Nel cuore di Dio, per sempre. «I passi del mio vagare tu li hai contati... non sono forse scritti nel tuo libro?»

In questi giorni è rimbalzata la notizia della conferma che la sonda Voyager 2, lanciata nel lontano 1977, circa un anno fa ha superato l’eliosfera, la zona di influenza del vento solare, ovvero “riempita” di quelle particelle che vengono liberate dal sole.

Nel cuore di Dio, per sempre. «I passi del mio vagare tu li hai contati... non sono forse scritti nel tuo libro?»

Oltre questa zona vi è lo spazio interstellare, ma nonostante ciò la sonda non ha abbandonato del tutto il sistema solare: le manca da attraversare una grossa bolla di asteroidi e comete chiamata nube di Oort, che ci circonda e delimita i confini dell’influenza gravitazionale del sole.

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La Voyager 2, come la sua gemella Voyager 1 che l’ha preceduta, raggiungerà la nube di Oort tra circa 300 anni per uscirne tra 30 mila. Quindi proseguirà imperterrita verso un’altra stella, anche se tra qualche anno non riuscirà più a mandarci informazioni su ciò che incontrerà nel suo viaggio.

Le due sonde Voyager però, oltre a strumenti scientifici, portano con sé un piccolo, grande tesoro: il famosissimo Golden Record. Si tratta di un disco d’oro in cui sono incisi una serie di suoni e immagini del nostro pianeta, per ricordare la nostra storia culturale, ma non solo. Il tentativo è quello di trasmettere “chi siamo” non solamente a livello genetico, anatomico o a partire dalle nostre capacità, ma a livello di sentimenti. Vi sono messaggi di saluto e di pace in 55 lingue diverse, immagini che spaziano dal Dna a una strada trafficata, passando per una madre che allatta il suo bambino; poi suoni e rumori come quello della pioggia, del terremoto, i passi di un uomo, un cuore che batte, il pianto di un neonato, lo schiocco di un bacio, le risate di un adulto, il codice Morse, il rombo del Saturn V, oltre a una selezione musicale che comprende nomi come Bach, Mozart, Stravinsky, Beethoven, il canto degli indiani d’America o il Gamelan di Giava, solo per fare degli esempi.

È altamente improbabile che nei prossimi milioni di anni qualcuno possa intercettare le nostre sonde e comprendere il tesoro che contengono: non è questo il motivo principale del Golden Record. È piuttosto il tentativo di dirci ciò che siamo, un gesto simbolico che ci porta, già piccoli e insignificanti, al di là del tempo e dello spazio che fisicamente siamo in grado di raggiungere come umanità. È molto probabile, infatti, che le nostre sonde ci sopravvivano. Che cosa rimarrà allora di noi? Questa sorta di “capsula del tempo” sarà, bene o male, la nostra unica eredità? Piccola, fragile, in viaggio verso il vuoto, incurante di tutto ciò che la circonda?

Come esseri umani può sembrare una piccola, commovente speranza, un simbolo, appunto, secondo le intenzioni del team che ha assemblato il Golden Record. Ma come cristiani non ci basta: tutto ciò che siamo, la nostra capacità di comunicare, di esprimere i nostri sentimenti, di amare, di prenderci cura l’uno dell’altro, di esplorare il mondo che ci circonda, tutta la bellezza ma anche tutto ciò che nel corso della nostra vita, breve o lunga che sia, abbiamo conquistato come persone, non può ridursi al contenuto di un disco, che pure dà la misura della nostra ricchezza e insieme fragilità.

Tutto ciò che abbiamo intrecciato in questa vita, tutta la sua bellezza, così come la sua fatica fatta anche di dolore e di sofferenza, non sarà perduto ma verrà raccolto e trasformato in Dio, come dice il salmista: «I passi del mio vagare tu li hai contati, nel tuo otre raccogli le mie lacrime: non sono forse scritte nel tuo libro?» (Sal 56,9). Siamo scritti direttamente nel cuore di Dio, dove saremo chiamati a vivere per sempre.

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