P come populismo. Sentire e servire, senza gridare

Del o per il popolo? Sfumature diverse per una dottrina liquida. Illustrazione di Gloria Bissacco

P come populismo. Sentire e servire, senza gridare

Il 12 dicembre 2019, Boris Johnson, leader dei conservatori e già primo ministro inglese, ha vinto le elezioni nel suo Paese con un’ampia maggioranza. Guardando i video della sua campagna elettorale, si nota come dappertutto campeggia lo slogan: The people’s government (Il governo del popolo).

populismo

Chiaramente, Johnson, come Trump in America e tanti altri leader, anche nostrani, senza tanto imbarazzo, si dichiara apertamente populista. Ma che cos’è il populismo?
Come si intuisce dal nome, populismo si rifà al popolo. L’etimologia del termine significa: “dottrina del popolo”, governo del popolo o per il popolo. Queste due sfumature sono particolarmente interessanti. Se prendiamo populismo inteso come “governo per il popolo”, tutti i politici dovrebbero essere populisti, infatti, si governa per il popolo e non per se stessi o per qualche altro interesse. Papa Francesco, nel settembre del 2018, in visita nella Sicilia di don Pino Puglisi, ha parlato di un populismo buono che si fonda sull’ascolto delle esigenze del popolo: «sentire e servire il popolo, senza gridare, accusare e suscitare contese».
Se invece prendiamo il primo significato, “governo del popolo”, si aprono alcuni interrogativi. Se è il popolo che governa direttamente, ci vogliono degli strumenti appropriati perché i cittadini esercitino pienamente questo diritto, per questo i populisti parlano spesso e volentieri di democrazia diretta, con rischi e pericoli connessi.

Il populismo divide la società in due gruppi omogenei e contrapposti: il popolo puro – rimane da chiarire chi ne faccia parte – contro l’élite corrotta. Pertanto, la politica deve essere l’espressione della volontà generale del popolo puro a cui deve rivolgersi chi governa, scavalcando tutti i corpi intermedi (partiti, portavoce, intellettuali, sindacati, associazioni varie…) per mettersi in “presa diretta” con il cittadino. I nuovi mezzi di comunicazione – i social, per intenderci – mettono a disposizione del populista strumenti potentissimi per realizzare questa strategia, in cui il capo si rivolge direttamente ai suoi supporter.

La politica dei populisti, per raccogliere consensi, deve poi usare un sistema di comunicazione che sottostà a tre regole fondamentali: se le conosci le eviti! Prima: occupare il più velocemente possibile lo spazio mediatico, cioè rispondere alle provocazioni in tempo reale, se si aspetta troppo (qualche minuto) si perdono consensi. Seconda: polarizzare la discussione solo su alcuni temi, semplificando al massimo le questioni. Terza, alzare sempre di più i toni, più si urla, più si insulta, più la si spara grossa e più like si avranno sul proprio profilo.

Il populismo, come si può intuire, non si iscrive nella tradizionale triplice distinzione (destra, sinistra, centro), ma forma una categoria a parte, raccogliendo consenso da tutti e tre i bacini.

Dalla destra assume l’idea del sovranismo inteso come esaltazione delle identità particolari di una Nazione. Per fare questo, però, ha continuamente bisogno di avversari in quanto l’identità nazionale si tempra contro qualcuno: stranieri, Europa, mussulmani, Francia, Germania ecc.
Dalla sinistra coglie la difesa degli ultimi, degli operai, delle classi più povere della società e si scaglia contro la casta, causa di tutti i mali. In ambito economico, il populismo porta avanti politiche protezioniste. Come si vede, questa ideologia possiede quella liquidità e volatilità già teorizzata da Bauman e che le garantisce la possibilità di adattarsi a qualsiasi terreno socio-politico.

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