Essere "normali" è eccezionale

La mamma di Daniele. Dimenticare che siamo un dono, promuove la “cultura dello scarto”

Essere "normali" è eccezionale

Lucia ha ottenuto il trasferimento in nuovo istituto, in sostituzione di una collega andata in pensione. Quando entra in classe, per farsi un’idea di chi ha di fronte, chiama un alunno alla lavagna perché esponga quanto doveva fare durante le vacanze estive. Daniele è l’alunno prescelto ed è alquanto impacciato dall’emozione, ma qualcosa ha fatto e un po’ di cose le riesce a dire.

Lucia lo ascolta pazientemente e lo aiuta a portare a termine l’interrogazione, per poi continuare la lezione insieme alla classe, ripassando velocemente quanto svolto l’anno precedente. Al termine dell’ora, Daniele si avvicina alla cattedra e timidamente chiede che voto ha preso; Lucia, presa alla sprovvista, valuta in fretta la situazione e gli mette 6 e mezzo. Due settimane dopo, la collega di italiano mostra a Lucia un tema di Daniele, nel quale egli racconta che, per la prima volta in vita sua, ha preso 6 e mezzo in geografia. Quel giorno, appena giunto a casa lo ha comunicato a sua madre, che lo ha abbracciato commossa e lo ha portato a festeggiare l’evento in paninoteca. Il tema chiedeva di narrare uno dei giorni più belli della propria vita.

Quando termina di raccontarci questa storia, Lucia ha gli occhi rossi e confessa che, prima di allora, non aveva chiara tutta la misura del nostro lavoro di insegnanti. Davvero lasciamo un segno, ed è bene sempre vigilare che non sia una ferita. A questo punto, si apre una fitta e partecipata discussione tra i colleghi presenti e il tempo vola attorno al tavolo del bar, finché non arriva il momento di salutarci. Sulla via di casa continuo a pensare alla mamma di Daniele. La prima tentazione è di giudicare quanto ha fatto come un’esagerazione emotiva, molto materna. Eppure, a ben vedere, sembra dirci molto di più: il tutto ha il sapore di una parabola, che ci guida a cogliere qualcosa di grande. Questa madre, nella sua partecipazione alla gioia del figlio, al punto da lasciar tutto per fare festa insieme a lui, ci mostra con forza che c’è dignità e bellezza anche nella normalità di un 6 e mezzo.

In un tempo dove pare predominare solo la prestazione e il risultato, sembra non ci sia più spazio per chi arriva fin dove può arrivare: o sei tra i primi o semplicemente non sei. Se devi sempre sudare per raggiungere il minimo, se niente è facile per te: sei fuori! Perché conta solo il successo, lo stare sotto le luci della ribalta, altrimenti non sei all'altezza, sei sempre inadeguato. E pensare che, decenni fa, qualcuno cantava che l’impresa eccezionale è essere normale.

La competitività, la produttività, il riconoscimento del merito.. sono elementi importanti per la società contemporanea, ma diventano perversi se non coniugati con la cooperazione, la solidarietà, la fraternità umana. Se dimentichiamo che tutto ciò che siamo e abbiamo sono un dono, da trafficare con e per gli altri, si promuove la “cultura dello scarto”. Più volte papa Francesco ci ha messo in guardia da questa cultura, che è arrivata ad applicarsi anche sulle persone, diventando ancor più autodistruttiva: si producono “rifiuti umani”, messi ai margini della società per una loro presunta inutilità. Quello che comanda oggi non è l’Uomo, il suo valore e la sua dignità: uomini e donne vengono scartati e sacrificati agli idoli del successo e della produttività, che poi sono la facciata del profitto e del consumo.
Piace pensare che la mamma di Daniele, col suo gesto, ha voluto vaccinare il figlio e tutti noi da questa malattia dell’anima, che inquina ogni giorno coscienze e relazioni.

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