Ghiaccio sottile. I possibili rimedi contro lo scioglimento dei ghiacciai alpini

Molti i deleteri effetti del riscaldamento globale. Tra questi, spicca l'ingravescente scioglimento dei ghiacci, che sembra inarrestabile.

Ghiaccio sottile. I possibili rimedi contro lo scioglimento dei ghiacciai alpini

Molti i deleteri effetti del riscaldamento globale. Tra questi, spicca l’ingravescente scioglimento dei ghiacci, che sembra inarrestabile. Anche sulle nostre Alpi i ghiacciai si stanno ritirando, spingendo gli studiosi a cercare soluzioni nel breve e lungo periodo. “I ghiacciai alpini – avverte Renato Colucci, dell’Istituto di scienze polari del Cnr – oggi sono come un grosso cubo di ghiaccio, tirato fuori dal freezer e lasciato sul tavolo in cucina. È inesorabile che l’intero cubo continui a fondersi, anche se lentamente”. Del resto, le Alpi sono un vero e proprio “hotspot” per il riscaldamento climatico, dal momento che qui le temperature aumentano a un ritmo doppio rispetto alle medie globali. “Questo – spiega la meteorologa Serena Giacomin, presidente di Italian Climate Network – si traduce in minore innevamento, maggiore piovosità, e stagioni invernali sempre più brevi. Il settore alpino è vulnerabile, geograficamente e climaticamente, anche a causa del bacino Mediterraneo che si sta scaldando molto velocemente”. Anche in base ai risultati di un recente studio, effettuato da Matthias Huss, glaciologo del Politecnico di Zurigo, su ben 4000 ghiacciai alpini, quasi la metà del ghiaccio attuale (dati del 2017) della catena andrà perso entro il 2050. E ciò avverrà indipendentemente dall’azione internazionale sul clima, a causa del riscaldamento già messo in moto dalle emissioni del passato!

Eppure, come spiega il glaciologo Riccardo Scotti, responsabile scientifico del Servizio glaciologico lombardo, “salvare parte dei ghiacciai è possibile. Bisogna però agire immediatamente, accettare il fatto che gran parte di essi scomparirà e che l’unica soluzione è stabilizzare le temperature”. Tra le proposte “tecnologiche” avanzate per riuscire almeno a rallentare il fenomeno figura anche l’ipotesi di impiegare teli sintetici (geotessili) per rallentare la fusione dei ghiacci. Potrebbe funzionare realmente? Tecnicamente parlando, questi teli composti da materie plastiche sono sicuramente efficaci. I primi esperimenti in Italia, effettuati sul ghiacciaio del Dosdè Est, in Lombardia, nel 2008, e del Presena, in Trentino, nel 2010, hanno dimostrato che la fusione può essere ridotta anche del 70% rispetto alle aree libere. Ma questi interventi richiedono risorse economiche ingenti. Huss, infatti, ha stimato che il costo di queste opere può oscillare dai 60 centesimi a 7,50 euro per metro cubo di ghiaccio. Nello studio italiano il costo medio del solo materiale è stato di 1 euro/mq.

“Questi costi elevati – sottolinea Huss – sono un’indicazione del considerevole valore economico del ghiaccio dei ghiacciai”. Per questo, in genere, sono i resort turistici (come, ad esempio, il resort turistico di Les Alps, che ultimamente ha investito 800.000 euro in un sistema di innevamento artificiale di un ghiacciaio) o chi ha altri importanti interessi economici a investire su questa tipologia di interventi. Come dire, una soluzione per ricchi o, comunque, per pochi specifici casi dove ci siano interessi economici sufficienti a giustificarne l’uso. A una conclusione analoga giungeva lo studio di Diolaiuti: “La copertura dei ghiacciai con geotessili – conferma Guglielmina Diolaiuti, Università degli Studi di Milano, del Dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali, dell’Università degli Studi di Milano – ha costi non trascurabili (materiali, trasporto, installazione e manutenzione) ed è quindi applicabile solo su piccoli settori di ghiacciai e per periodi limitati (alcuni anni con uso solo stagionale)”.

Ma c’è un altro importante aspetto problematico che gli studiosi tengono a sottolineare. Un recente documento sottoscritto da 39 tra scienziati e scienziate, infatti, mette in guardia sul pericolo ambientale, ma anche comunicativo, legato all’adozione di queste tecnologie. Purtroppo, produrre, trasportare, svolgere e riavvolgere ettari di teli di plastica sui ghiacciai è una attività che inquina ed emette ancora più gas serra. Pertanto, considerando che la pratica è comunque in aumento, bisognerebbe almeno “abbandonare poliestere e polipropilene e passare a teli costituiti da plastiche di origine vegetale e garantire una filiera virtuosa che includa il riciclo dei materiali”, dice Diolaiuti. Inoltre, sarebbe bene limitare l’uso dei geotessili ai ghiacciai già “antropizzati” (ad esempio, dove si pratica lo sci estivo).

Insomma, secondo gli studiosi firmatari del documento, invece di essere una soluzione per il cambiamento climatico, i teli “contribuiscono ad aggravarlo”, con un probabile impatto sul complesso ecosistema della superficie glaciale, oltre al plausibile rilascio di plastiche. Portare avanti iniziative impattanti e inquinanti come queste, in pratica, rischia di creare confusione, suggerendo il messaggio distorto che, per limitare gli effetti deleteri del riscaldamento globale sui ghiacciai, basti avvolgerli in un telo.

L’impiego dei teli sintetici può dunque rappresentare “un’ultima spiaggia” per qualche limitato resort turistico, ma la narrazione intorno ai geotessili come un sistema per adattarsi al cambiamento climatico “rischia di compromettere la sensibilità ambientale che con fatica si è consolidata negli ultimi anni”, scrivono gli scienziati. Insomma, rischia di creare false speranze.

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Fonte: Sir