Dress Code. Come ci si veste a scuola?

L'abbigliamento degli adolescenti all'interno delle aule non può essere semplicemente considerato espressione di libertà personali o di diritti non meglio precisati.

Dress Code. Come ci si veste a scuola?

Dress code a scuola: la questione è assai spinosa e sfaccettata.

Come per altri temi oggi al centro di innumerevoli dibattiti, il rischio è che le opinioni si polarizzino su posizioni ideologiche più che sostanziali.

L’abbigliamento degli adolescenti all’interno delle aule non può essere semplicemente considerato espressione di libertà personali o di diritti non meglio precisati. In questo modo, infatti, il punto di vista risulta parziale: le regole che riguardano la scuola oltre ad avere una valenza educativa, vanno inquadrate in un’ottica comunitaria.

La scuola, infatti, è prima di ogni altra cosa comunità educante.

C’è stato un tempo, ormai obsoleto in cui i membri di questa comunità vestivano uniformi o anche odiatissimi grembiuli.

La rievocazione storica non serve a esprimere considerazioni nostalgiche, ma a far comprendere le motivazioni che all’epoca avevano indotto all’adozione di tali misure.

Tra le cause principali l’esigenza di non evidenziare le disparità sociali fra gli studenti. Una soluzione certamente debole, smentita poi da altri dettagli che testimoniavano comunque che la differenza di status fra i giovani è difficile da nascondere. Tuttavia la scelta di quei tempi non appare ingenua se abbiamo bene chiaro quanto sia identificativo l’outfit a una certa età. Ed è proprio il termine “identificazione” a fondare la riflessione pedagogica che sta dietro ai dettami dei regolamenti scolastici in merito all’abbigliamento degli studenti.

In un tempo in cui la fisicità degli individui è messa al centro di tutto, fino a trasformarsi spesso in ossessione o malattia (pensiamo ai disturbi alimentari, alle nevrosi adolescenziali che riguardano l’aspetto fisico), la scuola dovrebbe riuscire a mantenersi luogo neutrale, dove il corpo non viene certamente nascosto, ma neppure esibito.

Alla scuola che, per molti versi, resta ultimo baluardo rispetto alle effimere tendenze del momento, alla volgarità, ai clamori del mondo esterno e ai discutibili modelli con cui i social bombardano quotidianamente i nostri ragazzi, ancora una volta viene chiesto a gran voce di “adeguarsi”. A cosa poi? Sostanzialmente a un falso concetto di libertà associato all’essere umano.

Poter mostrare l’ombelico a scuola vuol dire essere liberi? Ci preoccupiamo di quanto possa essere limitativo per un adolescente non avere la possibilità di scoprire la pancia mentre prende appunti di matematica, o fa l’analisi di un testo, ma non consideriamo affatto quanto sia autenticamente sua quell’esigenza. Se non si tratti piuttosto di un tentativo di emulazione dell’influencer di turno, abile e subdolo testimonial di un business che prolifera sulle spalle dei nostri teenager.

Solleviamo gli scudi in nome del libero ombelico, arrivando persino a insinuare che dietro una regola possano esserci l’invidia degli adulti, o la volontà di castrare i giovani, tiriamo perfino in ballo il becero sessismo.

Appellandosi a feticci ideologici, non ci rendiamo neppure conto della gravità dell’ennesima invasione di campo nei confronti dell’unico luogo che dovrebbe conservare la propria “immunità” rispetto a condizionamenti sociali che, più che frutto del libero pensiero, sono mossi da ben altre logiche.

Ci convinciamo che l’origine dell’autostima dei nostri figli sia prevalentemente collocata nella percezione del proprio corpo e che l’interazione “serena” con i coetanei dipenda dalla marca delle scarpe che calzano, o da quanti centimetri di pelle possono esibire in pubblico.

Continuiamo ad “adultizzare” generazioni di adolescenti senza voler offrire loro i giusti percorsi di riflessione che portano all’autoconsapevolezza e che sovente possono (e devono) anche essere costellati di divieti o limitazioni giuste per una età definita persino nei codici di tutela legale “minore”.

L’errore, ancora una volta, sta nel ritenere l’educazione un “fatto privato”. Così si esaspera il profilo di una società votata sempre di più all’alienazione e all’individualismo, estremamente confusa su concetti fondanti come la libertà.

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)
Fonte: Sir