Tre parole per una campagna elettorale. Per la politica è tempo di cambiare passo

Mentre a palazzo Madama si consumava l’omicidio politico di Mario Draghi, mercoledì 20 luglio, mi trovavo per caso al porto di Carrara. Leggevo nei giornali e nelle agenzie dell’incredibile sgambetto di Lega e Forza Italia al Governo Draghi, servito su un piatto d’argento dal Movimento 5 stelle di Conte – troppo a lungo descritto come alleato affidabile dal Pd di Letta – e davanti ai miei occhi si stagliava l’enorme yacht sequestrato a un oligarca russo che tuttavia apparterrebbe direttamente a Putin. 

Tre parole per una campagna elettorale. Per la politica è tempo di cambiare passo

Impossibile non pensare che quella manovra partitica dettata dalla volontà di (non perdere altro) consenso alla fine consegnava all’invasore dell’Ucraina una parziale vittoria. E tuttavia le implicazioni della caduta di Draghi non sono tutte qui. Pensiamo alla crisi economica e commerciale scatenata dalla pandemia e rinfocolata dagli stessi carrarmati del Cremlino. Sul Tirreno, in quel momento, l’orizzonte delle famiglie che si godevano il sole del tardo pomeriggio in spiaggia era schiacciato da almeno tre navi cargo, su cui (come abbiamo scritto di recente) viaggia l’80 per cento delle merci mondiali, ora con prezzi che sembrano non smettere di salire. Quelle immagini sembrava la rappresentazione plastica di quanto le forze politiche – e in particolare le tre che non hanno votato la fiducia – siano lontane anni luce dalle questioni che agitano la quotidianità di cittadini, famiglie, imprenditori e anche amministratori.

Di fronte a noi, c’è una campagna elettorale infuocata, scontata solo in apparenza. Lo sfaldamento in atto in Forza Italia apre spazi inediti al centro, da qui al 25 settembre potremmo avere molte sorprese. Ci sono però tre parole chiave, che meritano di essere sottolineate mentre i toni cominciano già ad alzarsi nei comizi. La prima è rappresentanza. C’è da chiedersi chi tra i cittadini – tolti i “tifosi” dei vari schieramenti – si sente davvero rappresentato da un personale politico così irresponsabile e quanti hanno le idee chiare su chi votare. Nei giorni precedenti alla deflagrazione della crisi, gli imprenditori, i rettori delle università italiane e i rappresentanti di altri corpi intermedi erano intervenuti per scongiurare lo strappo, poi puntualmente avvenuto. Si sono così messi in discussione appartenenze e interessi (perché in Italia li percepiamo sempre in chiave negativa?) su cui si basava il patto di legislatura per il quale ci si reca alle urne. E ora si voterà “al buio” per via del combinato disposto del pessimo Rosatellum e del taglio dei parlamentari (di cui, più che il numero, continua a noi sembraci importante preparazione e motivazioni nello svolgimento del loro incarico). La seconda parola è visione. Siamo già stanchi, dopo una sola settimana, di sentire da parte dei vari leader quale sarà la prima misura che metteranno (o rimetteranno) in campo, quale tassa taglieranno, qualche intervento di Draghi elimineranno o quale punto della sua agenda riprenderanno. Gli italiani – lo abbiamo scritto altre volte su queste pagine – vogliono capire quale tipo di Paese sarà quello in cui vivranno tra cinque, dieci, trent’anni. Quali criteri i singoli candidati e i partiti in genere pensano di adottare per leggere il presente e progettare il futuro. Non possiamo attendere il domani, passivi, tra una crisi di Governo e l’altra. È il tempo di scegliere, anche alle urne, quale Italia essere, in un contesto internazionale confuso e in rapido mutamento. La terza e ultima parola è capacità, di chi verrà eletto. La politica non può più permettersi di vivacchiare in attesa di un vitalizio (a proposito di solidarietà nei confronti del Paese…), ci vogliono metodo – come in tutte le organizzazioni complesse, Chiesa inclusa –, progettualità e resistenza alla fatica. Varchiamo un tornante della storia in cui incide chi fa fronte comune, crede fino in fondo nelle proprie idee e dà tutto se stesso per realizzarle.

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