È il momento di cooperare
«Noi cristiani dobbiamo cavalcare la profezia e avere il coraggio di andare controcorrente. Dobbiamo ricordarci che i migranti sono uomini e anche per loro Cristo è morto. La profezia è sempre scomoda. Dobbiamo renderci conto che il Vangelo ci chiede di schierarci sempre dalla parte degli ultimi». Così monsignor Francesco Montenegro, in vista della Giornata mondiale del migrante e del rifugiato che la Chiesa celebra in tutto il mondo il 19 gennaio.
«Noi cristiani dobbiamo cavalcare la profezia e avere il coraggio di andare controcorrente. Dobbiamo ricordarci che i migranti sono uomini e anche per loro Cristo è morto. La profezia è sempre scomoda. Dobbiamo renderci conto che il Vangelo ci chiede di schierarci sempre dalla parte degli ultimi». Questo l’appello di monsignor Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento e presidente della Commissione episcopale per le migrazioni e della Fondazione Migrantes, in vista della Giornata mondiale del migrante e del rifugiato che la Chiesa celebra in tutto il mondo il 19 gennaio.
Nel messaggio per la Giornata, intitolato “Migranti e rifugiati: verso un mondo migliore”, Papa Francesco invita a una conversione degli atteggiamenti nei confronti dei migranti: al posto della cultura dello scarto, la cultura dell’incontro. Che ne pensa?
«Già il titolo del messaggio è significativo: il Papa ci invita non solo a prendere atto di una situazione ma a proiettarsi in avanti verso un mondo migliore. Noi siamo molto sulle difensive riguardo al discorso delle migrazioni. Papa Francesco ci chiede di avere il coraggio di superare questa cultura dello scarto e cominciare a pensare a come il mondo può migliorare se si è attenti ad uno sviluppo autentico. Ci ricorda che gli immigrati non sono pedine e non sono solo numeri. Con i poveri le statistiche non si possono fare. Ogni immigrato è un volto, una storia. Oramai, con 250 milioni di persone che si spostano, i migranti costituiscono quello che chiamano "il sesto continente". È qualcosa di cui tener conto».
Il papa chiede poi di gestire «in modo nuovo, equo ed efficace» le migrazioni, indicando due strumenti: la cooperazione internazionale e la solidarietà. Vuol dire che finora non è stato fatto abbastanza?
«Siamo consapevoli che finora non è stato fatto abbastanza. Ancora oggi continuiamo a guardare al Sud del mondo con logiche di colonizzazione. Se gli immigrati vengono qui è perché ci stanno chiedendo gli interessi di un gioco che noi abbiamo fatto a spese loro. Come si fa a dire che l’Africa è un Paese povero quando l’Africa è un Paese ricco, che ha tutte le materie che a noi mancano. Noi andiamo lì a prenderle e loro continuano a restare poveri. Noi continuiamo ad essere i popoli "ricchi" che decidono le sorti del mondo. Una cosa è colonizzare, un’altra è cooperare. Fino a quando ci saranno divari tra Paesi ricchi e poveri, e tra poveri e ricchi all’interno di un Paese, non ci sarà mai cooperazione. Cooperazione è dire: io ti do quello che posso e che ho, tu mi dai quello che puoi e che hai. Purtroppo nel gestire i flussi dobbiamo tenere conto sia delle nostre esigenze, perché la nostra economia ha bisogno degli immigrati, sia dei problemi che ci sono dall’altra parte del mare. Bisogna che i Paesi ricchi li aiutino perché questa gente non fugga da conflitti e miseria. Ma sembra che tutto questo interesse non ci sia».
Papa Francesco evidenzia poi la necessità di superare paure, pregiudizi, precomprensioni, con un appello ai media a smascherare gli stereotipi e offrire una informazione corretta. Una grande responsabilità...
«I media hanno delle grandi responsabilità perché fomentano l’idea della paura e nella mente della gente l’immigrato è uguale ad un criminale. Ma ricordiamo che chi arriva qui è sempre il più forte perché deve sopravvivere a viaggi lunghi, al deserto, a torture. Quindi arrivano i migliori, non i peggiori. Dobbiamo evitare di fare il rapporto criminalità-immigrazione-malattie perché creare paure è creare distanze e continueremo a non vedere. Anche perché tante situazioni di lavoro nero e sfruttamento a noi fanno comodo perché ne traiamo profitto. Ci sono dei giochi equivoci da parte nostra: non li vogliamo però li sfruttiamo».
Però il video che denunciava le condizioni del centro di Lampedusa è stato un servizio utile. Cosa pensa di quanto sta avvenendo a seguito di quel servizio?
«Sì è stato utile. Ma perché si è gridato allo scandalo solo quando è stato visto il video e quando sono morte 300 persone? Perché a noi fa comodo creare emozioni e avere reazioni immediate che non sono più gestibili. A noi non era permesso entrare nel centro. Ma è chiaro che un centro di quel tipo non può mantenere lì le persone per mesi, senza fare niente. Deve essere un centro di passaggio per due o tre giorni. È diversa l’accoglienza nella terraferma o in una isoletta. I gestori hanno la loro importanza ma bisogna cambiare la modalità di gestione. Il problema è che noi gestiamo le cose sociali al ribasso: ma gli uomini non sono oggetti».
Cosa dovrebbe fare la politica?
«La politica deve avere il coraggio. Nessuno può fermare il vento e la storia. Non si può pensare improvvisamente di chiudere le porte. Perché la storia e la geografia ci dicono che quei poveri hanno bisogno di vivere e sopravvivere. La politica deve prenderne atto e smettere di affrontare questo fatto semplicemente come una emergenza».