I gesuiti sul voto: «Effetti tutti da capire, ma abbiamo ritrovato la voglia di partecipare»

L'analisi del gesuita Giuseppe Riggio, caporedattore di Aggiornamenti sociali. «È un No che viene dopo tanti altri No pesanti nel corso di questi ultimi decenni e quindi potrebbe davvero costituire un blocco per un lungo tempo al percorso della riforma. Di sicuro nel breve termine non vedo alcuna possibilità che questo tema venga rimesso sul tappeto».

I gesuiti sul voto: «Effetti tutti da capire, ma abbiamo ritrovato la voglia di partecipare»

È un no pesante quello che è uscito dalle urne al referendum costituzionale sulla riforma Renzi – Boschi.
Un no che pone numerose questioni che vanno riconosciute e lette con attenzione. In questo lavoro non semplice abbiamo chiesto aiuto a padre Giuseppe Riggio, gesuita, caporedattore della rivista Aggiornamenti Sociali, attento osservatore e analista della vita politica e sociale del nostro paese.

Tre gli elementi che padre Riggio sottolinea: la netta vittoria del no con le ripercussioni sul cammino delle riforme e sulle vicende politiche nazionali, la grande affluenza alle urne come ripresa dello spirito partecipativo in un tempo di disaffezione, il ruolo dei cattolici nel favorire luoghi di dialogo e confronto.

Padre Riggio come legge l’affermazione decisa del no?
«È un bel rebus. Se si leggono le motivazioni dei sostenitori del no ci rendiamo conto quanto le posizioni fossero eterogenee e non sempre legate al testo della riforma. Per buona parte è stato anche un voto di protesta nei confronti dell’azione del governo. La dimensione della vittoria, peraltro, non consente dubbi e non lascia spazio ad ambiguità. Questo è positivo perché nelle situazioni poco chiare noi italiani rischiamo sempre di invischiarci, rendendo il percorso successivo quanto meno tortuoso».

Il no dunque non è solo un no alla riforma, ma dice qualcosa di più?
«È un voto anche per far sentire le ragioni di una fatica, di una debolezza e di un’insoddisfazione»

Anche l’altissima percentuale di votanti è una manifestazione di questo disagio trasversale?
«Può essere letta in questo modo, ma anche in una protesta che sceglie di incanalarsi nel voto. Questo è un aspetto sicuramente positivo. Piuttosto che disinteressarsi, questa volta in tanti sono andati a votare. Questo non mi sorprende, perché i molti incontri di informazione che hanno preceduto il quesito referendario, a cui come Aggiornamenti Sociali siamo stati invitati, erano un indice chiaro che le persone volevano capire e indicavano il riattivarsi di una dinamica di partecipazione. Anche questo è un aspetto su cui insistere nel momento in cui dobbiamo ripartire dopo questo voto.

È quello che ha sottolineato anche il presidente Mattarella nella breve nota che ha diffuso il giorno dopo il voto. L’alta partecipazione è il segno che la disaffezione politica ha segnato una battuta d’arresto. Poi bisogna capire come i diversi partiti e i soggetti della società civile che si sono impegnati per il referendum, nell'uno e nell’altro senso, possono continuare a far sì che questo ritorno alle urne non sia una fiammata estemporanea ma possa davvero segnare una ripresa di partecipazione pubblica».

Chi è il vincitore del referendum?
«Coloro che si sono intestati la vittoria sono tanti. Penso che capiremo chi è il vincitore vero solo tra qualche settimana in base all’evoluzione politica. Oggi ci sono ancora troppe incognite».

Qual è l’errore più grave di Renzi, oltre a quello di aver personalizzato la campagna elettorale?
«Oltre all’errore capitale di aver fatto diventare questo voto un plebiscito sulla sua persona e sulla sua azione di governo, l’altro errore sta nell’azione politica dell’esecutivo: progressivamente è passata l’immagine di un governo distante, poco attento, autoreferenziale».

Il capitolo riforme costituzionali è archiviato?
«È un no che viene dopo tanti altri no pesanti nel corso di questi ultimi decenni e quindi potrebbe davvero costituire un blocco per un lungo tempo al percorso della riforma. Di sicuro nel breve termine non vedo alcuna possibilità che questo tema venga rimesso sul tappeto. Dopo tanti tentativi di fare le riforme, forse è arrivato il momento di sperimentare forme più partecipative. In Irlanda sono stati modificati di recente alcuni articoli della Carta fondamentale con un percorso iniziato attraverso una Commissione composta da politici e cittadini e che è proseguito con il coinvolgimento del governo e poi con la consultazione popolare».

Cosa immagina per il prossimo futuro?
«Al centro ci sarà la grande questione delle leggi elettorali per la Camera e per il Senato sulle quali sarà necessario trovare un accordo, oltre alla legge di bilancio da portare a termine. Se c’è la volontà politica, per scrivere una legge elettorale i tempi possono essere molto brevi ».

Nei dibattiti di queste settimane all’interno del mondo cattolico è emersa una nuova maturità nel modo di vivere il pluralismo? Questo referendum ci ha insegnato qualcosa?
«Ci sono stati incontri promossi congiuntamente da realtà ecclesiali differenti e questo è già un primo dato non da poco. Ancora, all’interno di una stessa realtà dove vi erano diverse sensibilità si è riusciti (magari con mediazioni) a portare avanti un discorso unitario di riflessione e di dialogo. Questa può essere una bella opportunità e una risorsa, non solo nei confronti dell’ambito ecclesiale ma anche per il paese. Una delle grandi sfide, infatti, è quella di superare questa lunga campagna elettorale dai toni iperviolenti, per mettersi a lavorare insieme e capire quali passi vanno fatti in futuro. Potersi confrontare su punti comuni, pur da posizioni diverse, può essere una lezione importante».

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