Decreto porti non sicuri. Rabbia ong: “Governo strumentalizza l'emergenza coronavirus”

Sea Watch, Mediterranea, Open Arms e Medici senza frontiere si dicono preoccupate per la misura adottata dall’Italia: “Salvare tutte le vite, a terra come in mare, è possibile e doveroso”

Decreto porti non sicuri. Rabbia ong: “Governo strumentalizza l'emergenza coronavirus”

“Tutte le vite vanno salvate, tutte le persone vulnerabili vanno protette, a terra come in mare. Farlo è possibile e doveroso”. Lo dicono in un comunicato congiunto le ong Sea Watch, Mediterranea, Open Arms e Medici senza frontiere, commentando il decreto firmato dai ministeri dei Trasporti, degli Esteri, dell’Interno e della Salute in cui si dichiarano i porti italiani non sicuri, per l’emergenza coronavirus in corso. “Il decreto di fatto strumentalizza l’emergenza sanitaria, riprendendo l’impianto già utilizzato nel recente passato per ostacolare le attività di soccorso in mare, in un momento difficile in cui più che mai sarebbe necessaria un’assunzione di responsabilità a livello europeo per poter ottemperare all’obbligo di soccorso - scrivono le ong -. Come già il Decreto Sicurezza Bis, anche questo strumento classifica come una minaccia l’ingresso di navi straniere che hanno salvato naufraghi nel mar Mediterraneo Centrale, reiterando il riferimento implicito alla responsabilità libica, o allo sbarco in Paesi lontani, contro la normativa internazionale”.

Secondo le organizzazioni impegnate in questi anni nel salvataggio in mare di migranti, “in un momento come questo, la sofferenza di cittadini colpiti da un’emergenza sanitaria non può diventare motivo per negare un sostegno – che è anche un obbligo legale – a chi non perde il respiro su un letto di terapia intensiva ma annegando”.  Sea-Watch, Medici Senza Frontiere, Open Arms e Mediterranea esprimono la propria preoccupazione per la decisione del governo italiano di “strumentalizzare la situazione di emergenza sanitaria per chiudere i propri porti alle persone salvate in mare da navi straniere, riferendosi ancora una volta, di fatto alle navi civili di ricerca e soccorso - aggiungono -. Con un decreto il cui scopo evidente è quello di fermare le attività di salvataggio nel Mediterraneo, senza fornire alternative per salvare la vita di chi scappa dalla Libia, l’Italia ha privato i suoi porti della connotazione di luoghi sicuri, propria di tutti i porti europei, equiparandosi a Paesi in guerra o dove il rispetto dei diritti umani non è garantito e operando una selezione arbitraria di navi a cui l’accesso è negato”.

Secondo le ong “sarebbe stato possibile trovare molte soluzioni diverse, conciliando il dovere di garantire la salute di tutti a terra con quello di soccorrere vite in mare, un dovere che non può mettere sullo stesso piano le navi di soccorso con le navi da crociera. In un momento in cui l’Italia chiede e ottiene solidarietà da parte dei suoi partner internazionali e delle stesse ong per far fronte all’emergenza Covid-19, il governo dovrebbe mostrare la stessa solidarietà verso persone vulnerabili che rischiano la loro vita in mare perché non hanno alternative”. Le organizzazioni firmatarie dell’appello non sono attualmente in mare con le proprie navi, “dal momento che, proprio per adeguarsi alle misure sanitarie di prevenzione e risposta a Covid-19, stanno riorganizzando i propri assetti e operazioni - spiegano -.Siamo profondamente consapevoli della situazione di emergenza che tutti stiamo vivendo, tanto che, come noto, abbiamo messo tutti le nostre risorse e il nostro personale a disposizione del sistema sanitario italiano impegnato contro il Covid-19, al quale stiamo offrendo supporto in questa tragica emergenza. Noi non siamo in mare, ma lo è, insieme a 150 sopravvissuti a un naufragio fra i quali una donna incinta, una delle navi umanitarie battenti bandiera straniera alle cui attività siriferisce il decreto - conclude la nota -. L’emergenza sanitaria non intacca la necessità di trovare al più presto una soluzione dignitosa per Alan Kurdi”.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)