Pane, prima di tutto. Pandemia e problemi climatici ci ricordano l’importanza di avere alimenti per tutti

A conti fatti, si stima che nel mondo – sottolinea la Coldiretti - quasi 690 milioni di persone abbiano sofferto la fame nel 2019: quest’anno dovrebbe andare peggio.

Pane, prima di tutto. Pandemia e problemi climatici ci ricordano l’importanza di avere alimenti per tutti

Il mondo ha riscoperto il valore del cibo. E anche in Italia ci si è resi conto di quanto sia importante non solo assicurare alimenti genuini, ma anche fare in modo che da mangiare vi sia davvero per tutti. Condizione che davamo per scontata nelle nostre economie (e che comunque scontata non è per nessuno), quella della effettiva disponibilità di buoni alimenti è cosa tornata alla ribalta delle cronache spinta dalla pandemia di Covid-19 che ci ha obbligati a riconsiderare molte nostre abitudini.

Spinta dall’onda del Covid-19, gli osservatori del settore si sono dati da fare a ragionare sulla nuova strategicità dell’agroalimentare. Osservazione giusta, che, tuttavia, si traduce nella quotidianità di tutti noi almeno in due modi. Da un lato la corsa ad accaparrarsi gli alimenti di base, così come le file fuori dai negozi e dai supermercati che sono state osservate nei mesi scorsi. Dall’altro, il balzo in alto dei consumi di cibi a basso costo. Coldiretti ha osservato, in occasione della diffusione dei dati Istat relativi al commercio al dettaglio di agosto, che gli acquisti di alimenti cosiddetti low cost (cioè a basso costo) nei discount alimentari hanno fatto segnare un balzo da primato del 4,8% delle vendite che su base annua è secondo solo a quello registrato dal commercio on line. Dietro questo dato c’è, secondo l’associazione dei coltivatori diretti, una ben precisa causa: la situazione di difficoltà in cui si trovano le famiglie italiane che orientano le proprie spese su canali che permettono di spendere meno anche nei cibi.

“Gli alimentari – precisa quindi la Coldiretti – registrano una sostanziale tenuta nel commercio al dettaglio anche per effetto del crollo dei consumi fuori casa in bar, ristoranti e mense per la preoccupazione del contagio, lo smart working”. Ma “le minori disponibilità economiche hanno favorito l’acquisto di alimenti da consumare tra le mura domestiche”. Economia da pandemia, quindi, anche per l’alimentazione. Certo, i grandi prodotti a denominazione di origine che hanno fatto negli anni la ricchezza e la notorietà del Paese nel mondo, continuano ad essere tali e ad avere un mercato. Ma, come si è detto, il Paese ha tirato la cinghia, anche nell’alimentazione casalinga. Tanto che, come hanno fatto notare ancora i coldiretti, “il bilancio resta comunque pesantemente negativo con un taglio complessivo della spesa a tavola degli italiani, a casa e fuori casa, di ben 24 miliardi nel 2020 per effetto dell’emergenza coronavirus, sulla base delle elaborazioni su dati Ismea”.

Che poi quello del cibo sia il problema dei problemi (accanto a quello dell’ambiente), lo si coglie anche da altri dati circolati in occasione del conferimento del Premio Nobel per la pace al WFP il World Food Program. Secondo una analisi appena messa a punto, la pandemia di Covid-19 potrebbe far sprofondare nella fame cronica ulteriori 130 milioni di persone entro la fine del 2020. Accanto alla mancanza di alimenti nelle aree già colpite da questo problema, la stessa questione si sta delineando in nuove fasce della popolazione sia nei paesi ricchi che in quelli meno sviluppati.

A conti fatti, si stima che nel mondo – sottolinea la Coldiretti – quasi 690 milioni di persone abbiano sofferto la fame nel 2019: quest’anno dovrebbe andare peggio.

Cibo prima di tutto, quindi, accanto ad una rinnovata consapevolezza della necessità di preservare un ambiente che ci è amico, ma che può trasformarsi nel peggior nemico con il quale l’uomo può trovarsi ad aver a che fare. Cibo che, poi, insegna con prepotenza l’importanza dell’aiuto e dello scambio equi rispetto alla rapina e alla depredazione alle quali molte economie sono state abituate. Anche questo ci ricordano le cronache agricole da una parte e quelle pandemiche dall’altra.

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Fonte: Sir