Quando un docente chiede scusa. L’esempio fa più di mille parole

Essere adulti vuol dire sapersi riconciliare con la propria fragilità

Quando un docente chiede scusa. L’esempio fa più di mille parole

Nel nostro Istituto l’avvio delle vacanze natalizie coincide con la chiusura del primo periodo dell’anno scolastico. La conclusione del trimestre è tempo di pagella, ma è anche un’opportunità per fare il punto e aggiustare il cammino. Di solito, però, rischia di diventare un’occasione sprecata.

Il confronto in classe infatti presenta due pericoli: all’inizio tende ad accentuare il negativo, da ciò che non ha funzionato ai comportamenti scorretti; per poi virare deciso verso la raccolta dei buoni propositi per il futuro, un po’ la stesura del libro dei sogni. E invece quest’anno è successo qualcosa che ha aiutato un po’ tutti a fare verità sul proprio vissuto scolastico.

Graziella, l’integerrima e temuta collega di lingue, ha chiesto scusa alla classe per aver sbottato sopra le righe durante delle interrogazioni disastrose. La classe, forse imbarazzata da tanta sincerità, ha subito reagito portando giustificazioni allo sfogo della docente, sostenendo che è normale perdere le staffe quando gli impegni scolastici vengono snobbati così platealmente. Ma il tentativo dei ragazzi è andato a vuoto dinanzi alla perentoria affermazione: «Io sono la vostra insegnante e devo esservi d’esempio, anche nello stile».

«Troppo forte!» ha commentato qualcuno ad alta voce. Perché paradossalmente Graziella, la frau di ferro, proprio mentre si mostrava debole e fallace, ha fatto brillare la sua statura di adulta e di professionista. Essere adulto, infatti, non significa non commettere errori, ma essere consapevole e riconciliato con la propria fragilità, quindi capace di riconoscere un errore e di chiedere scusa.

Viviamo in un’epoca che invita a non farlo, per paura di apparire debole o poco autorevole, di fatto però la fuga dinanzi alle proprie responsabilità nasconde solo grande immaturità. Mostrare, invece, insoddisfazione per come sono andate le cose rivela la cifra di una persona autentica, realista e moralmente integra. Riconoscere poi l’errore rinunciando a cercare scuse o attenuanti, significa avere il coraggio di chiamare le cose con il proprio nome, senza infingimenti o banalizzazioni. Non è possibile che la colpa sia sempre di qualcun altro.

Rivendicando con forza il suo ruolo di educatrice, Graziella ha anche posto al centro il valore dell’esempio, quale via maestra per la comunicazione di quanto davvero conta nella e per la vita. Voler essere d’esempio per gli altri non significa esibirsi, presentandosi quale modello perfetto, ma semplicemente mettersi in gioco per cercare di dare testimonianza del giusto valore delle cose e delle relazioni con le persone. Provare a vivere coerentemente quanto si dice di credere, aiuta a ricomporre quella frattura, oggi assai diffusa, tra le parole e i fatti. L’intento è quello di far diventare sempre più i secondi il contenuto delle prime. In modo tale che si possa realmente parlare sempre con cognizione di causa, dando così continua prova di credibilità.

L’alternativa resta quella d’accodarsi a quei non pochi, che dagli schermi di casa parlano di qualsiasi cosa senza saper nulla a riguardo o senza averla prima vissuta su se stessi. Aggiungendosi ai troppi maestri di valori che, simili ai cartelli stradali, stanno ben fermi ma non mancano a indicare la via che gli altri devono seguire. «Non sottovalutiamo il valore dell’esempio perché ha più forza di mille parole, di migliaia di likes o retweets, di mille video su Youtube» ci ricorda qualcuno, che non ha esitato a chiedere scusa pubblicamente di un suo cattivo esempio d’intemperanza.

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