Migranti, Vassallo Paleologo: “Selezione disumana”

Intervista al giurista esperto di immigrazione sul caso delle navi umanitarie in attesa di un porto sicuro: “I divieti di sbarco dei naufraghi soccorsi in acque internazionali costituiscono violazioni aggravate, oltre che del diritto europeo, anche del nostro diritto interno”

Migranti, Vassallo Paleologo: “Selezione disumana”

Si devono far sbarcare nel tempo ragionevolmente più breve tutti i naufraghi soccorsi dalle Ong in acque internazionali, anche quando le competenti autorità marittime non assumano il coordinamento delle attività di salvataggio (Sar). Lo impongono le Convenzioni internazionali e le norme vincolanti dei Regolamenti europei,  anche a prescindere dalle condizioni di salute, che non devono diventare la condizione richiesta per ottemperare agli obblighi di salvataggio in mare imposti dal diritto internazionale e dal Piano Sar nazionale 2020. A dirlo è il giurista, esperto in materia di immigrazione e asilo, Fulvio Vassallo Paleologo che ribadisce come il comportamento del governo nei confronti delle navi delle Ong alle quali si nega la indicazione di un porto di sbarco sicuro sia in violazione delle norme nazionali ed internazionali.

Quello che succede non è nuovo?
Da anni i soccorsi in acque internazionali delle Ong sono fortemente contrastati proprio perché queste sono testimoni delle gravi violazioni dei diritti umani legate agli accordi con la Libia e con la guardia costiera libica.

La Ocean Viking dopo 14 giorni in mare andrà a Marsiglia mentre le altre 3 navi sono state in mare più di 10 giorni, perché questo ritardo nei soccorsi?
I ritardi nei soccorsi ai migranti sono avvenuti anche da parte dei governi precedenti. Tutto questo avviene perché, già il ministro Lamorgese aveva introdotto quell'elemento discrezionale che ha permesso al ministro Piantedosi di dire prima che per due navi non c'erano gli elementi di emergenza per il soccorso e poi, dopo, ha costretto i medici a fare una selezione disumana delle persone contraria alle leggi. Alla fine però tutti sono stati riconosciuti in una condizione di forte disagio psicofisico e hanno potuto scendere a terra nel porto di sbarco sicuro. Da anni al Viminale, infatti, si ritiene che, gli eventi in cui sono coinvolte le Ong non siano eventi di soccorso, da regolare nel rispetto delle norme internazionali, ma siano ‘eventi migratori’ da contrastare, per i quali c'è un dispositivo di sorveglianza a distanza, senza però dare seguito alle richieste di intervento in acque internazionali. Quando i soccorsi sono operati su casi di cui la Guardia costiera italiana assume il coordinamento, anche se si sono verificati in acque internazionali, arriva, sempre con ritardo, l'indicazione del porto di sbarco sicuro, come nel caso della nave Ong Rise Above entrata martedì nel porto di Reggio Calabria. In questo modo  prevalgono criteri discrezionali e politici e non si riconoscono alle Ong, che intervengono per salvare vite umane in situazioni di emergenza  le procedure imposte a tutte le altre navi civili e militari che svolgono, non importa se occasionalmente o stabilmente, attività Sar. Con questa impostazione, che è stata smentita dall'archiviazione della maggior parte dei processi penali, intentati negli scorsi anni contro operatori umanitari, i naufraghi sono considerati irregolari o 'clandestini' favorendo una propaganda elettorale che falsifica la realtà.

E' una strumentalizzazione politica?
Sì, perché frutto di scelte politiche precise, si attribuisce all'autorità marittima nazionale, la centrale di coordinamento della guardia costiera italiana, il potere di dire che un evento di salvataggio, se rientra nelle attività delle Ong non sarebbe di soccorso ma solo ‘migratorio’ come se le Ong contribuissero all'ingresso dei migranti irregolari. In realtà sappiamo bene che rispondono alle inadempienze degli Stati costieri, se non ci fossero loro, il numero delle persone morte nel Mediterraneo crescerebbe ancora di più. E' comunque una linea che è fallita quando si sono impiantati i processi penali sui quali si è pronunciata  anche la Corte di Cassazione (caso Rackete) imponendo l'archiviazione delle accuse.

