Fratelli tutti: tutto ciò che è umano ci riguarda
Due capisaldi fondamentali orientano ogni pensiero: la dignità della persona umana e l’importanza dell’essere in relazione come parte costitutiva dell’uomo, capace di realizzarsi pienamente solo in rapporti di autenticità, reciprocità e donazione. La dignità umana, lo sviluppo umano integrale, l’essere in relazione, il dono di sé, che trova culmine nell’amore autentico, sono i pilastri dell’enciclica, ma ci sono tanti altri punti, come ad esempio l’invito a “recuperare la gentilezza”, che ci provocano per una rinnovata vigilanza sul nostro essere autentici cristiani e – prima ancora – uomini e donne capaci di vivere senza mai strumentalizzare e farci strumentalizzare
Fratelli tutti è una lettera paterna. Come enciclica è una lettera circolare che si rivolge a tutta la Chiesa, ma desidera parlare anche a tutti gli uomini e le donne del mondo per trasmettere l’affetto e la premura di un padre che vuole “invitare tutti ad un amore che va al di là delle barriere della geografia e dello spazio”. Infatti, soltanto in una “fraternità aperta”, fondata sul principio inalienabile della dignità umana, è possibile sognare e costruire insieme un’altra umanità, che assicuri rispetto reciproco, accoglienza, cura, terra, casa, lavoro e solidarietà a tutti. “La pace duratura – scrive il Papa – è possibile solo a partire da un’etica globale di solidarietà e cooperazione al servizio di un futuro modellato dall’interdipendenza e dalla corresponsabilità della famiglia umana” (n.127).
Papa Francesco ci ha donato un documento davvero unico.
San Francesco lo ha già guidato ed ispirato per scrivere Laudato si’, richiamando in modo profetico le coscienze a prendere contatto con la realtà riguardo al rispetto dovuto alla casa comune che abitiamo e che ci è stata affidata come amministratori e non come proprietari. Oggi il Santo Padre ci apre un’altra anta della finestra per guardare verso orizzonti lontani grazie a Fratelli Tutti, per svegliarci all’amore fraterno con una concretezza di analisi del mondo che viviamo e per chiederci quale mondo vogliamo costruire per le future generazioni.
I temi sociali sono tanti e complessi, ma prima di tutto c’è una scelta di fondo molto precisa. Il Papa scrive al mondo intero, non soltanto alla Chiesa, usando un doppio registro linguistico. Da una parte parla ai cristiani richiamando i valori fondanti che scaturiscono dalla Parola di Dio nel solco della viva Tradizione ecclesiale, dall’altra si rivolge a tutti gli uomini e le donne di buona volontà comunicando in modo laico, scegliendo come punto di incontro comune il terreno dell’antropologia. Francesco ci spinge confrontarci insieme sulla realtà del tempo presente e ci chiama in causa in modo pieno, adulto e consapevole, per scegliere chi vogliamo essere e da quale parte intendiamo schierarci. Tutti siamo chiamati in causa, tutti siamo protagonisti, nessuno è spettatore.
Il Papa stesso prende posizione in modo coraggioso e netto, proprio come Gesù e i profeti, senza grandi giri di parole, piuttosto con una capacità di analisi e lettura che contempla diverse prospettive, smascherando ciò che inquina lo sguardo umano: il pensiero unico, le scelte ideologiche e di comodo, mosse da finalità economiche ed egoistiche che portano a strumentalizzare la persona umana e a svuotare di significato le stesse parole chiave di un’etica comune.
