Welfare territoriale e lavoro domestico: la mappa dei sostegni

L'Istituto di Ricerca Sociale e Fidaldo presentano “Atlante Fidaldo”, una mappa interattiva nazionale e regionale dei sostegni oggi a disposizione delle famiglie che assumono lavoratrici e lavoratori domestici nei singoli territori

Welfare territoriale e lavoro domestico: la mappa dei sostegni

Quali misure di sostegno sono previste per le famiglie che assumono lavoratori domestici in Italia? In cosa consiste il welfare territoriale per questo tipo di attività? Sono le domande a cui oggi risponde “Atlante Fidaldo”, una mappa interattiva nazionale e regionale dei sostegni oggi a disposizione nei singoli territori, realizzata da Fidaldo e istituto di ricerca sociale. L’indagine, svolta grazie al contributo e alla disponibilità di molteplici funzionari, dirigenti, assessori regionali, sarà presentata domani a Milano e 

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Il quadro delle misure a sostegno del lavoro domestico si articola a livello regionale, generando un panorama assai variegato. Nella maggior parte dei casi si tratta di misure a sostegno del lavoro di cura svolto dalle badanti. Pochissime sono le regioni che prevedono sostegni anche per baby-sitter, mentre il mercato delle colf – per sua natura privato - non rientra nelle misure di welfare territoriale. Le misure prendono principalmente la forma di sostegni economici per famiglie datrici di lavoro, o di interventi volti a regolarizzare, qualificare e riconoscere il lavoro di cura.

I sostegni economici

Si tratta di assegni di cura dedicati, bonus o contributi usufruibili dai datori di lavoro per assumere badanti regolarmente assunte e sono presenti in circa la metà delle regioni italiane. Nella maggior parte dei casi si tratta di interventi che arrivano a coprire solo il costo degli oneri previdenziali che i datori di lavoro devono versare, e in quanto tali il loro contributo nel sostenere i costi del lavoro di cura è limitato. Inoltre, di per sé, la presenza o assenza di questi sostegni ‘dedicati’ poco dice rispetto a quello che è l’impatto complessivo di tali misure sui territori. Ad esempio, i Bonus Assistenti Familiari che la Lombardia dedica ai datori di lavoro di badanti regolarmente assunte (massimo 200 euro mensili, indipendentemente dall’intensità del lavoro) sono assai diversi da quelli messi in campo da altre regioni; come la Valle d’Aosta, che prevede contributi fino a 700 euro per le situazioni economicamente più fragili, o come il Friuli Venezia Giulia, che considera anche – nella definizione degli importi dei contributi – il livello di fabbisogno assistenziale dei richiedenti.
Sono quattro le discriminanti che determinano l’efficacia degli interventi di sostegno economico al settore domestico: l’importo del contributo; la soglia di reddito massimo che permette di accedere al contributo, e che determina la platea di riferimento; la personalizzazione del contributo in relazione ai bisogni di cura specifici; il reale incentivo verso una occupazione regolare e qualificata. Sono pochissime le regioni che agiscono – anche solo sul piano del dichiarato - in tutte e quattro queste direzioni.

Interventi per qualificare il lavoro di cura

Per quanto riguarda gli interventi volti a qualificare e riconoscere il lavoro di cura, questi si traducono prevalentemente, là dove presenti, in azioni di ‘sportello’ - e quindi di orientamento, accompagnamento e matching tra domanda e offerta – e nell’istituzione di ‘registri’ degli assistenti familiari/badanti allo scopo di favorire i cittadini nell’accesso a servizi qualificati e certificati.
Un registro pubblico degli assistenti familiari è previsto in 10 regioni su 20. In alcuni casi si tratta di veri e propri registri regionali, in altri di registri articolati a livello di ambito territoriale. In entrambi i casi i registri prevedono criteri e requisiti per l’iscrizione simili (tra cui: assolvimento dell’obbligo scolastico, possesso di un titolo di studio/certificazione inerente il lavoro di cura, possesso di un regolare permesso di soggiorno, idonea conoscenza della lingua italiana). Diversi sono però i casi in cui i registri sono solo formalmente o parzialmente in vigore, non venendo nella pratica utilizzati o aggiornati. Gli sportelli rappresentano iniziative ancora più rare e sporadiche, spesso sviluppatesi a partire da bandi o sperimentazioni a carattere locale ma non sempre in
grado di tradursi nella messa a regime di servizi stabili.
Gli sforzi condotti dalle regioni per qualificare e far emergere il lavoro di cura sommerso faticano quindi, nella maggior parte dei casi, a tradursi in interventi di effettivo impatto.
“Nonostante ciò – scrivono i relatori - teniamo a precisare che alcuni di questi sforzi hanno avuto il merito di tentare la ricomposizione tra servizi e interventi diversi, costruendo reti tra i principali stakeholder del lavoro domestico e creando occasioni di connessione inesistenti a livello
nazionale. Imprese titaniche, purtroppo raramente riconosciute e adeguatamente sostenute. Si tratta comunque di iniziative lodevoli che occorre conoscere e promuovere. Il Report rappresenta un’occasione per farlo”.

In conclusione, “l’analisi comparata delle misure messe in campo dalle regioni a sostegno del settore domestico ci ha permesso di ricostruire un quadro assai differenziato di interventi, per tipologia dei sostegni attivati (economici ma non solo), per obiettivi (sostegni specifici al settore, piuttosto che sostegni alla non autosufficienza più in generale), per modalità di implementazione (con requisiti variabili a seconda dei contesti), per incidenza (anche se i dati relativi al numero dei beneficiari dei vari interventi sono disponibili solo per alcune regioni)”. E' dunque evidente che “l’assenza di una cornice legislativa nazionale di riferimento – capace di fornire sostegni e incentivi robusti, sul piano fiscale, economico e dei servizi –frena l’estensione delle buone pratiche nel settore, vincolandole a rimanere sospese in un limbo sperimentale, o vincolandole alla incerta continuità di risorse regionali. Senza sforzi ed investimenti a livello nazionale – avvertono gli autori dell'indagine - i vari interventi messi in campo dalle regioni rischiano di rimanere circoscritti, depotenziati. Nella parte conclusiva del Report, indichiamo la direzione che, secondo noi1 questi sforzi ed investimenti dovrebbero prendere, in attesa che si manifesti la proposta di legge delega sulla non autosufficienza, prevista dal Pnrr”.

Lo studio e il report sono curati da Francesca Pozzoli e Sergio Pasquinelli, dell'Istituto per la Ricerca Sociale.

Chiara Ludovisi

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)