Ogni tanto è utile un esame di coscienza sulla preghiera

Forse l’uomo del 21° secolo confida talmente in se stesso... che gli sembra di non aver più bisogno di Dio?

Ogni tanto è utile un esame di coscienza sulla preghiera

Uno dei ricordi più vividi degli esercizi spirituali dell’estate scorsa è il consiglio ricevuto in confessione. Il saggio monaco mi ha detto: «Importante è che, di tutte le preghiere della giornata, almeno un momento sia vissuto e percepito come preghiera: ho parlato con Dio, ho ascoltato il Signore». Al momento il suggerimento non mi colpì particolarmente, ma poi ho visto che, di giorno in giorno, è ottimo per quando sei indaffarato, hai l’agenda (e la testa) piena di cose, corri il rischio di mettere la/e preghiera/e come “abitudine”: buona abitudine, certo, piena di valore, ma sempre in pericolo di diventare una “cosa da fare” e non un incontro da cercare e gustare.

Davvero è importante che la preghiera abiti la vita, in tutti i suoi aspetti e dimensioni. «Non posso pregare senza fare l’incontro con la mia realtà. Nella preghiera incontro le mie parti oscure, la rabbia rimossa, la delusione, le ferite del mio passato, la paura, l’insoddisfazione, la tristezza, la solitudine. Per me pregare significa offrire a Dio la mia verità»: così scrive Anselm Grün, il noto maestro di spiritualità. Ed è difficile non essere d’accordo, anche se una preghiera così onnicomprensiva chiede tempo e maturazione della persona, porta oltre il semplice domandare grazie o ripetere formule. Però il nucleo della preghiera può essere diverso dall’incontro con Dio, dal sentirsi amati e accolti, dall’aprirsi al dialogo con lui?

Riflettendo su questi temi e guardando un po’ in giro, anche tra persone fedeli alla messa domenicale, mi viene il dubbio che non siano molti i cristiani (adulti) capaci di una preghiera che davvero prenda dentro tutta la vita. C’è sì il riferimento a un Dio, spesso il Dio della Bibbia, di Gesù Cristo, anche se non sempre vicino e Padre; magari anche una sana abitudine di momenti di preghiera, o di “parole di preghiera”, personalmente o in gruppi e comunità, che però riguarda un’esigua minoranza, mi pare. Resta il momento clou della celebrazione domenicale, ma il colpo d’occhio sulle assemblee festive spesso non induce a molti entusiasmi. Mi domando se, complessivamente, manca nella predicazione l’insistere sulla preghiera, il presentarla come dimensione essenziale della vita cristiana, o se è l’agenda della comunità cristiana a non offrire esperienza concrete di spiritualità.

A dirla tutta, va aggiunto che a volte, fuori Padova o fuori Italia, quando mi capita di partecipare all’eucaristia tra i fedeli, dai banchi dell’assemblea si notano aspetti o stili celebrativi che danno qualche perplessità: qualche messa è un semplice “leggere il libro”, senz’anima; qualche altra è una gara con l’orologio, come per sbrigare la pratica e dedicarsi ad altro di più urgente o interessante; le omelie, quando riesco a comprenderle, non sono sempre invitanti. Sarà l’età dei celebranti e dell’assemblea, sarà il numero elevato di messe, sarà questione di fede, sarà quel che sarà… ma sprechiamo tante celebrazioni!

Penso che sia utile ogni tanto un esame di coscienza sulla preghiera, che viene a mancare o non è “significativa” per la vita. Con il coraggio delle domande radicali: forse l’uomo del 21° secolo confida talmente in se stesso, nella scienza e nella tecnica, che gli sembra di non aver più bisogno di Dio? O la preghiera viene presentata troppo genericamente come un qualcosa che “fa bene”, che “giova alla buona salute del corpo”, come un’attività di igiene mentale?

Una speranza mi viene dall’anno pastorale che la nostra Diocesi sta vivendo: non ho riscontri sulla concreta operatività, ma il tema è quanto mai propizio per ritornare a proporre la preghiera come asse fondamentale della vita. Il battesimo annuncia il dono e rinnova l’invito a una preghiera di “figli nel Figlio”, a comprendere e sperimentare il modo cristiano di rivolgersi a Dio e di trovarvi la forza e la luce per le scelte concrete che la vita domanda. Enzo Bianchi, altro maestro di spiritualità, sostiene: «Uno prega se ha fede, se nutre la fiducia di ottenere risposta, se è sorretto dalla speranza di essere in una relazione, se è fiducioso di poter ascoltare un Altro e di poter essere a sua volta ascoltato». Allora sì vale la pena di pregare. Almeno un momento al giorno…

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