Agricoltura, clima e burocrazia pesano ancora troppo. L’andamento del meteo ha tagliato le produzioni, mentre la disattenzione politica fa il resto

A ricondurre almeno parte delle cronache (non solo agroalimentari), ai temi dell’ambiente e della produzione di alimenti, è stata, questa volta, Banca d’Italia.

Agricoltura, clima e burocrazia pesano ancora troppo. L’andamento del meteo ha tagliato le produzioni, mentre la disattenzione politica fa il resto

Un taglio netto, che pesa e che fa capire, se ve ne fosse ancora bisogno, quanto il clima pesi sulla produzione di cibo. Anche nelle economie “sviluppate”. Un taglio che deve far pensare molto sulla necessità di non abbassare mai la guardia su alcuni aspetti della produzione agroalimentare: primo tra tutti, l’aver a che fare con la natura, l’ambiente e gli eventi collegati. Elementi – tutti -, che ben poco anche oggi possono essere posti sotto controllo.
A ricondurre almeno parte delle cronache (non solo agroalimentari), ai temi dell’ambiente e della produzione di alimenti, è stata, questa volta, Banca d’Italia che in un rapporto ha stimato come a causa dell’andamento climatico dall’inizio dell’anno ad oggi i danni in agricoltura siano già arrivati a circa sei miliardi di euro equivalenti al 10% della produzione nazionale. Due numeri che, ancora una volta, forniscono lo spunto a Coldiretti per affermare non solo come l’agricoltura sia uno “dei settori più esposti” al cambiamento del clima, ma come “in Italia dall’inizio dell’anno, gli eventi estremi fra siccità, nubifragi, bombe d’acqua, grandinate, bufere di vento e tornado abbiano provocato danni e vittime cresciuti del +42%, rispetto allo scorso anno”.
Lo scenario che non solo si profila ma che fa ormai parte della nostra vita è quello già noto. Il 2022 ha fatto registrare una temperatura addirittura superiore di quasi un grado (+0,96 gradi) rispetto alla media storica, ma anche precipitazioni ridotte di 1/3 pur se più violente (secondo Isac Cnr). E’ la tendenza al surriscaldamento del nostro Paese che sta provocando tutto questo. Che, detto in altro modo, significa tropicalizzazione del clima. Con tutto quello che ne consegue. E, soprattutto, con tutto quello che occorre fare per rispondere adeguatamente a quanto accade. Ad iniziare dalla corretta e migliore gestione delle acque. “Gli agricoltori sono già impegnati a fare la propria parte per promuovere l’uso razionale dell’acqua”, ha fatto sapere Coldiretti, sottolineando che comunque “occorre organizzarsi per raccogliere l’acqua nei periodi più piovosi per renderla disponibile nei momenti di difficoltà. Per questo servono interventi di manutenzione, risparmio, recupero e riciclaggio delle acque con le opere infrastrutturali, potenziando la rete di invasi sui territori, creando bacini e utilizzando anche le ex cave per raccogliere l’acqua piovana”. Interventi necessari anche se, in alcuni casi complessi e costosi.
E che occorra comunque un cambio di passo nelle politiche di intervento sul territorio, lo dimostrano anche le ultime rilevazioni condotte dalla Anbi (l’Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue) che in una nota ha attaccato: “In un colpevole frastuono di silenzi, l’European Drought Observatory (EDO) certifica l’aggravarsi della siccità in Europa. Ormai il 27% del territorio continentale è considerato in zona rossa (alert) ed il 22% in zona arancione (warning)”. In particolare, il Nord Ovest d’Italia è ricompreso nell’ “area arida” in continuità con l’Europa settentrionale che, partendo dalla penisola iberica, comprende ormai ampie zone di Francia, Germania e Paesi Bassi, il Sud dell’Inghilterra, fino a raggiungere Romania, Ungheria, Bulgaria, Moldavia. Guardando più da vicino l’Italia, ANBI sottolinea: “La situazione idrologica dell’Italia settentrionale appare sempre più compromessa”. Tutto, spiegano i tecnici, nella quasi totale indifferenza delle istituzioni europee e nazionali. Con casi eclatanti come quello del nodo idraulico di Bocca d’Enza, nel parmense. Ancora Anbi dice: “Se per fare una complessa opera a servizio della sicurezza idraulica di 4.000 ettari e 15.000 persone, ci sono voluti solo due anni, rispettando in pieno il cronoprogramma, vuol dire che tutta la filiera realizzativa ha funzionato: dalla qualità del progetto alla disponibilità finanziaria, dall’efficienza dell’impresa costruttrice alla risposta del territorio. Se altresì ci sono voluti 20 anni per arrivare alla posa della prima pietra vuol dire che va migliorato l’iter burocratico”. Ed è forse dalla consapevolezza e dalle regole che occorre ripartire.

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Fonte: Sir