Benvenuti a casa nostra. Il progetto di accoglienza dei giovani migranti in famiglia

Perché non aprire veramente le porte della propria casa ad uno di quei giovani, che la loro casa sono stati costretti ad abbandonarla?

Benvenuti a casa nostra. Il progetto di accoglienza dei giovani migranti in famiglia

“Chissà come si vive al di là del mare…”.
Quando Blessing Kikeme sale, insieme a decine di altre persone, sul gommone, lasciandosi alle spalle centinaia di chilometri percorsi con la forza della disperazione, guarda al mare che ha davanti a sé con occhi stanchi, ma pieni di curiosità e di speranze. Quella tavola blu, che a volte ti coccola con il suo ondeggiare e a volte, quando si arrabbia, ti inzuppa fino alle ossa impregnandoti la pelle del suo odore, è l’unica cosa che, in quel momento, gli sembra possa separarlo da un futuro migliore.

Blessing arriva in Italia tre anni fa, nel 2017. È poco più che maggiorenne. È andato via dalla Nigeria perché, spiega, “lì non c’era una buona situazione per me e volevo cercare un posto dove la mia vita fosse migliore”. Dalla Sicilia viene portato al Cara di Bari. Gli viene riconosciuta la protezione internazionale e viene trasferito quindi a Carovigno (Brindisi), dove è uno dei beneficiari del progetto Sipromi (Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e minori stranieri non accompagnati). Frequenta lezioni di italiano e diversi corsi di formazione professionale. Impara a conoscere la storia e le tradizioni della cittadina pugliese che lo ha accolto e inizia a masticare anche il dialetto brindisino. Trova un lavoro in un ristorante. Quest’estate, a causa del coronavirus, i turisti sono diminuiti, ma lui non ha perso il posto. Adesso va a lavorare tre giorni la settimana. Ma la ricaduta economica della pandemia sul turismo e sul suo lavoro non è l’unica difficoltà che si trova ad affrontare. È trascorso infatti un anno dal suo arrivo nello Sprar di Carovigno e, alla scadenza del limite previsto, Blessing dovrebbe abbandonare il progetto di accoglienza e costruirsi, da solo, una nuova vita. Ma come fare?

“Chissà come si vive al di là di quel muro…”.
Alessia e Lorenzo conoscono bene le mura che circondano il Cara di Brindisi, che sorge a poca distanza dalla loro casa, in contrada Restinico. Ogni giorno incontrano giovani migranti e rifugiati e non possono fare a meno di chiedersi come riescano a vivere lontano da casa e dai propri affetti, ospiti dei moduli abitativi che si trovano dietro a quella fila di mattoni, alta tre metri, che non passa certo inosservata in mezzo alla campagna.

La coppia brindisina ha due amici di Ravenna, che – attraverso il progetto di ospitalità in famiglia dell’associazione Refugees Welcome Italia  – hanno aperto le porte della propria casa loro un rifugiato, e oggi si dicono entusiasti.

“Perché non provare?”, si chiedono Alessia e Lorenzo. D’altra parte, quando si parla di flussi migratori, hanno sentito tante volte ripetere – spesso in maniera sprezzante e intollerante – la frase “ospitateli a casa vostra”. Perché non raccogliere l’invito e aprire veramente le porte della propria casa ad uno di quei giovani, che la loro casa sono stati costretti ad abbandonarla? Perché non venire incontro a chi, in uscita dal sistema di accoglienza, non ha ancora raggiunto una piena indipendenza, offrendo loro una casa (non solo di mattoni) per accompagnarli in quell’ultimo tratto di strada che li separa dall’inserimento nel mondo del lavoro e dal trovare un alloggio stabile?

Alessia e Lorenzo decidono di raccogliere la sfida e si rivolgono a Refugees Welcome di Bari. Dove, nel frattempo, arriva a chiedere aiuto anche Blessing.

Dopo una serie di colloqui, a fine agosto Alessia e Lorenzo accolgono a casa loro il giovane nigeriano. “Vivo da alcune settimane con Alessia e Lorenzo – racconta Blessing – e sono davvero molto felice. Ci vogliamo bene”.

Il progetto di ospitalità durerà sei mesi, ma potrebbe anche allungarsi ad un anno.

“Chissà cosa c’è per cena oggi?”
Una domanda, questa, che ha il profumo della vita in famiglia e che ora è entrata anche nella quotidianità di Blessing. Non di rado è lui stesso a spignattare per Alessia e Lorenzo.

L’odore di salsedine, che gli aveva intriso i vestiti e le ossa, ha finalmente lasciato spazio al profumo di mare, che arriva dal riso col sugo di pesce. E i sapori della cucina africana si intrecciano con quelli della tradizione pugliese.

La storia dell’accoglienza di Blessing – la prima nella provincia di Brindisi attraverso Refugees Welcome Italia – è stata raccontata in questi giorni su Facebook, con la speranza che possa invogliare altri ad offrire ospitalità a un giovane rifugiato. Finora, in tutta Italia, in 30 diverse città, sono state attivate oltre 200 convivenze.

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Fonte: Sir