E' però ancora in corso il processo Open Arms di Palermo a carico di Salvini. 
Sì questo è proprio tutto incentrato sulla qualificazione non di soccorso ma di evento migratorio dei salvataggi operati nel 2019 dalla Ong Open Arms,  per cui la difesa di Salvini punta a dimostrare che l'attività dei soccorritori era illegale perché sarebbe stata finalizzata al trasporto di  'clandestini' in violazione delle leggi italiane.

Ritornando alle tre navi umanitarie ormai ormeggiate in porti italiani, una a Reggio Calabria e due a Catania, che è successo?
Quella attraccata a Reggio Calabria, della Ong Lifeline, ha avuto il riconoscimento  di avere agito per un soccorso in mare non tanto perché, a differenza delle altre avrebbe informato tempestivamente la Centrale di coordinamento italiana, ma perché era più piccola e non aveva operato diversi soccorsi, mentre questo non è avvenuto per le altre tre navi umanitarie più grandi che hanno fatto più operazioni in mare, qualificate come ‘eventi migratori’ che, secondo loro, agevolano l'arrivo de persone irregolari in Italia. Naturalmente, tutto questo è privo di basi legali perché i Tribunali e la Corte di cassazione, già nel caso del comandante Rackete, poi assolta, hanno detto che qualunque intervento delle Ong, occasionale o sistematico,  costituisce adempimento di un dovere di soccorso. Esistono anche norme internazionali che dicono che le imbarcazioni sovraccariche di migranti, senza attrezzature di sicurezza, richiedono comunque un'operazione di soccorso urgente delle vite umane a rischio di un naufragio. E dovrebbero essere le autorità statali ad inviare i loro mezzi di soccorso nel più breve tempo possibile.

Tutto quello che avviene è in contrasto, quindi, con le leggi nazionali ed internazionali?
Il governo sta commettendo un errore perché sta utilizzando l'omissione di soccorso in acque internazionali e la teoria dello Stato di bandiera, che sarebbe titolare del dovere di indicare il porto di sbarco, che è priva di fondamento giuridico perché, le Convenzioni internazionali, riconosciute anche dai Regolamenti europei (come il Regolamento Frontex 656/2014), prescrivono che un comandante, avendo notizia di un evento di soccorso, informando tutte le autorità, quelle di bandiera, e quelle degli Stati costieri più vicini, deve procedere al salvataggio delle vite umane nel più breve tempo possibile. Secondo le norme internazionali ed europee il Paese che coordina le operazioni di ricerca e soccorso è poi responsabile nell'indicare un porto di sbarco sicuro. Se il paese titolare della zona Sar ( ricerca e soccorso) nella quale si verifica l'evento di soccorso non interviene, gli Stati più vicini non possono tirarsi indietro. I divieti di sbarco dei naufraghi soccorsi in acque internazionali costituiscono violazioni aggravate, oltre che del diritto europeo, anche del nostro diritto interno: l'art.10 punto tre del Testo Unico sull'immigrazione del '98,continua a dire che, le persone soccorse in mare non sono migranti irregolari, distinguendo tra migranti che fanno ingresso nel territorio in modo irregolare e coloro che vengono soccorsi in mare che sono naufraghi e non 'clandestini'. Si prescrive, infatti, che queste vengano portate nei centri di prima accoglienza ‘Hotspot’. Pertanto, sul piano della tutela dei diritti umani, bisogna assolutamente garantire lo sbarco nel porto sicuro più vicino a tutti i naufraghi senza decidere secondo criteri privi di base legale, quali persone fare sbarcare, perché considerate più vulnerabili di altre. Inoltre, non si può vanificare l'attività umanitaria di soccorso delle persone che si trovano in alto mare su mezzi fatiscenti e sono a rischio di naufragio, come attività di ‘trasporto migratorio’ per arrivare oggi a parlare di un ‘carico residuale’ da smaltire.

Che cosa si può fare?
Si deve fare intanto una corretta comunicazione dei fatti, smontando tutta la disinformazione che qualifica come eventi migratori illegali i soccorsi in mare e come 'clandestini' i naufraghi che vengono portati a terra. Il naufrago è naufrago, fino a quando non sbarca a terra, in un porto sicuro, e pertanto, ha tutto il diritto di potere chiedere asilo nel nostro territorio, anche a prescindere dalle sue condizioni di salute. Se in futuro si ripeteranno queste prassi di rifiuto nella indicazione del porto di sbarco sicuro, le autorità italiane saranno perseguibili di sanzioni per la violazione di norme nazionali ed internazionali.

Serena Termini

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)