O come Onore. Ecco l'antidoto alla corruzione

O come Onore. L’idea di perdono rischia di divenire una forma di condono a buon prezzo

O come Onore. Ecco l'antidoto alla corruzione

Ascoltando uno dei tanti diverbi-insulti che quotidianamente i nostri politici si scambiano, mi ha colpito la replica che uno di questi ha rivolto a un suo collega; l’argomento era un presunto tradimento al popolo italiano che uno rinfacciava all’altro, il quale gli ha mandato a dire: «Se è un uomo d’onore, vada in procura e mi denunci».

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Da molto tempo non sentivo l’espressione uomo d’onore usata in un contesto che non fosse quello della malavita, in cui a un torto subito o presunto tale si rimedia facendosi giustizia da soli senza ricorrere alla giustizia. Nell’esempio riportato sopra, l’uso del termine onore non va certamente interpretato con questo primo e ambiguo significato, ma piuttosto come “stimato”, “dignitoso”, “rispettabile”.

Nell’antica Roma, honor significava la carica politica; ancora oggi quando si parla di cursus honorum si vuole tradurre una parabola politica, che solitamente inizia facendo l’amministratore di realtà locali, poi provinciali, regionali, per sfociare nel sogno di ogni uomo politico: diventare onorevole. Un ruolo importante e prestigioso che deve essere svolto e onorato con parole e comportamenti che non ledano la rispettabilità della persona e dell’istituzione che si rappresenta.

Qualcuno vorrebbe abolire questo titolo che profuma di ancien régime. La questione però non è onorevole sì, onorevole no, ma la sostanza. Oggi l’onorabilità, nel suo significato autentico, potrebbe diventare un ottimo antidoto alla corruzione, tema che abbiamo già trattato in una precedente riflessione.

In passato l’onore era un valore fondamentale per un politico. Serviva a identificare l’uomo retto, che non si lasciava corrompere, in quanto sapeva che al disonore non c’era rimedio, se non eliminando l’onta con il duello. Certamente questa era una virtù tipicamente aristocratica e fondata sul primato della famiglia e dello stato sociale. Quando queste ultime sono venute meno, l’onore è stato sostituito dalla reputazione che, a differenza del primo, è qualcosa che viene attribuita dalla cerchia delle persone con cui si instaura un rapporto di reciproco interesse.
Difficilmente un uomo d’onore, dopo un gesto che lo disonora, può recuperare la sua fama in breve tempo. Il disonore è quasi irreparabile, se non dopo un cammino di autentica conversione. Quanti dei politici disonorati per atti di conclamata corruzione hanno intrapreso questo cammino?

Quello che conta oggi non è più l’onore, ma la reputazione che, una volta persa, si può facilmente riparare, basta essere in grado di riacquistare un ruolo sociale che sia sufficientemente rilevante per conquistare un po’ di tifosi pronti a riscattare il loro campione. Se la reputazione, a differenza dell’onore, è qualcosa di riparabile, allora anche la corruzione può essere guarita mediante mezzi tecnici, norme giuridiche e sistemi di controllo senza preoccuparsi di ricercare le cause profonde che stanno alla radice di questo fenomeno.

Mentre nella società tradizionale si faceva fronte al disonore della corruzione mediante una vera e propria rinascita, ovvero attraverso la dialettica colpa, pentimento, espiazione, remissione dei peccati e infine, appunto, rinascita, resurrezione, oggi tutto ciò è irrilevante. L’idea stessa di perdono rischia di essere strumentalizzata e divenire una forma di condono a buon prezzo o, peggio, di essere banalizzata e risultare così una via perfino troppo facile per mettere a tacere la coscienza.

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