Mondiali di calcio in Qatar. Campagna Abiti Puliti: “Adidas e Fifa paghino il prezzo dello sfruttamento”

La Campagna: “Gli operai e le operaie che producono kit, scarpini e palloni da calcio per Adidas aspettano milioni di dollari in indennità e salari non pagati. Se Adidas è disposta a spendere 800 milioni di dollari per sponsorizzare la Fifa, perché non può spendere 10 centesimi in più per ciascun prodotto per porre fine al furto salariale nella sua catena di fornitura?”

Mondiali di calcio in Qatar. Campagna Abiti Puliti: “Adidas e Fifa paghino il prezzo dello sfruttamento”

“I Mondiali Fifa sono costruiti sullo sfruttamento dei lavoratori e delle lavoratrici. Ora tocca ad Adidas, alla Fifa e ad altri pagare il prezzo del loro sfruttamento”. La Campagna Abiti Puliti fa sentire la sua voce a proposito del Mondiali di calcio in Qatar, appena iniziati.
Per la Campagna, “gli operai e le operaie che producono kit, scarpini e palloni da calcio per Adidas aspettano milioni di dollari in indennità e salari non pagati. Se Adidas è disposta a spendere 800 milioni di dollari per sponsorizzare la Fifa, perché non può spendere 10 centesimi in più per ciascun prodotto per porre fine al furto salariale nella sua catena di fornitura?”.

La Campagna Abiti Puliti ricorda che “il 18 agosto, giorno del compleanno di Adidas, lavoratori, lavoratrici, attivisti e attiviste di tutto il mondo, in oltre 10 paesi, hanno contattato i dirigenti di Adidas, chiedendo loro di rispondere alle richieste della coalizione Pay Your Workers, coordinata in Italia dalla Campagna Abiti Puliti, e di firmare un accordo vincolante per: pagare alle lavoratrici il salario intero spettante per tutta la durata della pandemia; assicurarsi che le lavoratrici non restino mai più senza un soldo se la loro fabbrica fallisce, sottoscrivendo un fondo di garanzia che copra il trattamento di fine rapporto; tutelare il diritto delle lavoratrici ad organizzarsi e a negoziare collettivamente. Adidas si è rifiutata di negoziare – sottolinea la Campagna - e ora è il momento di aumentare la pressione. In tutto il mondo, ci saranno manifestazioni in solidarietà con i sindacati contro Adidas”.

Dal 24 al 30 ottobre 2022 migliaia di persone sono scese in piazza in tutto il mondo per chiedere ad Adidas di assumersi le sue responsabilità. “Adidas sta lasciando i lavoratori e le lavoratrici della sua catena di fornitura senza i pagamenti dovuti nel bel mezzo di una pandemia – ricordano i promotori della Campagna -. Adidas sostiene che tutto va bene, ma le lavoratrici non sono per niente d’accordo. Solo per otto fabbriche fornitrici in Cambogia, il marchio deve alle sue lavoratrici 11,7 milioni di dollari di salari per i primi 14 mesi della pandemia, pari a 387 dollari ciascuno”.

Non solo: “Anche le lavoratrici che non producono più abiti per Adidas aspettano i loro soldi. Per esempio le operaie della fabbrica Hulu Garment in Cambogia, licenziate all'inizio della pandemia, aspettano ancora 3,6 milioni di dollari. Nel maggio del 2022, 5600 lavoratori di un altro fornitore Adidas in Cambogia hanno scioperato per i salari non pagati e la fabbrica ha reagito facendo arrestare i leader sindacali. Questo furto salariale e delle indennità di licenziamento si estende ben oltre la Cambogia, lungo tutta la catena di fornitura globale di Adidas. Eppure Adidas sa bene di avere la responsabilità di garantire che i lavoratori della sua catena di fornitura ricevano quanto dovuto. Nel 2013, ad esempio, ha pagato le lavoratrici della PT Kizone in Indonesia, che hanno lottato per due anni per ottenere 1,8 milioni di dollari di liquidazione che gli spettava dopo aver perso il lavoro”.

È ora che Adidas firmi un accordo vincolante su salari arretrati, liquidazioni e libertà di organizzazione per garantire che i lavoratori della sua catena di fornitura non vengano mai più derubati del denaro che si sono guadagnati – conclude la Campagna Abiti Puliti -. Il mancato pagamento della liquidazione è endemico nell'industria dell'abbigliamento globale. È giunto il momento di fare pressione sui marchi per portarli una volta per tutte al tavolo delle trattative e firmare”.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)