Se per Laudato si’ l’ambito su cui incontrarsi per riflettere e cambiare è la casa comune che abitiamo, in Fratelli tutti è la nostra stessa carne. Si tratta di un’enciclica sociale che vuole aprirsi al dialogo – altra parola fondamentale – con tutti (n.6). Il primo capitolo, dedicato alle ombre di un mondo chiuso, mette in evidenza come ad un progresso tecnologico e scientifico non corrisponda una crescita umana ed etica a livello globale. Siamo invece davanti a gravi passi indietro come famiglia umana, mettendo a serio rischio le grandi conquiste della storia, dandole come per scontate, senza capacità di memoria e radici. “Il bene, l’amore, la giustizia, la solidarietà vanno conquistati ogni giorno” scrive il Papa (n.11). Assistiamo ad una dittatura culturale, dove una economia sganciata dai valori fondamentali di un’etica di base guida la politica a pericolose derive, strumentalizzando i conflitti locali e il disinteresse per il bene comune per “imporre un modello culturale unico”, riducendo l’uomo al “ruolo di consumatore o spettatore” (n.12). Il Papa ci offre tante possibili vie, tra le quali una particolarmente importante è la formazione di una “coscienza critica”.
Con grande finezza arriva ad analizzare aspetti molto specifici, come ad esempio l’idea che la povertà mondiale sembrerebbe in diminuzione semplicemente perché misurata con criteri di altre epoche, distorcendo di fatto la fotografia reale di ciò che si consuma sotto il Cielo ogni giorno, anche nel rapporto tra Paesi poveri e ricchi. Tanti i temi rimessi al centro e affrontati.
Quello che dovrebbe sorprenderci e addolorarci è che sia necessario riaffermare valori e principi che normalmente si danno già per acquisiti, perché in realtà non lo sono. Se da una parte si affrontano in modo luminoso alcuni punti davvero urgenti e inediti della storia attuale, dall’altra il Papa è costretto a riaffermare i “fondamentali” di un’etica comune e di una antropologia condivisa che incredibilmente si sono smarriti per le vie della storia recente. Sembra impossibile, ma è così. C’è bisogno ancora oggi, nel 2020, di parlare di riaffermare i punti contenuti nel Compendio della dottrina sociale della Chiesa: l’importanza di un dialogo autentico fatto di silenzi e capacità di ascolto, l’incontro come ricchezza, il rispetto delle minoranze e delle culture, il non perdere la memoria storica, l’amicizia sociale come indispensabile via per la pace, l’amore concreto ed efficace che deve diventare opere e non mera speculazione, la cooperazione, la solidarietà, la sussidiarietà, la chiarezza di ciò che è primario e cosa è secondario, le dinamiche che portano a dire che un ergastolo è una pena di morte nascosta, che la pena di morte non può essere tollerabile e che non si può mai più parlare di una “guerra giusta”, la dignità del lavoro, il superare certi concetti impostisi e certe visioni utilitariste che portano alla cultura dello scarto…
È un’enciclica che apre i polmoni per respirare in modo pieno, dilatandosi sulla grande famiglia umana, abbattendo ogni possibile muro ed indifferenza come unica via per ripartire davvero. La rilettura della parabola del buon samaritano diventa paradigmatica e viene veicolata in modo laico, per poterla offrire a tutti, credenti di diverse religioni e non credenti, anche se con registri e modalità diverse, come orizzonte di senso su cui ritrovarci.
Due capisaldi fondamentali orientano ogni pensiero: la dignità della persona umana e l’importanza dell’essere in relazione come parte costitutiva dell’uomo, capace di realizzarsi pienamente solo in rapporti di autenticità, reciprocità e donazione. La dignità umana, lo sviluppo umano integrale, l’essere in relazione, il dono di sé, che trova culmine nell’amore autentico, sono i pilastri dell’enciclica, ma ci sono tanti altri punti, come ad esempio l’invito a “recuperare la gentilezza”, che ci provocano per una rinnovata vigilanza sul nostro essere autentici cristiani e – prima ancora – uomini e donne capaci di vivere senza mai strumentalizzare e farci strumentalizzare.
Prima uomini, poi santi potrebbe essere una ottima sintesi; oppure umani davvero, facendo tesoro del patrimonio unico che la grande umanità ha grazie al cammino compiuto fino ad oggi, senza per questo rinnegare le proprie radici – come il Papa scrive – ma condividendo tutto ciò che di buono e di bello abbiamo, noi cristiani in particolare grazie al Vangelo e all’incontro con Cristo Risorto, sapendo che – come scriveva san Paolo VI – “tutto ciò che è umano ci riguarda”.
Chiara Amirante