Andiamo al cuore: l'incontro con Gesù. Relazioni sì, ma...

Forse abbiamo paura o ci mancano le parole giuste per annunciarlo?

Andiamo al cuore: l'incontro con Gesù. Relazioni sì, ma...

Vengo invitato in un gruppo giovani di una nostra parrocchia. Ma subito sono messo in guardia dagli educatori: «Sai, don Paolo, sono ragazzi particolari… Cerca di fare attenzione a come parli, perché se nomini esplicitamente Gesù, è probabile che alcuni si alzino e vadano via».

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Tra me e me penso: forse ci sono storie personali di fede che stanno attraversando qualche crisi profonda; forse qualcuno di questi ragazzi sta vivendo una grande lotta contro un’idea di Dio e di Chiesa che rinnega. Mi chiedo anche però come sia maturata questa convinzione negli educatori: immagino tante piccole grandi batoste, tanti tentativi andati in fumo, un desiderio forte di far conoscere il Signore che non ha trovato riscontro, e lentamente ha lasciato spazio all’idea che è meglio muoversi con passo felpato. Rimane il fatto che starò con loro per circa due ore: che fare?

Ok, il problema è anche mio: non so parlare di calcio e di campionato, faccio fatica anche a distinguere una Clio da una Golf, men che meno so improvvisare dinamiche formative brillanti.

«Forse allora non sono l’ospite giusto per voi – ho detto loro – Inoltre, pensandoci bene, non vorrei incontrarli senza parlare loro di Gesù, del Vangelo e di fede. Mi dispiace». Ma il confronto offre spiragli: costruiamo insieme un canovaccio alternativo e… colpo di scena! L’incontro va oltre ogni attesa. I ragazzi, anche quelli che erano ritenuti più “schierati”, hanno condiviso aspetti importanti e profondi di una ricerca di Dio frastagliata, confusa ma di certo non chiusa per sempre.

Tante volte – temo – ci fidiamo troppo di prassi pastorali che rispondono al principio “prima la relazione”. Intercettiamo i giovani con un generico «vieni, facciamo gruppo» oppure «dai, che stiamo insieme», come se avessero bisogno che noi gli risolviamo il problema di trovarsi degli amici. Ci ritroviamo così alla “mega-pizzata”, all’aperi-cena o a una grigliata, salvo poi cacciargli dentro l’attività, la riflessione, la preghiera, addirittura le confessioni, a sorpresa!

Non voglio trascurare l’aspetto umano e relazionale dell’esperienza di comunità, che è tanto importante e delicato, a fronte di geli polari che si sperimentano, ahimè spesso, anche nei nostri ambienti (e non è solo una questione di riscaldamento!). Ma colgo il rischio che il principio “prima le relazioni” possa annacquare la potenza della proposta alta che abbiamo – quella della vita cristiana e della santità – il tesoro del Vangelo che custodiamo, ma soprattutto l’incontro con Gesù Cristo che ci ha cambiato la vita.

Tante relazioni, tanti percorsi umani di qualità si trovano anche fuori, nei luoghi di divertimento, nello sport, nella vita sociale, all’università. Un percorso condiviso di crescita nella fede e l’incontro personale con Gesù è invece il nostro compito e il nostro proprium è saperlo offrire. Immersi dentro relazioni, ovvio, ma quanto meno relazioni che si riconoscano in questo centro comune. Anche patendo la sofferenza e lo scorno di un «No, grazie». Meglio essere chiari fin dall’inizio: saranno loro a decidere se la proposta cristiana vale la candela.

O forse sono le nostre paure, le nostre incertezze a guidarci? Forse manca in noi una proposta chiara? O le parole giuste per avanzarla? O il coraggio di chi sa, perché l’ha sperimentato, che l’incontro con Gesù vale più di mille tesori? Lo domando prima di tutto a me stesso. Per trovare risposte può essere utile tentare qualche esperimento alternativo, nei chioschi giovani delle sagre, nelle esperienze estive, nelle proposte dei patronati. Perché agire chiarisce e trasforma.

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