Le parole del Natale. Il legame tra libro e schermo è stato sempre forte, anche e soprattutto a Natale

Il legame tra libro e schermo è stato sempre forte, anche e soprattutto a Natale.

Le parole del Natale. Il legame tra libro e schermo è stato sempre forte, anche e soprattutto a Natale

Il legame tra libro e schermo è stato sempre forte, anche e soprattutto a Natale. E spesso accade che il film oscuri la scrittura, come nel caso di “La vita è meravigliosa”, che divenne un successo planetario, solo perché Cary Grant, un attore-cult, che però, paradossalmente non calcò mai le scene del film, propose uno sconosciuto libro che lo aveva colpito (tra l’altro stampato a proprie spese dall’autore, Philip Van Doren Stern) per la riduzione cinematografica. Per una serie di vicissitudini, il regalo di Natale dello scrittore ai suoi amici, fin dal titolo, “The greatest gift” – il più grande dono – , divenne sì un film di grande successo, ma con James Stewart nella parte di George, un uomo che si sente un fallito ed è sull’orlo del suicidio. Solo un angelo un po’ particolare, non di quelli splendenti ritratti dai grandi dell’arte, un po’ dimesso, gli permetterà, facendogli vivere una vita non sua, di capire l’importanza delle cose che ha già.

E poi, un secolo indietro, nel 1843, il Natale più celebre della letteratura, quello del ricco Scrooge e della sua solitudine, in una vita senza senso, quando basterebbero quattro soldi per rendere felici bambini che non hanno nulla, neanche la salute. Un Canto di Natale è anch’esso un viaggio nel futuro e nell’incubo di un inferno: l’assoluta, implacabile solitudine di chi ha pensato solo a se stesso. Di chi si è murato vivo.
Ma non dobbiamo per forza riandare a opere che hanno fatto la storia del cinema e della letteratura: Simone M. Varisco e Paolo Alliata, ad esempio, in Il Natale tra pittura e letteratura (Ancora, 46 pagine, 8,50 euro)

ci presentano opere meno celebri dei capolavori che hanno fatto la storia narrativa e artistica del Natale.

Hanno preferito privilegiare il cammino, l’attesa, la resa alla volontà di Dio: accanto ai brani degli evangelisti, gli autori riportano parole di scrittori.

Ad esempio, uno dei più grandi del Novecento, Rainer Maria Rilke, a commento indiretto di Matteo 1,20-21, il sogno di Giuseppe: “Capì. E quando levò all’angelo/ il suo sguardo, intimorito già com’era giusto,/ questi era lontano. Tolse allora,/ lentamente il grosso suo berretto”. Indecisione, dubbi, sospetti del falegname, che vengono da alcuni apocrifi, sono qui vissuti come un sogno in veglia, come in “una quieta lotta con l’angelo notturno”, con la parte del nostro io che pensiamo di dominare completamente, allo stesso modo in cui pretendiamo di conoscere perfettamente gli altri.

Natale è anche solitudine, crisi, svelamento e caduta della benda che ci nascondeva la vita,

perché come afferma Etty Hillesum in un brano dei suoi Diari, “la maggior parte della gente ha in testa idee formate su dei cliché”.Natale come cammino alla riscoperta dell’altro e di un Altro di cui si pensava di poter fare a menoe che invece è il solo che ci può ridare il senso della Nascita interiore. Magari donando un po’ più di tempo al conoscente che troviamo solo per strada, mani intasca e testa bassa, per un fallimento o un amore andato a male, o una questione finanziaria, proprio come il protagonista del romanzo che ha ispirato “La vita è meravigliosa”.
Come accade nella bella poesia di Michel Quoist, fatta delle frasi più ricorrenti nel nostro veloce, troppo, oggi: “arrivederci, signore, scusi, non ho il tempo (…) avrei voluto aiutarla, ma non ho il tempo”. Il ritorno a Betlemme non è solo quello reale, concreto di chi, come san Gerolamo, ha deciso di vivere per sempre accanto al luogo della nascita del Bambino, ma quello del ritrovamento dello sguardo interiore,per tornare davvero a vedere la semplicità abissale di un altro cui basterebbe una chiacchierata,perché magari lui la sera di Natale la passa da solo, mentre noi siamo circondati dai nostri affetti.
È questo che ci voleva dire negli anni Sessanta il menestrello elettrico, e Nobel per la letteratura, Bob Dylan, quando cantava le Campane della libertà dei “rifugiati sull’inerme via della fuga”, che suonavano per il ribelle, il miserabile, lo sfortunato, l’abbandonato, il rifiutato, l’escluso “costantemente bruciato al rogo”.C’è qualcuno che non ha neanche il coraggio di bussare alle porte familiari o amiche, per vergogna o per sensi di colpa.

È anche a lui che la letteratura – e lo spirito – del Natale ci chiede di dare il tempo, un piatto caldo, ritrovando assieme la strada interiore per Betlemme.

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Fonte: Sir