Ha riportato Gesù tra i giovani. La scomparsa di Norman Jewison, regista di Jesus Christ Superstar

Che cosa rimane del lavoro di Jewison a cinquant’anni di distanza?

Ha riportato Gesù tra i giovani. La scomparsa di Norman Jewison, regista di Jesus Christ Superstar

La scomparsa del regista canadese Norman Jewison, spentosi all’età di 97 anni nella sua casa di Los Angeles, ci riporta indietro nel tempo. A quando uscì -eravamo nel 1970- un, come si diceva allora, Lp doppio, dal titolo di Jesus Christ Superstar. Se giustamente questo vi rimandasse al film diretto dal compianto regista, allora è bene sapere che in principio fu il disco, e che disco: la voce di Gesù era quella altissima, con vette mai raggiunte da altri, di Ian Gillan, frontman di uno dei gruppi storici del rock mondiale, i Deep Purple. L’anno dopo, sempre con le musiche di Andrew Lloyd Webber e i testi di Tim Rice, diviene un musical, con oltre 700 repliche per un totale di 18 mesi nel “tempio” di Broadway, finché nel 1973 non si arriva al film di Jewison che dirige Ted Neeley nel ruolo di Gesù e Yvonne Ellman, l’unica a rimanere nello stesso ruolo, di Maria Maddalena.
Fu un film epocale per vari motivi: aveva catturato lo spirito del tempo, quello delle messe beat con chitarre elettriche, basso, batteria e tastiere elettroniche, una trepida atmosfera di rinnovamento fatta anche di attualizzazioni e di sguardi alla teologia della liberazione, a Woodstock, a Bob Dylan e alla canzone di protesta. Nello stesso tempo immetteva nell’immaginario collettivo il dubbio, la perplessità, l’amore, quello di Maria Maddalena per Gesù, che scatenò non poche contestazioni (e però splendida la canzone “Non so come fare per amarlo”), l’impegno politico.
Non a caso erano quelli tempi in cui riemergevano figure che le ideologie avevano confinato nell’ombra dell’irrazionale: basti pensare al contemporaneo (1972) “Fratello sole sorella luna” di Franco Zeffirelli che rimetteva al centro dell’attenzione la figura di san Francesco, o a “Godspell”, l’anno dopo, diretto da David Greene, che, come Jesus Christ, proveniva da un musical.
Il film di Jewison sollevava una marea di interrogativi: una sorta di rivalutazione della figura di Giuda, un rivoluzionario moderato, quasi riformista, che tiene per i poveri e per una graduale rivoluzione che prepari il popolo all’indipendenza dal potere imperiale di Roma. La compagnia del musical e gli attori del film sono più simili agli hippies di Woodstock che non agli apostoli. E oltre tutto le continue contaminazioni con la modernità, come gli strumenti della medicina d’oggi, i cappelli da cowboy, mitra e fucili nel mercato del tempio, i carri armati e gli aerei (dell’esercito israeliano), che oggi purtroppo tornano di triste attualità, una Maddalena affascinata e innamorata perdutamente di Gesù (e la conseguente ira di Giuda che lo vorrebbe condottiero, impiegando i soldi dei profumi della Maddalena in elemosina), hanno suscitato vespai di polemiche, soprattutto tra le comunità più tradizionaliste.
Che cosa rimane del lavoro di Jewison a cinquant’anni di distanza? Intanto la capacità di armonizzare personaggi e musiche, grazie anche alla scelta di Ted Neeley, la cui voce non ha fatto rimpiangere quella di Ian Gillan, e non è cosa da poco. Ma d’altronde il compianto regista alla fusione tra musica, scena, trama c’era abituato: il suo “Hurricane” includeva l’omonimo hit di Bob Dylan, e “Il caso Thomas Crown” aveva nella colonna sonora un autentico sempreverde, “The windmills of your mind”, del grande compositore Michel Legrand.
Ma soprattutto, come aveva scritto il gesuita padre Giuseppe Brunetta ai tempi del musical, se non c’è assoluta osservanza del dogma, almeno c’è stato il coraggio di riportare sugli scenari teatrali, e poi cinematografici, lo scandalo della Croce.
Visti i tempi, quelli di allora e quelli di oggi, non è poco.

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)
Fonte: Sir