al totale. Si tratta di poco meno di 1,3 milioni di lavoratori che svolgono lavori stagionali o limitati a singole fasi produttive e pertanto forniscono un contributo esiguo in termini di giornate di lavoro standard pro-capite, pari a 41 a livello nazionale, con picchi nelle Isole (54) e nel Nord-est (51).
Di contro, la manodopera assunta in forma continuativa, pur rappresentando solo il 26,8% di quella non familiare, fornisce il maggior contributo medio di giornate annue pro-capite lavorate (90), pur non raggiungendo il livello osservato per la manodopera familiare (100). Il contributo maggiore al valore nazionale è fornito dal Centro (115 giornate) e dal Nord-est (110).

La presenza della manodopera straniera tra i lavoratori non familiari si è accentuata nel decennio. Nel 2020 è straniero circa un lavoratore su tre (uno su quattro nel 2010). Il ricorso a manodopera straniera (Ue e extra Ue) è particolarmente diffuso tra le forme contrattuali più flessibili, lavoratori saltuari e non assunti direttamente dall’azienda. In quest’ultima categoria, il 45% dei lavoratori non è di nazionalità italiana e ben il 29% proviene da Paesi extra Ue.

Meno donne tra la manodopera ma cresce il peso femminile a livello manageriale

La presenza femminile nelle aziende agricole, nel complesso, diminuisce rispetto a dieci anni prima. Nel 2020 le donne sono il 30% circa del totale delle persone occupate contro il 36,8% del 2010. Tuttavia, l’impegno in termini di giornate di lavoro del genere femminile aumenta di più rispetto a quello maschile (+30% contro +13,9%) in particolare, tra la manodopera familiare (+54,7%) rispetto a quella non familiare; in quest’ultimo caso la variazione per le donne è negativa (-6,5%).

All’interno delle aziende agricole si è invece consolidata la partecipazione delle donne nel ruolo manageriale, fenomeno rilevato anche da altre indagini nel corso del decennio. I capi azienda sono donne nel 31,5% dei casi (30,7% nel 2010).
Limitato il peso dei giovani tra i capi d’azienda. La figura del capo azienda coincide spesso con quella del conduttore, cioè il responsabile giuridico ed economico dell’azienda. Ciò si verifica soprattutto nelle aziende familiari che, come già osservato, sono le più rappresentative dell’agricoltura italiana. Per questo motivo è ancora limitata la presenza di capi azienda nelle fasce di età più giovanili: nel 2020, i capi azienda fino a 44 anni sono il 13%, dal 17,6% del 2010.

Con la terza media più di un capo azienda su due. In generale, la formazione dei capi azienda è ancora molto legata all’esperienza in campo: quasi il 59% ha un titolo di istruzione scolastica fino alla terza media o nessun titolo e solo il 10% è laureato. “È però da rilevare una decisa evoluzione del livello di istruzione rispetto al 2010, quando poco più del 6% era laureato e oltre il 70% possedeva un titolo di studio fino alla terza media o nessun titolo – evidenzia l’Istat -. Inoltre, un capo azienda su tre ha partecipato ad almeno un corso di formazione agricola”.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)